Sentiamo spesso Salvini (e diciamo Salvini in quanto fenomeno mediatico fatto crescere appositamente in questi ultimi mesi con continue presenza in televisione) difendere la scelta dei governi europei poiché “non stanno facendo altro che difendere gli interessi dei propri cittadini”. Più difficile invece, per usare un eufemismo, trovare qualcuno che sottolinei come questo non sarebbe possibile. Perché se vige Schengen, la polizia francese non può decidere chi far passare o meno sulla base della nazionalità delle persone (o, più facilmente, sulla base del colore della pelle). Se parliamo di Europa unita e di emergenza da affrontare collettivamente, Germania, Irlanda ed Inghilterra non possono tirarsi fuori dai giochi a prescindere.
Il punto è che la bolla sta esplodendo. Hanno voluto il mercato unico. Niente dogane, niente, barriere, niente tariffe. Il liberismo avanzava. Poi hanno voluto che oltre alle merci circolassero liberamente anche le persone. Ma le persone che volevano loro: finché erano lavoratori dell’Est Europa che permettevano di abbassare i prezzi di produzione poiché spostandosi fornivano mano d’opera a basso prezzo tutto andava bene. Poi è successo che le cose hanno cominciato a peggiorare. È successo che in Europa, Italia e Grecia soprattutto, non arrivavano più tanto persone partite in cerca di un lavoro. Al posto dei latino americani e dei rumeni hanno cominciato ad arrivare quelli che scappavano dalla guerra. Siria, Libia, Eritrea e Somalia, solo per fare qualche esempio. Persone che fuggivano dalla disperazione più totale. Persone che hanno il diritto a ricevere asilo politico, poiché c’è in ballo il rispetto dei diritti fondamentali della persona (i diritti umani che piacciono tanto all’Europa Unita).
E noi ci ritroviamo ad affrontare questa situazione con la legislazione vergognosa promossa dal Trattato di Dublino, altro punto che andrebbe spiegato bene. Chi arriva in Europa può fare richiesta di asilo politico esclusivamente nel paese in cui viene identificato. E quindi cominciano così i tentativi dei rifugiati di passare il confine italiano senza che la polizia prenda loro le impronte: sanno che essere identificati in Italia significa essere confinati in un centro di permanenza temporanea che ricorda i lager da cui sono scappati e che non c’è alcuna possibilità di avere l’asilo politico che gli spetterebbe di diritto. Senza contare il fatto che, anche riuscissero ad ottenerlo, la crisi economica ha cancellato ogni possibilità di trovare un lavoro in questo paese. La cosa assume, in Italia come in Grecia, sembianza terribili: racconti di uomini che scappano letteralmente dalle forze dell’ordine per non essere costretti a lasciare le impronte digitali, impronte che vengono prese con la forza (in diversi sono arrivati a bruciarsi i polpastrelli pur di tentare di evitare l’identificazione).
Questa è la situazione, molto semplificata, e quando ho sentito l’intervento del nostro Ministro degli Esteri Gentiloni che richiedeva più fondi europei per i paesi che devono gestire l’emergenza in prima linea (Italia e Grecia) mi è venuto da ridere. Certo, possibile che i 60 milioni di euro predisposti non siano sufficienti, ma con quale credibilità riusciamo a fare una richiesta del genere quando Mafia Capitale ha aperto il vaso si Pandora, mostrando come sulla pelle dei rifugiati ci abbia speculato per anni la malavita? La gestione dei CPT e delle altre strutture di accoglienza in Italia è affidata, sull’onda della tradizione, a privati. Sono messi in appalto. E sappiamo tutti come è che funzionano gli appalti qui da noi.
La verità è semplicemente, un’altra volta, che è il sistema che mostra i suoi limiti. Un’integrazione europea nata e sviluppata senza barriere per far arricchire i padroni ma che non è disposta a tenerle abbassate, le barriere, per garantire i diritti che scappano da situazione che spesso abbiamo contribuito a creare. Perché i limiti del sistema vengono anche mostrati dal fatto che, ad esempio, l’intervento in Libia, di cui la Francia è stata l’ariete da guerra, è stato portato avanti senza che ci si preoccupasse delle conseguenze. Abbiamo bombardato Gheddafi ma dopo sono arrivati uno stato fallito, jihadisti e tribù che son tornate a devastare il paese. Davvero non era prevedibile che migliaia di persone sarebbero scappate da quell’inferno cercando riparo nel posto sicuro più vicino, ovvero l’Europa?
Il problema è grosso, per quanto gli allarmismi siano infantili dal momento che certo non è nato tre giorni fa. Ciò che preoccupa più è come viene alimentata la paura del diverso. Reportage su reportage che raccontano la disperazione del sindaco brianzolo di turno che non sa dove piazzare i trenta rifugiati che gli sono stati affidati, Toti, Zaia e Maroni eletti a eroi nazionali perché puniranno i sindaci che accettano di dare assistenza a rifugiati, il terrore per la scabbia che dilaga (quando è più facile prenderla da un cane che da un migrante). O l’Europa agisce come unità, non tanto nel senso che “ogni paese deve prendersi le sue responsabilità” quanto in quello che si decida di modificare radicalmente la legislazione, o potrebbe succedere qualcosa di cui ci potremmo pentire amaramente.