Mercoledì, 12 Ottobre 2016 00:00

Bavagli post-democratici

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Bavagli post-democratici
Da Orbán a Renzi, la democrazia in pericolo


Il vento che imperversa sull’Europa da tre/quattro anni non è assolutamente paragonabile ad una bonaccia tardo-primaverile, annunciante l’arrivo dell’estate. Le perturbazioni sono minacciose e tuonano di derive autoritarie e democrazie a rischio. Il passaggio dallo stato di diritto allo stato autoritario sembra (quasi) del tutto completato; e tra imposizioni della Troika (vedi Grecia), stati d’emergenza volti a reprimere (il caso della Francia del post 14 Novembre) e nuovi muri, sembra quasi di essere ripiombati alla prima metà del secolo scorso.

Un “ritorno al futuro” di cui francamente non avevamo bisogno, e che rischia di alterare ulteriormente i già finti e preconfezionati equilibri dell’Europa restituitaci dopo la caduta del muro “divisorio” tra Berlino Ovest e Berlino Est. Il caso dei paesi dell’ex-blocco orientale è emblematico: non c’è uno stato di quel comparto continentale che non soffra di politiche quantomeno autoritarie, basti pensare alla Polonia e alla sua incauta decisione sulla legge anti-aborto, prontamente sventata da una mobilitazione di piazza convinta e compatta contro una norma assolutamente no-sense. Pochi km a sud c’è un paese che ha risposto alla crisi, iniziata ormai circa dieci anni fa, con una deriva neofascista da fare a pugni con la storia e con quello che essa stessa ci ha insegnato. Il governo Orbán (il riferimento è alla sua seconda legislatura, la prima è datata 1998-2001) eletto nel 2010 ha impresso una svolta antidemocratica al funzionamento dello stato ungherese, con una consequenziale ribalta mediatica avvenuta con la crisi siriana e la grande migrazione cominciata, sulla rotta Est-Ovest, da due anni a questa parte. L’erezione del muro, per “proteggere” l’Ungheria dalla cosiddetta “invasione” ha fatto scalpore a livello mediatico, ma a livello politico il Vecchio Continente ha incautamente continuato a trattare col capo di stato ungherese, tralasciando ad esempio, tutto il portato socio-politico dello stesso nel campo del rispetto dei diritti umani

La notizia della sconfitta al referendum sui migranti impostato sul rifiuto di accettare le “quote” assegnate ad ogni stato UE lo scorso 2 ottobre non lascia dormire sonni tranquilli. La consultazione referendaria infatti, non ha raggiunto il quorum indi per cui la proposta di rifiuto non è stata accettata, ma allo stesso tempo i votanti sono stati il 40% degli aventi diritto e il “no” ha vinto con il 98% dei voti. Una spia d’allarme accesa sulla pentola a pressione chiamata Ungheria, una carta jolly da giocare per il Presidente magiaro, che cade (in piedi) e anzi si dice pronto a rilanciare. La scorsa settimana la tagliola della censura infatti si è abbattuta conto un quotidiano dell’opposizione liberale Nepszabadsag, considerato voce critica del governo di Budapest. La versione ufficiale parla di una chiusura per mancanza di risorse e consequenziali licenziamenti, la verità probabilmente risiede nella vendita della filiale dell’impresa austriaca, Vienna Capital Partners (CVP) ad una filiale ungherese proprietà di un oligarca vicino al governo. Qualora la notizia fosse effettiva come sembra, essa costituirebbe una spallata grande alla vituperata libertà di stampa ungherese.

La deriva autoritaria non è prerogativa dell’est europeo, come sottolineato precedentemente anche nei paesi della cosiddetta Europa “primigenia” si fa a gara per attaccare diritti. L’esempio tangibile cresce in casa nostra e afferisce al nome di campagna referendaria costituzionale. Tra i promotori del SI e quelli del NO, rilegati al ruolo dell’antagonismo puro e inconcludente secondo i primi, ci sono delle differenze che sviano completamente da condizioni di par condicio. Basta pensare al viaggio organizzato dalla Ministra Boschi in Sud-America condito da incontri “istituzionali” per promuovere il SI violando di fatto l’articolo 98 della Costituzione della Repubblica. L’ effetto Enzo Biagi poi, era quello che non poteva mancare e per questo motivo specifico, a Tomaso Montanari, storico dell’arte, e fervente promotore del NO al referendum viene sospesa la diretta, dal palinsesto Rai, di un programma avente per oggetto il “pericolosissimo” Caravaggio. Censura neanche troppo nascosta, poiché dai vertici di viale Mazzini è stato spiegato che la sospensione fino al 4 Dicembre è dovuta alla chiara posizione, in materia referendaria assunta dal Professore della Federico II.

Derive post-democratiche trasversali che aleggiano sul Continente, un tempo autoproclamatosi progressista. Oggi la vecchia Europa si sveglia ancora più vecchia, stravolta da innovatori di professione ma rottamatori della democrazia de factu.

Ultima modifica il Martedì, 11 Ottobre 2016 19:18
Andrea Incorvaia

Nato a Locri (RC), il 28 Febbraio 1988, attualmente vivo per studio a Pisa. Sono un allievo specializzando presso la scuola di specializzazione in beni archeologici dell’Università di Pisa, dopo essermi laureato in Archeologia nel 2012. I miei interessi spaziano dall’ambito culturale (beni storico-archeologici soprattutto), alla tutela e alla salvaguardia del paesaggio. Svolgo attività politica nella città che mi ospita e faccio parte di un sindacato studentesco universitario.

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