In buona sostanza abbiamo davanti una politica che ha creato il suo pubblico e tenta disperatamente di tenere il discorso all’interno del frame neocapitalistico. Così ieri Renzi dopo aver passato l’ultimo mese assieme all’ineffabile ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Delrio a proporre un “piano organico di prevenzione e messa in sicurezza” nelle zone terremotate, ha rilanciato la nuovissima e sicurissima opera del ponte sullo stretto di Messina. Non fosse che ormai ognuno che si oppone anche solo verbalmente al premier vien etichettato come “gufo”, stavolta ci ha pensato la stessa natura a ricordare che quella zona non è proprio adatta ad un’opera del genere. E la natura di solito non gufa.
I dati sismologici sono oggettivi, basterebbe rendere edotta la popolazione dei pericoli di un ponte con campata centrale di oltre tre chilometri in zona sismica. Perché lo Stretto è zona sismica, infatti poche ore dopo il lancio della geniale idea renzusconiana, ben tre scosse sismiche sono state registrate nel mare, tutte intorno al secondo grado di magnitudo (vedi qui). Tuttavia usando un po’ di raziocinio si può facilmente intuire che in una zona, come quella del messinese, in cui a causa di ripetute frane si è in emergenza idrica da ormai un anno per danni all’acquedotto, l’idea di una “grande opera” invece di un’opera strutturale di cura del territorio non sia delle più acute. Basta poi spostarsi leggermente nel tempo e nello spazio per scoprire che nel tragico scontro fra treni nella tratta Andria-Corato (23 morti e oltre 50 feriti) di questo luglio il principale responsabile è da rintracciare nella completa assenza di sistemi elettronici di sicurezza all’avanguardia.
Ha senso rivendicare la banda larga in una completa assenza di sicurezza nei trasporti privatizzati per abbattere i costi del bilancio pubblico? Sono domande che ci si dovrebbe porre. Sicuramente non ha senso continuare con il marketing politico delle “grandi opere” (dall’Expo alle Olimpiadi) che restano per l’appunto come spot elettorale e occasione di arricchimento per pochi mentre le città cadono a pezzi e il lavoro non riparte. Come se non bastasse, e l’Expo l’ha semplicemente dimostrato, pure il lavoro prodotto da questi eventi è di scarsa qualità.
Niente da fare, gli interessi economici continuano a guidare le politiche pubbliche con scarsa lungimiranza. E purtroppo l’attuale fase di decadenza democratica non sembra riservare altro che demagoghi che, come si faceva notare lo scorso maggio proprio nella Firenze del Lungarno crollato, vogliono “cambiare la costituzione senza cambiare i tubi”. Ecco, se proprio non si riesce ad avere una democrazia migliore servirebbe almeno un po’ più di umiltà e realismo da parte del ceto politico, anche se sembra davvero sempre più utopica tale ipotesi. Quindi tocca alla cittadinanza che vive in questi problemi reali opporsi a quello che resta il leitmotiv della politica italiana degli ultimi decenni: la manipolazione della Costituzione come principale forma di rafforzamento del potere sempre più demagogico e quindi autoritario. Occorre un’opposizione di popolo a questa controriforma costituzionale proprio perché, ragionando sulla distorsione attuale della democrazia, solo un popolo non in preda al richiamo fascinoso delle promesse può emanciparsi e ridare affidabilità e credibilità ad una democrazia che scivola sempre più verso il modello americano che si è tragicamente manifestato nel dibattito trasmesso dalla CNN tra Clinton e Trump, con annessa sondaggistica e indici di gradimento sul vincitore mediatico.