Venerdì, 03 Novembre 2017 00:00

Il privato è politico

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Il privato è politico

Il privato è politico. Nulla di più semplice, diretto, veloce e rapido per comprendere una verità spesso ignorata: non esiste un “mondo fuori” dove funzionano certe idee, lotte, proteste e uno “dentro” il quale segue leggi particolari legate alla coppia, alla genitorialità, alla famiglia. Tutto si basa sui rapporti di classe e di forza che partendo dalla società, condizionano i legami personali. L’operaio politicizzato di Romanzo Popolare, ne è un esempio: compagno attivo nelle lotte, uomo che si reputa moderno, ma pronto a ristabilire la gerarchia nel rapporto di coppia quando la sua compagna esprime la sua infelicità e infedeltà. Questo è solo un piccolo esempio, ovviamente, ma la realtà ci mette davanti a queste storie ogni giorno. Uomini che usando la loro posizione privilegiata e il loro potere, costringono i sottoposti a umiliazioni e abusi. Siamo portati a ritenere che questo sia un problema che riguarda alcune categorie, che a ben vedere certe donne sanno a che vanno incontro, molto probabilmente sono anche complici se non istigatrici. 

D’altronde le minorenni date “in pasto” ai porci delle cene eleganti, dalle rispettive madri, le presunte nipotine di premier stranieri, le belle senza anima che fanno da contorno alle chiassose serate di imprenditori e affini, distraggono da una valutazione più profonda e politica: questi atti, che siano commessi da Berlusconi, o da Weinstein, non sono altro che la riproduzione, nel chiuso di una casa o una stanza d’albergo, dei rapporti di forza che il capitale esprime sulle masse. Il posto di lavoro, infatti, è l’elemento alla base dei soprusi. La possibilità di poter far carriera e trovare un posto nella società, emergere, delegato al dover accettare richieste e azioni di natura sessuale; come dimostrazione della forza economica, del potere: “Non solo ti comando in azienda, ma domino la tua vita. Ti pago e prendo come lavoratrice, anzi nemmeno quello: un oggetto dei desideri, un capriccio, che io voglio e me lo prendo. Tanto il potere non giudica mai il potere e tu appari come la poco di buono che si infila nei letti degli uomini. Molte donne daranno ragione a me. Ti diranno che ci sei stata, te la sei cercata, tanto poi fai spettacolo, mica sei una donna reale e così via”. Perché il capitalismo si regge sul servilismo volontario di gran parte delle masse, in particolari quelle borghesi o che aspirano ad esser tali.

Il potere non giudica il potere, è il messaggio forte e indimenticabile di quel capolavoro assoluto che è “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. In quel caso, penso che lo sappiate tutti, un commissario uccide la sua amante, fa di tutto per farsi scoprire, ma niente! Non può finir processata una parte fondamentale della repressione statale. Qui dovrei ricollegarmi a un mio articolo precedente in cui analizzavo come la democrazia liberale (leggi qui), si fondi, in verità, sulla repressione delle libertà. Un mondo in cui la giustizia colpisce le fasce meno abbienti, come può interpretare le relazioni umane? Prendendo esempio da quello che capita in società. Certo, ai giorni nostri, non possiamo negarlo, vi sono margini di miglioramento per le donne, hanno l’idea di essere autonome, libere, ma queste libertà in sostanza son effimere, individualiste, si reggono sulle soddisfazioni e giustificazioni di scelte spesso azzardate o di comodo. Vi è una sorta di ipocrisia nel linguaggio, quando si parla di single, ad esempio, ma da quando il mercato ha scoperto che la o il single sono ottimi clienti, di fatto è cambiata l’idea che la gente ha di questa categoria. Ti illudi in questo modo di vivere in un sistema libero, ma tutto si sgretola appena una donna denuncia un abuso. Perché in quel contesto e sopratutto se riguarda alcune classi altolocate, cambia tutto. C’è il padrone e il dipendente, chi comanda e chi obbedisce. Cambiano i vestiti, si aprono contraddizioni sociali e di classe, ma alla base, i rapporti di classe sono rimasti gli stessi. Le donne che si “offrono” o che “ donano” le loro figlie sono vittime di un metodo di vita che si poggia esclusivamente sul culto del potente di turno, sulla ricerca costante di esser oggetti del desiderio più luccicanti rispetto ad altre per poter garantirsi i servigi del padrone. Moralmente ed eticamente codeste donne sono condannabili, certo. Però saremmo poco credibili come progressisti o comunisti, qualora non vedessimo le ragioni di classe mutate in un indecoroso mercato di vite e corpi. Le donne che “sfruttano” un modo veloce e immorale di far carriera, non sono delle arpie o streghe, ma persone completamente svuotate e distrutte dal sistema capitalista selvaggio e senza regole. Si mettono sul mercato, come prodotto. Loro sono le vittime di questo pensiero unico e forte: tutto si compra e tutto si vende.

I social network, come sempre, fanno da cassa di risonanza ai peggiori istinti delle persone. Servono per questo, una specie di moderno Colosseo, dove alcuni gladiatori involontari, subiscono insulti di ogni tipo da parte di frustrati e repressi, le persone vengono stritolate dagli ingranaggi di un sistema del lavoro sempre meno stabile, non hanno la forza per vivere un rapporto di coppia a lungo termine, così si abbandonano a dar della poco di buono, all’ennesima vittima di un rapporto malato. Sono gli stessi o le stesse che in caso di “femminicidio” in ambienti più popolari, proletari, difendono la donna e aggrediscono l’uomo-orco, ma che appena un caso di violenza si palesa nelle zone alte, improvvisamente devono difendere la loro classe, o quella in cui ambiscono a vivere.
D’altronde che i rapporti di coppia vivano in piccolo i rapporti di forza esistenti all’esterno, è vedibile in quasi tutte le famiglie proletarie. I compagni non cresciuti in un ambiente proletario son convinti che l’operaio sia rivoluzionario di suo. Negano il fatto che egli abbia bisogno di conquistare una coscienza di classe e che questa coscienza non debba solo esser legata alla sua fabbrica e a quello che gli gira intorno, ma che debba essere ampliata anche ai rapporti che lui ha colla sua donna e i figlioli. D’altronde proletario significa una cosa ben precisa: colui che non avendo nulla dalla vita, se non ore di schiavismo in luoghi di lavoro, ha a disposizione solo i suoi figli. I quali non sono esseri umani che han bisogno principalmente di affetto e amore, ma mezzi di guadagno. Più figli faccio. più facile che trovino lavoro, più soldi mi portano a casa
Questo è il proletario nudo e crudo. Non si dia ad esso colpa di comportamenti indegni per un padre, perché l’avete spinto voi, liberali e democratici, ad agire in codesto infausto modo.

Detto questo: anche nelle case dei proletari i rapporti tra marito e moglie, figli e genitori, sono sottoposti dalla classe e dalla forza, peraltro un doppio subire, che ripete nel piccolo della casa, quello che capita nelle dure ore di lavoro in fabbrica.
Lotta di classe e anti capitalismo devono perciò non essere linguaggi imparati a memoria, azioni esterne, momento di unione tra lavoratori, e basta. La prassi della lotta deve esser portata coerentemente all’interno della vita privata, in quanto non si può vivere una schizofrenia sociale di comportamenti in collisione perpetua tra di loro. Nondimeno risulta assai faticoso portare avanti un discorso simile, par quasi di comportarsi da borghesi che non comprendono la vita dura di chi vive sotto sfruttamento e in condizioni poco agiate. Questo perché per secoli si è imposto un pensiero di divisione tra pubblico e privato, ed è stato assimilato e portato in eredità da generazioni in generazioni. In sostanza, invece, si dovrebbe comprendere che la lotta di classe non conosce barriere o limiti e, con immensa fatica, debba radicalmente cambiare l’essere umano. Partendo da coloro che vivono sulla loro pelle i rapporti di forza, fino a dilagare in tutta la società.
Questo, ovviamente, deve cominciare anche dall’educazione dei figli.

Forse si dovrebbe proprio rivedere il concetto di “educazione”. O adattare essa a un pensiero “nuovo”. L’educazione che i genitori danno ai loro figli, serve a renderli uomini migliori e liberi, o è un atto di forza, nel quale si lega il bimbo a regole precise e ferree di obbedienza cieca, castrazione e manipolazione del carattere e individualità di ogni piccolo? Sento spesso parlare dei bei tempi in cui si davano i ceffoni, a quei tempi i bimbi erano tutti bravi e buoni. Certo, la punizione corporale spaventa un bimbo e per questo vedrà di non farsi beccare dal padre o dalla madre a far gesti non appropriati ai canoni rigidi dell’educazione famigliare. Detto questo non vuol dire che egli non ripeterà con i suoi coetanei più deboli, quelle sevizie o torti che sente di subire, ma giustifica perché il bimbo ama i genitori e non vuol dir o far nulla che vada contro costoro, nella sua casa. Nel rapporto di potere che subisce coi genitori.

I casi da Mammine pancine e simili, portano a un ragionamento del tutto sbagliato, figlio dell’impressione del momento, atteggiamento che vedo in gran parte dei compagni: le maniere forti e coercitive aiutano a farti crescer meglio. Mi fa piacere che costoro si sopravvalutino così tanto, ma basterebbe far legger i loro post o commenti, per comprendere che quel tipo di educazione “vecchia maniera" non ha influito per nulla bene. Sono rimasti quei bimbi spaventati che giustificano mamma e papà, solo che da adulti sostituiscono i genitori con altre figure di “comando” a cui affidarsi senza troppi pensieri.
Quando si combatte contro lo sfruttamento e la repressione si deve farlo in modo totale e in tutti i campi. Costa fatica, è un sentiero irto di difficoltà, ma non è possibile dividere nettamente un modo di vivere progressista e di sano socialismo fuori dalle mure di casa e comportarsi da reazionari e padroni dentro le mura di casa. Questo discorso vale per la borghese annoiata che difende i diritti civili e umani, solo quelli eh, ma poi dà della poco di buono a un’altra donna, sia al proletario in prima fila per i diritti sociali, solo quelli eh, che in casa però maltrattata moglie e figli. Entrambi, pur ritenendosi liberi o addirittura in contrasto dal /col sistema, ne sono in realtà parte centrale, spesso inconsapevolmente

Ritornando al discorso dell’educazione dei figlioli, è fondamentale la lettura dei saggi di Alice Miller. Ella era una psicoterapeuta che col tempo ha preso le distanze dalla terapia psicologica, arrivando a elaborare un suo metodo di lavoro, sarebbe affascinante discuterne e parlarne magari potremmo ritornarci in un prossimo articolo, ora ci interessa invece metter in risalto un suo aspetto, quello della: Pedagogia Nera.
Cosa significa questo termine? Tutte quelle regole dure, rigide, repressive, che per secoli sono state viste come ottime per educare il figliolo o la figliola a una solida obbedienza nei confronti dei genitori. Regole che servono ai padri e alle madri per aver una facile scorciatoia che li porti ad evitare tutte quelle problematiche tipiche, quando si hanno dei figli. Certo una madre o un padre a loro volta sottoposti dalla società ad obbedire e dar il massimo per render felice la figura dei padroni-genitori. Duro per una donna che lavora in fabbrica o un manovale, non ricorrere a punizioni corporali per far tacere i figli e i loro capricci. Non si richiede nemmeno che comprendano di portar in casa quel sistema che tanto detestano sul posto di lavoro. Rimane il fatto che anche in ambienti ritenuti immuni da certe “sgradevolezze” ci si comporti nello stesso modo
La Pedagogia Nera della Miller è interclassista e trasversale, nei suoi saggi manca una riflessione politica più radicale, ma non è quello che ella voleva evidenziare. Ci pensiamo noi, in questa sede, a tentarne una rapida e per forza di cose, monca, variazione sul tema.
Perché la nostra vita è un atto politico.

Le nostre scelte lo sono. Come il tipo di rapporto che viviamo cogli altri, sia in relazioni di lavoro o amicizia, che in quelle più intime: di copia o famigliare.
Nella fabbrica occupata, nello studio di un losco produttore, nelle case della borghesia o del proletariato, il Capitalismo da troppo tempo impone un sistema economico-politico-affettivo che dovremmo debellare del tutto. Non fermandoci solo alle cose che riteniamo importanti per noi o che comprendiamo facilmente. Conoscere le contraddizioni di classe che portiamo a casa, vedere non tanto una battaglia dei sessi, deviazione borghese per cui bastano due diritti in croce e tutto è sistemato, ma un rapporto padrone-sottoposto che usa metodi legati al sesso, ma che non riguardano affatto esso.
Sono cose complesse, difficili, che ci vedono divisi e in lotta, ma che rientrano, o dovrebbero farlo, nel linguaggio politico e umano, di ogni compagno e compagna.
Per una rivoluzione sociale e socialista a larga scala.

Ultima modifica il Giovedì, 02 Novembre 2017 22:29
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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