In questi mesi si parla di amnistia per uno scopo ben diverso: ridurre il sovraffollamento delle carceri, che continua ad essere, nonostante il recente indulto (2007), a livelli intollerabili per un paese che pretenda di dirsi civile. Ciò, sebbene possa sul momento alleviare il problema, sarebbe sbagliato per due ragioni: perché premierebbe chi commette reati, frustrando i cittadini onesti e tradendo ancora di più il già bistrattato senso di giustizia, e perché questo istituto non ha la funzione di risolvere i problemi di affollamento delle prigioni e non è neanche in grado di farlo. Analizziamo quindi queste due ragioni.
L'amnistia è un colpo di spugna, una rinuncia a punire alcuni reati indicati nel provvedimento che la dispone. Molti delinquenti di professione si troverebbero improvvisamente liberi da ogni addebito, impuniti, con in più la convinzione che la difficile situazione delle carceri porterà a periodici abbuoni. I cittadini onesti vedrebbero invece il loro senso di giustizia frustrato da quello che percepirebbero come una sorta di “premio” per i disonesti. Potrebbero, è vero, godere del beneficio persone ingiustamente perseguite, ma molti di più sarebbero i beneficiati ingiustamente. E sicuramente il legislatore, che seleziona i reati per cui vale l'amnistia, nello scegliere tra favorire un militante No Tav o un evasore fiscale, non avrebbe dubbi. Sarebbero sicuramente salvati Berlusconi, i filibustieri della finanza, delle banche e delle assicurazioni, corruttori e corrotti a livello locale e nazionale, speculatori edilizi e inquinatori di professione, i condannati per il massacro del G8 di Genova e, per tornare al carcere, i colpevoli delle violenze sui detenuti e gli assassini di Aldrovandi e di tutti gli altri “inspiegabilmente” morti in stato di detenzione o di arresto. Tutta gente che, oltretutto, in carcere ci finisce difficilmente.
Il secondo importante argomento è la funzione dell'amnistia, che non è una misura creata per svuotare le carceri quando siano troppo piene. Sarebbe riduttivo e svilente attribuire questa funzione ad un istituto che invece ha alla propria base una forte valenza ideologica, politica e sociale. Oltretutto si tratta di misure tampone, che rimandano il problema senza risolverlo. Per fare un paragone, il sistema carcerario italiano è come uno sportivo con un ginocchio gravemente infortunato: le terapie (amnistia o indulto) permettono di ridurre il dolore e magari anche di allenarsi, ma il problema può essere risolto solo con un intervento chirurgico.
Bisogna allora individuare qual è, in ambito carcerario, l'intervento chirurgico adatto, che potrebbe essere costituito da due soluzioni: l'utilizzo delle misure alternative alla detenzione e la profonda modifica della legge sulle droghe, la famigerata Fini-Giovanardi.
Le misure alternative ci sono e consentono un controllo sufficiente e un'afflittività della pena comunque adeguata per i reati meno gravi. Da non sottovalutare poi è l'importante possibilità di scontare la pena attraverso i servizi sociali, che permetterebbe di restituire alla società sotto forma di servizi il danno compiuto commettendo il reato. Inoltre vi sono sanzioni accessorie che per certi soggetti possono essere ben più punitive della detenzione.
Pensiamo all'interdizione dai pubblici uffici: per un politico corrotto una lieve pena detentiva, magari da scontare ai domiciliari o con i servizi sociali, può essere accettabile, ma molto più dura è una lunga interdizione, che lo tiene lontano dal potere e dalla possibilità di avere di nuovo le “mani in pasta”. Discorso simile potrebbe valere per un imprenditore che evade le tasse o non predispone le misure di sicurezza, per cui impedire di partecipare a gare pubbliche e di concludere contratti con le pubbliche amministrazioni, nonché di esercitare la propria attività d'impresa, potrebbe essere più afflittivo della detenzione.
Ragionamento diverso merita invece la legge Fini-Giovanardi. Questa legge sanziona l'uso e lo spaccio di sostanze stupefacenti, e lo fa in maniera durissima. Non è nata per colpire i grandi trafficanti (contro i quali c'erano già norme efficaci) ma i piccoli spacciatori e i consumatori, tutti sanzionati in modo durissimo. Risultato: carceri piene di piccoli spacciatori, cui potrebbero essere applicate tranquillamente misure alternative, come gli arresti domiciliari, e tossicodipendenti, per i quali il carcere non è propriamente il posto migliore in cui risolvere i problemi. Non solo, in carcere rischiano di finire i consumatori saltuari trovati con piccoli quantitativi di sostanze stupefacenti.
Queste soluzioni non richiedono né soldi né molto tempo, possono essere messe in atto in tempi brevi e portare grandi benefici. Chi non le considera e propone l'amnistia o l'indulto non vuole risolvere il problema, vuole solo dare una mano a qualche amico, e magari creare un aumento dei reati con conseguente allarme sociale, ponendo le basi per giustificare un futuro inasprimento delle normative di sicurezza.
Far vivere dignitosamente i detenuti è possibile, e lo si può fare senza colpi di spugna e nel rispetto della giustizia. Basta volerlo.