Giovedì, 06 Marzo 2014 00:00

Primo Marzo antirazzista a Firenze: siamo tutti sulla stessa barca #2

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Tocca poi a Barbara Orlandi della CGiL Firenze, la quale riporta la forte preoccupazione che avverte il suo ed altri sindacati che affrontano le enormi difficoltà che soprattutto oggi sta vivendo il mondo del lavoro; ma la preoccupazione ulteriore è che in tempi di crisi la tentazione sia quella, pericolosissima, di poter accantonare i diritti fondamentali, della cittadinanza, del lavoro, della libertà, del voto... E continua il suo intervento citando le parole di Yvan Sagnet, sindacalista in CGIL che ha scritto un libro, Ama il tuo sogno, sulla propria esperienza, a cominciare da quella terribile, vissuta come bracciante nel campo di pomodori di Nardò, nel 2011: “Appena arrivati, i caporali requisiscono i documenti ai braccianti e li usano per procurarsi altra mano d'opera, altri immigrati, ma clandestini. Il rischio che i documenti vadano persi è altissimo e quando accade i braccianti diventano schiavi. Le condizioni di lavoro sono agghiaccianti: diciotto ore consecutive, di cui molte sotto il sole cocente. Chi sviene non è assistito e se vuole raggiungere l'ospedale deve pagare il trasporto ai caporali. Il guadagno è di appena 3,5 euro a cassone”. A proposito della sua e di altre migliaia di esperienze simili, Orlandi sottolinea come si debba reintrodurre nel

nostro vocabolario termini forti ma purtroppo reali, come riduzione in schiavitù. Perché di schiavismo si tratta quando i caporali costringono a lavorare ore infinite sotto un sole cocente per soli due euro al giorno. Sagnet, lì nel campo, ha avuto il coraggio di combattere contro questo sistema e si è fatto promotore di uno sciopero, dovendo fare i conti non soltanto con i caporali – “falla finita con lo sciopero o puoi considerarti morto”, queste le loro minacce – , ma con la rabbia e la frustrazione dei suoi stessi compagni, i quali convinti che il fallimento dello sciopero fosse dipeso da Sagnet, lo accusavano di avergli fatto perdere ore di lavoro e paga – per quanto misera: “adesso avevamo solo più fame di prima”, si legge nelle pagine del libro. Nonostante ciò l’ “eroe” Yvan non si è mai arreso e è sempre rimasto persuaso che fosse sulla strada giusta, e che l’unico modo per sperare di migliorare quella situazione era lottare. L’altro termine da tenere ben presente a mente è quello dei “beni comuni”, che includono anche il rispetto della legalità e il mantenimento dei diritti sul lavoro e la tutela soprattutto di quei soggetti che sono più esposti alle ingiustizie e sono più vulnerabili e disarmati.

A sdrammatizzare e a regalarci un sorriso è stato poi Saverio Tommasi, che è riuscito a farci ridere (riso un po’ amaro) prendendo con sarcasmo e ironia la questione del razzismo, elencando 10 buone ragioni per cui conviene essere razzisti: per esempio non dobbiamo imparare altre lingue, dato che i fiorentini razzisti parlano solo con quelli della propria regione, anzi, meglio ancora, soltanto con quelli della propria città in nome di un razzismo esteso!; oppure conviene perché il razzista non pensa, non rimugina su questo e quello, non cerca motivi, per esser razzista devi solo essere imbecille, non bisogna stare a cercare tante spiegazioni! Ancora: tutti i luoghi comuni e le frasi fatte son dalla parte del razzismo (i cinesi son tutti uguali, gli zingari rubano ecc ecc…). insomma Tommasi è riuscito a rendere cinicamente divertente un tema così delicato, lasciando però emergere, l’assurdità, la vacuità e la stupidità dell’esser razzisti.

Infine come sempre, conclude il dibattito, il nostro Pape Diaw la cui foga e partecipazione, la cui energica rabbia ci ha fatto venire brividi più forti di quelli provocati dalla morsa del freddo. La sua voce accalorata ha fatto risuonare la piazza e penso che la sua folgorante e infervorata concitazione continuerà a palpitare in molti dei cuori che battevano all’unisono nella piazza. La mobilitazione ricorrente del primo marzo, esordisce Pape, ci ricorda che tutti quei 5 milioni e più di esseri umani che subiscono gli effetti di una politica sorda e intollerante, non sono invisibili. Se tutti loro decidessero di fermarsi, l’economia del Paese subirebbe un collasso irreparabile. Braccianti al sud, a Bari, a Foggia.. che vengono schiavizzati, vivono in baracche di cartone e lavorano come bestie da soma per guadagnare la bellezza di due euro al giorno; le arance e gli altri frutti che mangiamo sono macchiati del loro sangue. Poi un triste lamento su piazza dei Ciompi, che da un po’di tempo a questa parte è diventata la piazza di Forza Nuova, in una città che si dice rossa, ma che ora si è scolorita un bel po’ e il suo è diventato un rosso molto sbiadito e sempre più pallido. L’altro motivo di profonda tristezza, continua Diaw, è la totale assenza di politici, in giornate di mobilitazione come questa del primo marzo. La politica deve mettersi di fronte alle sue responsabilità, questa politica che sfortunatamente si sta spostando sempre di più verso il centro e verso la destra. Altra tristezza è che con la crisi si sta smettendo ancora di più di parlare di immigrazione, nonostante i suoi effetti li subiscano tutti: a Bergamo tutti quegli stranieri che hanno perso il lavoro sono diventati clandestini, pur vivendo in quella città da più di 25 anni e che rischiano l’espulsione per aver perso il loro lavoro; a Roma un giudice ha detto che persino i figli iscritti nelle nostre scuole non sono più un valido deterrente per impedire il respingimento dei loro genitori. Si sta andando sempre di più verso una deriva razzista, ingiusta, intollerante e indegna per chi la subisce ma anche per chi non condivide questa politica indegna e antidemocratica da cui non si sente rappresentato. E la cosa terribile è che sembra che tutte quelle militanze, tutti questi primi marzi, le manifestazioni, le varie campagne, durino un battito di ala, un soffio di vento e poi si disperdano nell’abissalità di un vuoto e un silenzio sempre più abissali. Che fine ha fatto la campagna “L’Italia sono anch’io?”, per esempio? E tutte le altre? Non si parla neanche più di diritti umani. Il primo marzo dovrebbe essere ogni giorno, così come la lotta contro le discriminazioni. La battaglia deve esser portata avanti tutti i giorni, con determinazione a autoorganizzazione, impedendo che la crisi calpesti, faccia sparire i diritti dei migranti. C’è bisogno urgente di certezze, risposte politiche, concrete, non specchietti per le allodole o lacrime fuggevoli quando muore qualcuno. È troppo facile piangere il morto senza aver fatto nulla per impedire quella morte innocente, che poteva esser evitata. L’unico vantaggio della crisi, forse è che ora si sta creando una sorta di “alleanza tra poveri”, così che si arriva a condividere certi diritti di cui adesso non gode più chi prima invece li aveva: come la casa, la sanità, il lavoro. Ciò fa capire come non ci siano diritti di qualcuno e non di qualcun altro, diritti elitari e negati ad alcune minoranze: i diritti accomunano tutti.
Dobbiamo mobilitarci in vista della prossima campagna elettorale e cercare di rimettere in piedi forze di sinistra che possano portare avanti certe battaglie imprescindibili per i diritti che stanno scomparendo. Battaglia che dobbiamo fare tutti assieme. Per adesso non c’è alcun segnale dall’attuale governo- persino il ministero dell’integrazione è stato fatto fuori, certo, crearlo non era la soluzione a tutti i problemi, ma era per lo meno un segnale. La politica deve aprire gli occhi e soprattutto trovare una ferrea volontà di dare risposte a chi per troppe volte si è visto sbattere la porta in faccia. La forza di questo Paese la crea col suo impegno e il suo rispetto per l’altrui umanità e per i valori di libertà, condivisione, co-appartenenza e democrazia ogni soggetto che entra a farne parte, straniero o italiano che sia, altrimenti lo lasceremo morire ma a quel punto non ci sarà neanche più qualcuno a piangerne la morte.

"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,

e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,

e non c’era rimasto nessuno a protestare."

Bertold Brecht

Ultima modifica il Giovedì, 06 Marzo 2014 08:50
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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