per questi obiettivi; non ingannino le entrate femminili nei consigli di amministrazione o nel giornalismo, questo riguarda un piccolissimo segmento di donne. L'atto del riconoscimento della parità della presenza femminile in Parlamento, da questo punto di vista, avrebbe rappresentato un risarcimento simbolico dei danni immensi subiti da milioni di donne in questi anni; non solo, avrebbe rappresentato un monito ai portatori maschili o istituzionali della violenza antifemminile, fatta di milioni di atti quotidiani apparentemente minori, non solo di “femminicidi”; e avrebbe rappresentato un atto educativo nei confronti di questi portatori. Non è vero che gli atti giuridici non incidono sui comportamenti anche rimodellandone le motivazioni. Non è vero che solo la punizione modifica il comportamento.
Ma, appunto, il riconoscimento della parità della presenza femminile in Parlamento “avrebbe potuto”: perché in realtà non è accaduto. La Camera dei Deputati la sera dell'11 marzo, a tre giorni dalla giornata internazionale della donna, ha votato a larghissima maggioranza contro tale riconoscimento. Si rammenti che alla Camera il Partito “Democratico” dispone della maggioranza assoluta dei seggi; e si noti che almeno un centinaio di parlamentari di questo partito ha dunque votato contro. Vergogna! Almeno i fascisti hanno avuto il coraggio di dichiarare la propria contrarietà: voi cosiddetti democratici l'avete esercitata mimetizzati dal voto segreto. Vi siete comportati peggio dei fascisti.
Tutto è stato inventato, inoltre, a giustificazione di questa canagliata. Il riconoscimento della parità della presenza femminile in Parlamento, alterando la legge elettorale in discussione, risultato dell'accordo tra Renzi e il puttaniere Berlusconi, avrebbe determinato la fine di questa legge, è stato detto. Ma, stando a Renzi, non si tratta di una legge di portata epocale, “rivoluzionaria”, destinata a cambiare l'Italia, ecc.? Però, contro le donne, appesantendone ulteriormente le già pessime condizioni di vita? Poi, si è detto, l'eguaglianza di diritti uomo-donna non può passare, banalmente, per una legge elettorale. Certo non sono le leggi a cambiare il mondo, sono i movimenti di popolo, sono i cambiamenti di mentalità delle maggioranze: ma le leggi servono, eccome, a facilitare i cambiamenti. Così come, d'altra parte, servono a impedirli: se, per esempio, ci si mette d'accordo, nella fattispecie, con un puttaniere; se l'accordo (ultraspregiudicato, tutto di potere, esso sì volgare) con un puttaniere viene prima delle richieste di vita di metà della popolazione.
Diciamo come stanno le cose: oltre un centinaio di rappresentanti alla Camera di Partito “Democratico” ha votato per tenere attaccata al proprio sedere la sedia. La crisi della cosiddetta riforma elettorale epocale ecc. avrebbe potuto fragilizzare il governo Renzi, e questo, insieme alle altre buche che egli sta infilando, potrebbe portare a elezioni anticipate, con tanto di rischi di perdita di sedie. Democratici mica tanto, ma fessi proprio no.
Renzi naturalmente ha subito sparato fuori il rimedio: il Partito “Democratico” farà le sue liste elettorali all'insegna della parità uomo-donna. Come no: il centinaio di suoi rappresentanti alla Camera indubbiamente, se no saranno sganassoni, cambierà idea.
Rimane la possibilità che il Senato provveda affermando la parità della presenza femminile in Parlamento. Dunque, che sia per il significato generale che attraversa i fatti in questione che Renzi vuole farlo fuori? Cioè, perché, come vollero i costituenti, l'esistenza di un Parlamento composto di due rami tende a migliorare la qualità democratica delle leggi?
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