Mercoledì, 26 Febbraio 2014 00:00

Il Partito Democratico, gli ultimi dodici mesi e le due strade

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È davvero una storia singolare quella del Partito Democratico in questi ultimi dodici mesi. Presentatosi alle elezioni con grande sicumera, ne uscì assai malconcio ed ebbe a subire nei mesi seguenti ulteriori rovesci: dall’impasse sull’eventuale governo Bersani con il M5S alle giravolte Marini-Prodi-Napolitano al governo col Pdl: tutti fenomeni che avrebbero dovuto logorare il partito e che – soprattutto i 101 franchi tiratori contro Prodi e il governo di grande coalizione – sono rimasti indigesti al suo elettorato.

A distanza di un anno, invece, il Pd appare aver rafforzato il proprio capitale di influenza politica, e ciò, al di là dell’energia renziana, sostanzialmente per un motivo di sistema: l’immobilismo dei suoi avversari e le loro minori capacità di fare politica.

Perciò i paralleli tra la centralità Pd di oggi e la centralità Dc, avanzati da Bertinotti e da Serra (Michele, non Davide…), non colgono un punto: la Dc doveva la propria centralità (anche) alla capacità di rappresentare una fetta politicamente egemone della popolazione italiana; il Pd la deve (anche) alla semi-paralisi degli altri due partiti maggiori.

Tolti i partiti maggiori restano però i “minori”: ad essi il Pd deve necessariamente appoggiarsi per raggiungere sia una maggioranza al Senato sia una maggioranza nel Parlamento in seduta comune. Un primo grande interrogativo sull’articolazione di queste maggioranze è: quali accordi si raggiungeranno/si sono raggiunti tra il Pd e il Nuovo Centrodestra?

Ncd appare sempre più una ripetizione del tentativo finiano, con un calo costante nei sondaggi e un sostegno di fatto nullo da parte del centrosinistra. Come con Fli, infatti, anche con Ncd il centrosinistra ha mancato di supportare attivamente lo sviluppo di un partito di destra costituzionale la cui presenza sarebbe un fattore positivo per l’Italia. E anche volendo disinteressarsi del sistema per concentrarsi solo su interessi privati, una banale tattica di divide et impera consiglierebbe di sostenere la competizione nel campo avversario.

Una seconda e più importante questione riguarda quali saranno i confini della maggioranza che eleggerà il prossimo Presidente della Repubblica – e, di conseguenza, chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica. Dovrebbero restare ancora valide le parole pronunciate da Bruno Tabacci in aprile: «ci sono tre figure che potrebbero concorrere e che rispondono a quelle caratteristiche internazionali, su cui dovremmo concentrarci: Mario Monti, che si è tirato fuori da solo; Romano Prodi e Giuliano Amato». Il respiro continentale di questi nomi avrà tanta più importanza se, come pare, Napolitano si dimetterà nella finestra tra le elezioni europee del 25 maggio e l’inizio, il 1° luglio, del semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue.

Il Pd ha davanti a sé due strade, dalla cui scelta dipenderà non solo il futuro del governo Renzi, ma anche l’articolazione di fondo del sistema politico. Una strada è quella che, per citare una formula cara a Bersani, può essere definita «l’usato sicuro», e che si riassume nelle proposizioni “Berlusconi è tra i nostri avversari quello più rappresentativo dell’elettorato italiano; egli resta dunque il nostro principale interlocutore istituzionale”. In questo quadro Ncd è un alleato del tutto contingente, i cui destini sono marginali e poco interessanti. La seconda strada non è l’usato sicuro: essa presuppone un Pd che non si limita a prendere atto del campo avversario, bensì contribuisce a formarlo. Gli interlocutori d’obbligo diventano dunque Ncd e i dissidenti del M5s, che potrebbero essere raggiunti con la mediazione di Sel o di Civati (l’ego di Pippo sembra però messo a dura prova dal successo di Renzi). Questo scenario è dispendioso per il Pd poiché si fonda su una sua opera di attiva disarticolazione delle altre aree politiche (separare i grillini da Grillo e Ncd da Forza Italia).

I nomi per il Quirinale, com’è chiaro, risulterebbero molto diversi: Amato in caso di asse privilegiato con Fi, Prodi in caso di costruzione di un nuovo sistema. Si vede come l’inclusione di Ncd in una maggioranza per Prodi sia strettamente legata alla netta separazione tra il partito di Alfano e quello di Berlusconi.

Quale strada sceglierà Renzi? La psicologia dell’uomo lo tira in due direzioni diverse. Il suo radicale istinto di tattico lo indirizzerebbe sull’usato sicuro. D’altro canto, egli è anche l’uomo che dopo 91 anni ha infranto il record di Mussolini quale capo di governo più giovane dell’Italia unita: l’ambizione e il gusto della sfida, anch’essi molto robusti nel suo carattere, gli mostrano la possibilità di forgiare un nuovo campo di forze.

Ogni scelta presenta rischi, ma se Renzi riuscisse a costruire una maggioranza per il Quirinale su Prodi (e collegata, come visto, a scelte di sistema) otterrebbe non pochi vantaggi presso l’elettorato e in special modo quello di centrosinistra: recupererebbe infatti la connessione sentimentale con chi ne diffida come di un giovane Berlusconi e potrebbe rivendicare di essersi imposto sulle faide interne e sui 101.

Immagine ripresa liberamente da wikimedia.org

Ultima modifica il Martedì, 25 Febbraio 2014 21:32
Jacopo Vannucchi

Nato a Firenze nel 1989. Ho conseguito la laurea triennale in Storia con una tesi sul thatcherismo e la magistrale in Scienze storiche con una ricerca su Palazzuolo di Romagna in età risorgimentale. Di formazione marxista, mi sono iscritto ai Democratici di Sinistra nel 2006 e al Partito Democratico nel 2007.

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