Volendo recuperare un vecchio arnese della retorica “democratica”, dovremmo andare a cercare nei dibattiti a tema ambientale dell'ultimo governo Prodi. Anche allora quella che era (ed è) una crisi profonda e strutturale delle filiere produttive, si stava trasformando, per volere di quegli imprenditori che per decenni non avevano investito né in innovazione né tanto meno in doverose bonifiche, in un ghiotto affare per chi quelle filiere le voleva chiudere e chiudere alla grande, speculando sui miseri resti dell'industria italiana e, in definitiva, su tutti i rifiuti e residui del sistema dei consumi. Ecco dunque nascere l'”ambientalismo del si”: di fronte ai soliti e triti moralismi dei Verdi, dei partiti della sinistra radicale e delle associazioni ecologiste, si prospettava una nuova filosofia che, mossa da sincero amore per i territori, approvasse in pieno un po' qualunque cosa: si al nucleare, si agli inceneritori, si alle centrali a carbone. Si, si e ancora si!
Erano gli albori di un vero e proprio paradigma, che vede le questioni ambientali da un punto di vista meramente attuativo. Legiferare in materia ambientale non era più una questione di razionalizzazione e sintesi fra necessità e doveri dei territori, del mondo produttivo e dei consumi e sperimentazione e studio via via di nuove tecnologie per lo smaltimento ed il monitoraggio. Fare leggi in materia d'ambiente diventava quasi esclusivamente una questione di mera razionalizzazione burocratica. Lo sviluppo del territorio era materia attinente alla sola urbanistica, e come in urbanistica, specie in tempi di crisi, l'unico problema da risolvere era quello di farla ripartire, di “sbloccare” qualcosa che si era inceppato. Si preparava il terreno per quello che poi sarebbe diventato il Codice dell'Ambiente del 2006, noto anche come Decreto Matteoli, che di fatto in materia d'incenerimento, come in molti altri, introduceva come unica vera novità una sostanziale de-regolamentazione: procedimenti più snelli, meno beghe sul fronte controlli (in primis i procedimenti di Valutazione d'Impatto Ambientale, Valutazione ambientale strategica e Prevenzione e riduzione integrale dell'inquinamento). L'unica cosa da garantire con assoluta certezza era il completamento degli iter in tempi certi, costi quel che costi.
È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende. E se è Matteoli a tracciare, la spada, proprio in questi giorni, è il recentissimo decreto Sblocca Italia (testo integrale in fondo), che entra a gamba tesa in un impeto di decisionismo su molte vertenze. Se molte regalie a imprenditori e speculatori si possono stanare nel decreto in tutto quello che concerne la cessione del patrimonio pubblico (caserme, scuole, case cantoniere, stazioni ecc...) dove avviene per la prima volta e a scapito della pianificazione una scelta delle priorità a favore della proprietà privata, come se questa nel suo complesso fosse immune da fenomeni di abbandono di stabili e "latifondo urbano", sul fronte ambientale si assiste ad un'accelerazione esasperata sulla via tracciata, appunto, dal Codice dell'Ambiente e dalla filosofia di cui si faceva portatore.
La rivoluzione è in un pugno di articoli: si comincia con il 35, sulle misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale. Infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale – si legge all'articolo – sono anche gli inceneritori/termovalorizzatori. I tempi, già abbreviati, si dimezzano sia sul fronte degli espropri che sulle valutazioni d'impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale. Nell'alimentare gli inceneritori, si dispone, "deve essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e a saturazione del carico termico, devono essere trattati rifiuti speciali non pericolosi o pericolosi a solo rischio sanitario”.
A completamento del quadro sta quindi l'obbligo di mantenere gli impianti a “saturazione del carico termico”, ovvero a pieno carico. Un obbligo che nel decreto viene affiancato alla possibilità di far circolare con maggiore facilità i rifiuti da regione a regione, elemento quest'ultimo che fino ad oggi era previsto solo per i rifiuti speciali e adesso riguarderà anche i rifiuti solidi urbani. Il tutto, ovviamente, d'ufficio, con la direzione del Ministero dell'Ambiente che in questa materia attua una vera e propria de-responsabilizzazione delle Regioni. Fenomeno quest'ultimo che viene incentivato anche in merito alle trivellazioni, al centro dell'articolo 38, nel quale vengono considerate strategiche tutte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, diminuendo l’efficacia delle valutazioni ambientali, emarginando le Regioni e forzando sulle norme che avevano dichiarato dal 2002 off-limits l’Alto Adriatico, per il rischio di subsidenza.
Quando poi gli impianti già esistenti non saranno sufficienti, se ne faranno di nuovi. Opere definite nel decreto “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale” sulle quali sarà sempre compito del Ministero dell'Ambiente prendere l'ultima decisione. Elementi questi che negli ultimi giorni stanno mettendo d'accordo in un unica protesta il Movimento Cinque Stelle, specie nelle regioni del nord, la Regione Lombardia, da sempre contraria alla libera mobilità dei rifiuti sul territorio nazionale e persino l'Asso Arpa, l’associazione delle agenzie regionali per l’ambiente, che in un’audizione alla Camera recentemente ha disegnato lo scenario di un rischio sanitario aumentato, con particolare riferimento alla messa a pieno carico degli impianti già esistenti.
Uno scenario a tinte fosche, insomma, per la qualità dell'aria, in un paese dove a sbloccarsi sono solo i vincoli di legge, le regole, le norme. Con buona pace di enti locali e territori.