La riflessione però ha un retrogusto amaro per mille motivi; l'Italia, seguendo il processo De Luca, si è rsicoperta pseudo-libertaria, mille infatti sono stati i post su facebook, i tweet, i messaggi semplici di solidarietà allo scrittore No Tav. Il sentito e passionale discorso di De Luca, enunciato in aula il quale citava Gandhi e Mandela, ribadendo ancora una volta la necessità di sabotare l'alta velocità e tutte le grandi opere per proteggere uomini e donne e territori dalla speculazione affaristico-mafiosa è stato apprezzato da molti. Personalmente, mi ha fatto molto piacere la sentenza emessa dal tribunale di Torino, una scelta contraria avrebbe costituito un precedente pericolosissimo che nessuno di noi poteva permettersi, in fondo diciamocela tutta, la chiusura del processo costituisce una piccola-grande vittoria.
Il problema, come sempre, risiede in tutto ciò che viene dopo. Il processo alle opinioni subito da Erri De Luca infatti è un progetto voluto da magistrati che da tempo mirano a contenere i fuochi della resistenza valsusina, vero baluardo inespugnabile dall'affarismo speculativo che vige sovrano in questo paese.
Se De Luca è stato processato per istigazione alla violenza, andando a “scomodare” un articolo del codice penale dichiaratamente fascista, tantissimi sono gli uomini e le donne che in questi duri anni di lotta e battaglie per difendere semplicemente la loro terra hanno passato giorni interi, mesi e anni in galera, rei di aver osato dissentire rispetto ad un progetto assolutamente inutile, sterile e vergognosamente antidemocratico come quello della Torino-Lione. I nomi e i volti sono tanti ed è persino difficile enunciarli: Claudio, Chiara, Marco e Niccolò sono solo gli ultimi di una lunghissima serie che ha radici, purtroppo ormai trentennali. Una terra che si è stretta attorno alla lotta, in maniere solidaristica, cooperativa forse utopica per i tempi che corrono.
“Ti sbattono in galera che sei un'anima bella, diventi un corpo inanimato in cella”, questa frase presa da un pezzo degli Assalti Frontali ( Mappe della Libertà ndr ), storico gruppo rap-militante romano, spiega in maniera “canzonata” quello che significa il carcere oggi soprattutto quando quest'ultimo sopraggiunge per reati che riguardino il dissentire rispetto al pensiero di chi prende le decisioni. Don Gallo compianto prete-partigiano genovese spesso nei suoi discorsi pieni di enfasi e carichi di emozione parlava delle condizioni disumane delle carceri; siamo sicuri che tutti gli #IostoconErri di questi giorni siano così benevolenti con chi oggi prova questa a combattere certe dinamiche rischiando poi seriamente di perdere la propria libertà.
E' lo stesso scenario visto e rivisto in quel di Niscemi, ai piedi del Muos: avvisi di garanzia, denunce, fogli di via; pochi esprimono la propria solidarietà quando qualcuno viene colpito da determinati “trattamenti”.
La società rimane quindi pavida avulsa da determinati contesti e preferisce parafrasando Gaber: “La rivoluzione? Oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente. E' chiaro che nella liquidità della nostra società affrontare tematiche che riguardino il bene collettivo provando ad opporsi in maniera legittima a scelte dall'alto insensate è sempre più difficile. Difficoltà amplificata da un fattore “antropologicamente” italico: un paese dove il fascismo ( Salvini docet ) è opinione, mentre il dissenso (anche quello più “pacifico”) è reato.