Era necessario, ed è profittevole, pur accettando gli assiomi del libero mercato, vendere l'Ilva? Un Paese affamato di acciaio, dalla bilancia commerciale in passivo (per ragioni geologiche, verrebbe da dire, anche se il poco petrolio che c'è, a sinistra, sembra eresia dire che vada estratto) rischia dunque, quasi a cuor leggero, di privarsi di uno degli ultimissimi settori industriali di base che le erano rimasti (dopo aver perso la chimica e mentre si fa di tutto per perdere la cantieristica).
Il governo, che dopo la sciagurata gestione Riva (che ha procurato danni ambientali in misura tale da determinare un commissariamento che è quasi bestemmia per i circoli che contano) aveva la possibilità di riprendere a sé un settore chiave per lo sviluppo del Paese, ha preferito – non per cattiveria, ma per naturale inclinazione ideologica – mettere una pietra sopra la nostra industria dell'acciaio.
Il rischio è infatti, che ad acquistare l'azienda, siano i soliti pescecani dell'industria globale, interessati ad acquisire l'azienda per acquisirne il mercato e poi chiuderla (una scena che troppe volte si è vista su e giù per lo stivale) oppure ancora qualche cordata di mascalzoni senza denaro e senza idee (e di queste "cordate" buone solo per le conferenze stampa se ne vedono ogni giorno).
Ben altre potevano essere, e potrebbero ancora essere, le sorti di questo grande gruppo industriale se inserito nell'ambito di una grande holding pubblica dell'industria... holding, della quale, invece, il governo, non vuole lasciare nessuna possibilità teorica, vendendo il vendibile (da Fincantieri ad ampi settori di Finmeccanica fino alle Poste, le quali sarebbero strumento ideale di controllo pubblico, quantomeno di un pezzo, di credito).
Cosa manca, dunque, a che l'idea di pubblico, di un pubblico efficiente, possa affermarsi nel Paese e possa vivere, anche trasversalmente alle forse politiche? Manca una politica (ma non soltanto a sinistra, manca anche, dall'altro lato, un Fanfani) che abbia un'idea di generale di Paese, e che sappia affermarla con il coraggio che questa idea merita.
A vincere sono oggi, per adesso, i fanatici della nuova religione liberomercatista e quanti si adoperano in servizi di meretricio in favore di grandi gruppi privati.
Noi per chiuderla con le parole di Di Vittorio, non possiamo che riaffermare che “soltanto i lavoratori italiani hanno a cuore l'industria italiana”.