Mercoledì, 24 Gennaio 2018 00:00

Il mistero dell’influenza

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Il mistero dell’influenza

Tutti siamo passati almeno una volta dall’influenza. Ma cosa nasconde questa particolare malattia virale?

L’influenza la conosciamo tutti: è quello “stato dell’animo” che ci mette KO nella stagione invernale, che porta febbre, raffreddore, disturbi respiratori, dolori articolari e muscolari, affaticamento e che, in casi particolari, può sfociare in situazioni anche molto gravi come polmoniti e altre infezioni.
L’influenza però può essere anche quella malattia, conosciuta con il nome di spagnola, che fece più morti della Grande Guerra esattamente un secolo fa. Dove sta quindi la differenza? Come può la stessa malattia essere una piaga pestilenziale da milioni di morti o un banale malanno di stagione? Per capire a fondo questa malattia dobbiamo andare nello specifico: l’influenza è una malattia virale a base di RNA (acido ribonucleico) che esiste in due forme. La forma A è quella degli uccelli acquatici, quella B degli uomini. La forma A può, mutando, passare anche negli uomini e diventare quindi molto pericolosa. All’interno della forma A della malattia esistono inoltre numerose sottoforme che si distinguono in base alle loro proteine di superficie: l’emoagglutina (H) e la neuraminidasi (N). Negli uccelli esistono 18 forme di emoagglutina e 11 di neuraminidasi che possono combinarsi tra loro in moltissime maniere. Le forme di influenza prendono il nome dalla combinazione di queste proteine (HxNy).

Altra digressione necessaria: i virus sono qualcosa all’interfaccia tra vita e non vita, contengono un pezzo i DNA o RNA che, entrando nelle cellule viventi, produce danni e infezioni. L’interazione tra virus e cellule avviene, appunto, attraverso le proteine di superficie, che hanno la funzione di interagire e favorire l’adesione e l’incorporamento del virus nella cellula. Il nostro sistema immunitario è fatto in modo da riconoscere le proprie proteine (self) da quelle estranee (non self) e da produrre anticorpi in grado di distruggere quelle non proprie. Ad oggi solo le forme H1N1, H2N2 e H3N2 si sono adattate all’uomo e solo la prima e la terza sono attualmente in circolo negli esseri umani. Detto questo, però, va ricordato che, sebbene tutte le forme A possano infettare l’uomo, solo quelle che si adattano in una determinata maniera possono poi essere trasmesse da uomo a uomo, diventando potenzialmente pandemiche.

Il virus dell’influenza ama il freddo, è originario delle steppe siberiane e si diffonde in tutto il globo durante le varie stagioni invernali, australe e boreale, attraverso sia il contatto con superfici contagiate sia attraverso starnuti o colpi di tosse. Praticamente, date queste sue caratteristiche, è impossibile evitare di entrare in contatto con il virus, che oltretutto è molto resistente.

Ma sono le mutazioni il motivo per cui la malattia, che si ripresenta sempre uguale e sempre diversa a se stessa, è così potente; infatti quando veniamo contagiati il nostro sistema immunitario crea degli anticorpi su misura per le proteine di superficie del virus, ma se anno dopo anno, le proteine di superficie mutano (senza che la parte RNA del virus cambi) i nostri anticorpi perdono di efficacia, non riconoscendo più quel virus come patogeno. Più il virus, in superficie, è diverso, nelle sue proteine, più saremo incapaci di difenderci e più la malattia ci colpirà in modo acuto e forte. Il vaccinarsi è chiaramente un modo utile per ridurre al minimo il rischio di essere contagiati, anche se (va detto) non garantisce l’immunità al 100% per almeno due motivi: prima di tutto il vaccino viene prodotto partendo dai ceppi virali che girano nell’altro emisfero durante la stagione invernale e non c’è sicurezza completa che il ceppo non muti o che sia lo stesso quando arriva nel nostro emisfero, in secondo luogo, per quello che stiamo dicendo, è evidente che qualsiasi vaccino influenzale sarà comunque limitato a quella sottoforma influenzale in giro in quel periodo.
Quando si prende l’influenza si possono curare i sintomi, prevenire eventuali complicanze (che possono anche essere gravi), ma non si può evitare il normale decorso della malattia. Solo lasciando che il nostro sistema immunitario sviluppo anticorpi potremo essere sperare di essere coperti da infezioni gli anni successivi. Antiinfiammatori, antidolorifici o antipiretici sono utili contro i tanti disturbi legati all’influenza (febbre, dolori, raffreddamento), ma non servono a niente contro il virus in sé! Per quello serve solo il vaccino, chiaramente somministrato in anticipo!
Purtroppo però il principio cardine su cui si basano i vaccini è che, dopo un’esposizione al patogeno, l’organismo abbia sviluppato anticorpi capaci di difendersi per sempre dalla malattia. Se questo è senza dubbio vero in moltissimi casi (morbillo, rosolia, etc etc), perde di senso in questo caso, con il virus capace di mutare di stagione in stagione, di anno in anno, senza perdere efficacia patogena.

L’influenza spagnola, di cui appunto quest’anno cade il centenario, fu una epidemia spaventosa (tra i 50 e i 100 milioni di morti) derivante da un ceppo di forma A-H1N1 mutato per l’uomo e adattato alla trasmissione e al contagio uomo-uomo (di fatto la situazione peggiore possibile). Essendo una forma molto potente, che portava a complicanze polmonari letali, e non essendo mai stata in circolo prima, chi la contraeva non aveva nessuna possibilità di avere già anticorpi formati. Quindi o si moriva o, sopravvivendo, si risultava immunizzati per molto tempo. Infatti lo stesso ceppo (H1N1) riapparve, causando ugualmente morti, in Russia nel 1977 e colpendo soprattutto giovani sotto i 30 anni. Coloro che avevano sviluppato, sopravvivendo alla spagnola, anticorpi, non ebbero grossi problemi, mentre chi non aveva mai incontrato quel tipo di influenza si trovò in serio pericolo.

Quando appare un’influenza animale (aviaria, suina) esistono due livelli di pericolo: il primo è quello del contagio animale-uomo, più diretto e meno pericoloso, mentre il secondo è quello del contagio uomo-uomo, meno probabile, ma senza dubbio molto più pericoloso, dato che rappresenta la porta di una pandemia. Quando il virus passa nell’uomo e può essere trasmesso uomo-uomo si è già a un passo dall’epidemia. La forma umana dell’influenza (forma B) è molto meno pericolosa perché le proteine che sono presenti sulla superficie, seppur mutando, non lo fanno mai con grandi e repentini cambiamenti, lasciando così il modo al nostro organismo di adattarsi alle nuove forme influenzali. Ma di certo la possibilità di avere cosi tante sottoforme di tipo A, unita a eventuali mutazioni o ibridazioni e alla possibilità di diventare forme umane, rende l’influenza una malattia molto difficile da sconfiggere e anche da capire fino in fondo.

La prima battaglia che dovremo affrontare è quella (al solito) culturale: far passare il concetto che di influenza si muore (l’OMS stima circa 500.000 morti all’anno) e si potrebbe morire moltissimo in caso di epidemia, che l’influenza non è solo il classico mal di stagione che si cura con latte caldo e miele e che, per certe fasce d’età, il vaccino resta la soluzione migliore. Tutto questo nella speranza che la ricerca arrivi a trovare un modo per attivare una risposta anticorpale completa e definitiva contro questo virus che, nella storia dell’uomo, ha mietuto fin troppe vittime. L’influenza, anche a livello italiano, causa poco meno di 10.000 decessi all’anno, rientrando a pieno titolo al 15° posto nella classifica delle cause di morte. Quindi, senza procurare allarmismi, dobbiamo iniziare a considerarla per quello che realmente è: una malattia tanto pericolosa quanto difficile da comprendere.

Ultima modifica il Martedì, 23 Gennaio 2018 12:49
Samuele Staderini

Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull'Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!

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