Il terrorista ha rivendicato l'attentato giustificandolo come “vendetta” nei confronti della tragica uccisione della giovane Pamela, ragazza trucidata e di cui poi sono stati ritrovati i resti all'interno di due valigie.
Questo attentato arriva in un momento delicatissimo per il nostro Paese, la campagna elettorale.
In maniera alquanto scontata, il tema è diventato materia di scontro non politico bensì propagandistico.
L'orrore mediatico parte da destra ed arriva tranquillamente a sinistra. Una destra spaventata di perdere i voti della sua parte più estrema resta nel limbo della condanna con il ma che tenta di giustificare l'avvenuto con l'esasperazione del “popolo”. Invece, a sinistra, si continua a marciare su discorsi intrisi di una retorica moralista che oramai non parla più a nessuno.
L'orgoglio antifascista appartiene a qualunque persona creda nella libertà e nella giustizia sociale, ma parlare solamente di orgoglio antifascista, senza parlare di un'idea di società alternativa, non crea egemonia e soprattutto tiene emarginata la sinistra dal proprio naturale contesto sociale: le periferie.
Parlare di antifascismo con le modalità del settantasette può portare ad avere l'appoggio di una parte dei vecchi della vecchia sinistra radicale oppure dei giovani liceali attratti dal fascino della “Resistenza”, difficilmente però permetterà di ritornare ad essere egemoni nelle periferie.
Le periferie sono cambiate, sono diverse dallo stereotipo televisivo.
Nel momento in cui bisogna rapportarsi con persone a cui non arriva l'acqua nella propria abitazione oppure confrontarsi con una madre che ha perso il figlio per l'eroina, la sinistra deve necessariamente uscire dai dettami che si è autoimposta e ritornare a parlare una lingua comprensibile a tutti coloro che non riescono più a comprenderla.
Non servono i Jeremy Corbyn, i Bernie Sanders o un qualunque altro salvatore della patria, quello che serve è la formazione di una nuova classe dirigente in grado di comprendere le sfumature che sta assumendo la nostra società.
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