Che ci sia, specialmente in Italia, un problema che riguarda la disaffezione dei più giovani verso il leggere è purtroppo, dati alla mano, un fatto innegabile. E di fronte a questo fatto è in effetti comprensibile il considerare internet e i social media come i colpevoli più ovvi – si tratta senza dubbio delle due forze più nuove che ormai stabilmente occupano una buona parte del tempo privato dei giovani e non solo, e che costituiscono uno dei canali privilegiati per le loro interazioni. Lo spartiacque sembra quindi sempre più ben definito: la vita online da una parte, la lettura dall'altra. I due mondi non sembrano avere alcuna speranza di sovrapporsi l'uno all'altro, soltanto di combattersi in una guerra all'ultimo sangue di cui, giudicando dal tono dei commentatori, internet e la sua deleteria influenza non può che risultare infine vincitore.
Ma la situazione, quando si scende nel dettaglio, è davvero così tetra?
Intorno a Dicembre 2017 ho iniziato a notare l'affiorare su Twitter di un curioso fenomeno, propagato a colpi di hashtag e originatosi da tre o quattro sorgenti diverse. L'idea, nella sua genialità, è di una semplicità estrema: si tratta di riprendere la vecchia, nota forma del club del libro. Molti di noi sono stati parte, con più o meno entusiasmo e più o meno volontariamente, di un club del libro a un certo punto nella loro vita – si tratta di qualcosa che è spesso parte, per esempio, delle attività extracurricolari dei licei. Le regole sono sempre le stesse, e molto semplici: un gruppo di persone si accorda su un libro da leggere tutte allo stesso tempo, si pone una data di scadenza entro cui completare la lettura, e a lettura finita si incontra nuovamente per scambiarsi le proprie impressioni e scegliere un altro libro con cui continuare. Il meccanismo può apparire in qualche modo forzoso, e chi ha esperienza diretta di aver fatto parte di un club del libro sa che può trattarsi spesso di una questione di fortuna: il rischio di trovarsi a dover finire un libro brutto o noioso si annida sempre dietro l'angolo. Per le stesse ragioni, però, fare parte di un club del libro può avere i suoi vantaggi: primo fra tutti, il fatto di fornire un pretesto per leggere un libro che altrimenti non si sarebbe pensato di aprire, o di cui forse non si sarebbe neppure venuti a conoscenza.
È proprio questo meccanismo che questi vari progetti, scollegati tra loro, hanno deciso di provare a trapiantare su Twitter, creando un certo numero di club del libro virtuali. La premessa è precisamente la stessa: un gruppo di persone decidono di comune accordo di leggere lo stesso libro nello stesso periodo di tempo e di scambiarsi le proprie impressioni. L'utilizzo di Twitter come piattaforma, però, fornisce all'esperimento delle potenzialità che superano alcune limitazioni del club del libro tradizionale. Una delle caratteristiche più potenti, e spesso più criticate, dei social media è l'abilità di mantenere persone anche molto lontane costantemente connesse tra loro, quasi senza interruzione. In questo modo, i membri dei club del libro di Twitter non hanno bisogno di aspettare di aver finito il libro per comunicarsi le proprie impressioni, né di organizzare un appuntamento collettivo in cui tutti sono liberi: commenti, appunti e note a margine vengono scambiati in tempo reale, raggruppati e rintracciabili grazie al sistema degli hashtag, in uno scambio continuo che permette a persone che abitano agli angoli opposti del globo di condividere un'esperienza di lettura con sconosciuti che non hanno mai incontrato, nell'attimo stesso in cui essa avviene. E la piattaforma di Twitter in particolare, spesso criticata per il limite di caratteri che costituisce un ostacolo obiettivo alle discussioni articolate, si rivela particolarmente adatta allo scopo proprio per questa sua caratteristica: con un tweet si può condividere la citazione di una frase appena sottolineata, un'esclamazione di stupore di fronte a un colpo di scena, la foto di una pagina con un breve commento, uno schizzo di un personaggio disegnato durante una pausa caffè, e così via, in una conversazione a molte voci in grado di prendere direzioni multiple allo stesso tempo, e che grazie a questa formulazione in pillole si rivela flessibile e vivace.
Incuriosita dalle potenzialità di questo esperimento collettivo, ho deciso di tentare, e tra Dicembre e Gennaio ho partecipato a due dei club del libro di Twitter, leggendo rispettivamente The Dark Is Rising di Susan Cooper e Hawksmoor di Peter Ackroyd. In entrambi i casi si trattava di libri che sentivo nominare per la prima volta, la cui lettura quindi, nella migliore tradizione dei club del libro, ho affrontato completamente alla cieca. L'esperienza si è risolta in uno scambio culturale estremamente appagante: per settimane ho potuto discutere di libri con persone in tutta Europa, ma anche in America, Australia, Giappone, e altrove, con la consapevolezza che ogni volta che avessi controllato l'hashtag legato al gruppo avrei trovato qualcosa di nuovo; ho ricevuto input e suggestioni a cui non avrei mai pensato, facilitate talvolta dal fatto che, a differenza che in un club del libro classico, le persone coinvolte provenissero da background culturali radicalmente differenti tra loro. Per circa un mese una discussione intorno a un libro si è sviluppata in maniera agile, naturale e rilassata, coinvolgendo artisti e accademici, studenti e lavoratori degli ambiti più disparati, su una fascia d'età dai giovanissimi ai pensionati, tutti membri alla pari di un dibattito comune che ha trovato nuove letture ad alcune pagine, si è stupito collettivamente di come persone tanto distanti avessero sottolineato le stesse frasi, si è interrogato sul perché un passaggio avesse colpito qualcuno e lasciato indifferente qualcun altro. E nel fare tutto questo ha operato anche un piccolo miracolo editoriale: al momento dell'apertura dei due gruppi entrambi i libri erano o fuori stampa, o comunque difficili da reperire. La spinta dei lettori di internet ha incuriosito alcune librerie a sufficienza da convincerle a ordinarli e, nel caso di Hawksmoor, perfino l'editore a deciderne un'immediata ristampa.
Non è la sola bella iniziativa culturale affiorata su Twitter che mi sia capitato di osservare. Appena un paio di settimane fa ho partecipato a un esperimento in cui, insieme ad altri autori provenienti da varie parti del mondo, abbiamo scritto un beautiful corpse – una poesia collettiva in cui autori che non si conoscono scrivono un verso ciascuno, seguendo il filo di chi ha scritto prima di loro: in questo caso, rispondendo ognuno al tweet precedente. Ne è uscito un testo interessante, a tratti un po' goffo ma sorprendentemente coerente, sui nomi che usiamo e il rapporto che hanno con la percezione del nostro corpo. E gli autori – tutti molto giovani – che si sono incontrati per caso in quella poesia collettiva hanno poi continuato la riflessione iniziata da quel testo dialogando tra loro, a chilometri di distanza, oltre oceani e continenti, attraverso hashtag e messaggi privati.
La verità è che internet e i social media sono uno strumento, e come la gran parte degli strumenti né buoni né cattivi in maniera inerente: ma certamente molto potenti, e quindi estremamente dannosi se usati male, ma in grado di recare enormi benefici se usati bene. Possono essere i peggiori nemici della letteratura e dell'arte, ma anche i loro migliori alleati. Possono diventare il mezzo attraverso il quale una nuova comunità internazionale di giovani creativi ed artisti può cominciare a lavorare insieme e a collaborare, superando le barriere fisiche dovute alla distanza e alla carenza di fondi. Possono offrire un modo per presentare la lettura ai più giovani come un momento di divertimento e condivisione, ma anche un momento in cui le loro opinioni vengono ascoltate da un pubblico potenzialmente enorme, e ritenute valide. Possono creare un momento di confronto non rigido e forzoso, ma informale e coinvolgente, intorno a un'opera di letteratura, liberando la lettura dalla reputazione di attività imposta, noiosa e 'scolastica' che spesso l'accompagna. Possono mettere insieme lo studente quattordicenne e il critico famoso, il musicista emergente e l'impiegato d'ufficio, nella stessa stanza virtuale, a parlare dello stesso testo. E possono perfino ridare nuova vita a un bel libro finito troppo presto fuori stampa.
La risposta alle preoccupazioni che circondano i social media e l'uso che i giovani ne fanno non sta nel demonizzarli, privando tutti di uno strumento che, usato nel modo giusto, può rivelarsi prezioso. Sta invece nell'incoraggiare iniziative come queste, nel dar loro rilievo e pubblicità, di modo che ancora più persone ne scoprano l'esistenza e possano unirsi, e immaginarne ancora altre di nuove.
Io, nel frattempo, ho iniziato un altro libro – e questa volta è un saggio. E se per un momento ho temuto che l'esperimento potesse funzionare soltanto con la poesia e la narrativa, posso dire con sollievo che mi ero sbagliata.
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