I dettagli della sanguinosa rivolta non sono tutt'ora mai stati chiariti; in molti sostengono che più che una rivoluzione, quello dell'89 sia stato un golpe, un colpo di stato. Sta di fatto però che quest'evento è passato alla storia come l'inizio della transizione rumena dal socialismo al capitalismo.
L'arrivo della "democrazia" non ha portato però al benessere a cui i rivoluzionari auspicavano, in quanto l'eliminazione dei benefici garantiti da un sistema socialista non sono stati compensati da una valida crescita economica, che permettesse ai rumeni di ottenere mezzi di sussistenza adeguati. Le stesse promesse di libertà che la democrazia portava con sè sono state in parte disilluse: quella dell'89 è stata una rivoluzione che non ha convinto, che ha portato al potere facce già note, e che nei primi tempi sopravviveva non grazie al sostegno popolare e alla libertà di pensiero ma grazie a un controllo bastato sopratutto sulla repressione e la violenza.
Anche se la situazione sta pian piano migliorando, a distanza di 26 anni il sistema democratico non ha comportato i cambiamenti sperati. Ad oggi la Romania si trova ad affrontare numerosissimi problemi, in primis quello di una corruzione dilagante, e una classe dirigente che agisce più per tornaconto personale che per i reali bisogni del paese.
La novità di questi ultimi anni è però un'inaspettata presenza nelle piazze da parte dei cittadini: a partire dal 2012 ci sono state manifestazioni molto partecipate che hanno fatto riemergere una speranza di cambiamento, tant'è che alcuni si lasciano andare a speranzose ipotesi di nuove "esplosioni" nel paese.
La prima miccia che fece scendere in piazza più di diecimila persone (si deve considerare che negli anni precedenti le manifestazioni difficilmente raggiungevano il migliaio di partecipazioni) fu nel gennaio 2012, quando moltissimi rumeni scesero in piazza in solidarietà con le dimissioni di Raed Arafat, ministro della sanità e popolare fondatore del sistema sanitario d'urgenza SMURD. Arafat si era dimesso per protestare contro la legge voluta dall'allora presidente Băsescu e dal governo di centro destra, che prevedeva l'ingresso dei privati nel settore sanitario.
Ma una volta in piazza i rumeni hanno iniziato ad estendere le loro rivendicazioni: non si trattava più di difendere solo il proprio sistema sanitario, ma si voleva aspramente criticare le misure di austerity, e la corruzione imperante di una "democrazia" mai completamente avvenuta. Dalla prima manifestazione, il 12 gennaio, si susseguirono numerose manifestazioni diffuse in moltissime città rumene; inoltre vi furono molte dimostrazioni fuori dalla Romania, anche in Italia, tra le comunità della diaspora. Queste manifestazioni non furono consistenti solo per il numero di città interessate, ma anche per questioni temporali: gli scioperi e le proteste si protrassero per mesi, nonostante la neve, le temperature bassissime e la jandarmeria (la celere rumena). La volontà dei partecipanti fu quella di mantenere i cortei il più possibile pacifici, e in parte ci sono riusciti, anche se le manifestazioni non furono esenti da scontri con le forze dell'ordine, ed ebbero anche episodi violenti.
Queste proteste portarono alle dimissioni del primo ministro Emil Boc, e all'insediamento di un nuovo governo, questa volta di centro sinistra, capitanato da Victor Ponta.
Il problema e allo stesso tempo forza di queste manifestazioni furono legate alla loro eterogeneità: nella stessa piazza si ritrovavano persone provenienti da contesti e ideologie estremamente differenti, dagli anarchici ai monarchici (nostalgici di Re Mihai), agli immancabili complottisti, agli ultras, agli ambientalisti ecc... Da una parte ciò fu indice di una massiccia partecipazione popolare, trasversale alle idee politiche o alle differenti fazioni; dall'altra parte però le proteste, pur prolungandosi per mesi, non riuscirono a creare un vero e proprio movimento, unito e compatto, in grado di attuare un'alternativa valida, un cambiamento radicale a livello di sistema politico.
Quello che però le proteste del 2012 hanno dimostrato, è che esiste un risentimento popolare forte, che non ha più intenzione di sopportare ulteriori soprusi: l'apatia politica delle classi dominanti ha portato le nuove generazioni a esigere rispetto, a non rassegnarsi alle imposizioni di un sistema malsano, che punta all'arricchimento di pochi, e non al benessere della popolazione.
Nel 2013 il movimento che ebbe maggiore continuità, emergendo dalle varie anime di Piața Universității (piazza simbolo della protesta, che ospitò per mesi e mesi le manifestazioni di Bucarest) e riuscendo a coinvolgere un numero considerevole di persone fu quello legato alle rivendicazioni ambientaliste, in particolare quelle per impedire il progetto della miniera di Roșia Montană.
La situazione sembrava essersi tranquillizzata, fino ad un altro episodio, avvenuto pochi giorni fa, che si dimostrò essere l'ennesima dimostrazione del malfunzionamento dell'organizzazione politica rumena.
Il 30 novembre un incendio scoppiato durante un concerto metalcore al Colectiv Club, un locale del Sector 4 di Bucarest, ha portato alla morte di una quarantina di persone e quasi duecento persone sono rimaste ferite. Queste morti potevano di fatto essere evitate, se si fossero rispettate le basilari norme di sicurezza.
Questa tragedia ha di fatto riacceso l'indignazione della piazza: l'esistenza di locali non a norma, che vengono comunque regolarizzati e a cui viene permesso di continuare tranquillamente la propria attività, nonostante la presenza di leggi ben precise, ha dimostrato per l'ennesima volta che la corruzione non solo esiste, ma talvolta uccide.
L'incendio al Colectiv è stato l'ultimo episodio di una serie di scandali di corruzione che avevano colpito le alte cariche dello stato, tra cui il sindaco di Bucarest Oprescu e lo stesso primo ministro Ponta.
La risposta della gente non ha quindi tardato ad arrivare, e le proteste, che sembrerebbero essere molto più partecipate rispetto a quelle del 2012, hanno portato alla dimissione di Ponta e del responsabile del Sector 4, il conservatore Cristian Popescu Piedone. Quest'ultimo è stato successivamente arrestato, in quanto responsabile di aver concesso i permessi necessari per l'avvio del locale, nonostante l'assenza dell'autorizzazione da parte dei vigili del fuoco.
Le mire dei rappresentanti si sono indirizzante anche nei confronti del patriarca, sia per la mancata solidarietà iniziale alle vittime della tragedia, sia per denunciare la pressante presenza della chiesa nello stato rumeno. Dall'instaurarsi del capitalismo infatti, il numero di chiese è cresciuto a dismisura, utilizzando fondi pubblici che potevano essere utilizzati per rafforzare le strutture scolastiche e sanitarie.
Per ora è difficile prevedere quali saranno i prossimi sviluppi di questa protesta, in quali direzioni seguiranno le migliaia di persone scese in piazza; rimane comunque il rischio che le proteste perdano di entità, o vengano strumentalizzate o diventino il focolare di idee populiste e/o di estrema destra.
La speranza è che questa volta le manifestazioni non si accontentino, come è successo nel 2012, di un cambio di governo e delle elezioni anticipate, ma si propongano come obiettivo la radicale riorganizzazione dell'attuale sistema politico rumeno, superando i sistemi di potere poco trasparenti, ormai estremamente radicati all'interno della politica rumena.