La manifestazione più tipica del grillismo comune è il tifo per la Nazionale di calcio, l’unico simbolo patrio emotivamente abbracciato dal popolo. La massima secondo cui gli Italiani confondono tra guerre e partite di calcio ha il suo fondamento nel fatto che la prima esperienza nazionale collettiva italiana è stata la Grande Guerra, il momento in cui, per dirla con Mario Isnenghi, si scoprì che la Patria esisteva e doveva essere qualcosa di grande se aveva chiamato a sé le vite di seicentomila uomini. Il grillismo comune vuole esorcizzare i traumi e le fratture di un’identità incompleta; esso è ad un tempo la manifestazione e il prodotto di un’identità nazionale feticistica e raffazzonata.
Dal grillismo comune al grillismo politico passano alcune necessarie fasi di transizione. Il grillismo politico è il prodotto socio-chimico di una crisi economica, ma il composto al quale questa fa da reagente non è il semplice grillismo comune. È qualcosa che, pur conservando il suo retroterra di superficialità, di miti, di banalità, assume un’impronta e una direzione ben definiti nel senso della rivolta contro lo Stato. In questa rivolta si manifesta, in esiti forse imprevisti dai suoi creatori, la narrazione che distingue fra “lo Stato di Caporetto” e “la Nazione di Vittorio Veneto”.
La rivolta anti-statale si articola su due livelli: quello fiscale e quello politico. La rivolta fiscale muove dagli egoismi privati di un tessuto sociale di lavoratori autonomi, di piccoli imprenditori, anche di impiegati, che per vari motivi (invidia, desiderio di opulenza, grettezza verso il prossimo, frustrazione) assumono come obiettivo, sogno e modello la disponibilità economica della grande borghesia e trovano nelle tasse un ostacolo che mina irrimediabilmente questo sogno. A ciò si aggiunge l’idea che lo Stato non sia meritevole delle tasse, poiché i politici non sono meritevoli delle tasse in quanto ceto parassitario. Questo atteggiamento verso i politici conosce diverse articolazioni secondo la fase economica. In tempi di crescita, i vizi del politico sono satirizzati ma, dopotutto, benignamente ed in modo ammiccante accettati. Il politico diventa un po’ la pattumiera del sistema illegale: lo strumento di mediazione tra egoismo privato e legge pubblica, che da un lato consente il primo e su cui, dall’altro lato, vengono scaricate tutte le responsabilità per le disfunzioni dello Stato (che a loro volta sono addotte come forte motivazione per truffare il fisco). In tempi di euforia, addirittura, i vizi sono ammirati e contribuiscono alla popolarità di un uomo politico, alla costruzione della sua mitologia. Il non riconoscersi nelle regole porta infatti all’esaltazione di status di chi massimamente sa ricavare vantaggi dalla violazione delle regole stesse.
La situazione cambia decisamente al peggiorare del quadro economico. In momenti di crisi diventano infatti insostenibili i comportamenti iper-consumistici e gli sprechi che, fin allora, erano stati finanziati con facili debiti e corruzione. A questo punto, schiacciato nel vicolo cieco della violazione delle regole, l’elettore si rivolta contro il capo fin allora osannato. In altre parole, quando le distribuzioni gratuite di grano portano all’esaurimento del grano, l’elettore si rivolta e cerca un Masaniello: non tanto per punire il vecchio viceré, quanto per far riavviare la distribuzione gratuita di grano. L’infantilismo di non volersi assumere responsabilità è un altro prodotto dell’assenza di un quadro collettivo nazionale.
A questo punto esplode la crisi politica, e la rivolta antistatale fiscale si salda con la rivolta antistatale politica. È questo l’atto di concepimento del grillismo politico. La rivolta antistatale politica colpisce gli istituti della mediazione, e questo per due motivi.
1) L’unico modo per distribuire grano quando il grano è finito è un’azione magico-miracolosa che faccia apparire il grano dal nulla. Il divenire, il principio che nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, sono rigettati in nome di un moto che pretende l’immediatezza.
2) L’attacco alla mediazione politica è funzionale a un discorso che dipinge i politici come “tutti uguali”, cioè tutti allo stesso titolo partecipi di un disegno spartitorio, un’incetta di grano ai danni del popolo.
L’uomo tocca così istintivamente l’azione, senza l’intermediazione del pensiero. Questa modalità ha successo nelle fasce di popolazione meno istruite, o che hanno conosciuto un forte declino di tenore di vita a causa della crisi, o dotate di scarso capitale sociale. Ma, al di là del fattore socio-economico, ha un grande successo nella fascia d’età giovanile. Sui giovani insistono molto i danni della crisi economica, ma sarebbe errato tracciare una corrispondenza biunivoca per cui tutti i giovani in difficoltà votano Grillo e tutti i giovani che votano Grillo sono in difficoltà. C’è in essi un sostrato che favorisce la propensione per scelte distruttive del sistema, poiché, come aveva còlto Hegel, nei giovani la posizione concreta occupata nel mondo è rifiutata in nome di un categorico soggettivismo espresso in petizioni ideali di principio.
Ma c’è anche di più. Di fronte a partiti (di varia estrazione ideologica) incapaci di rispondere allo spirito del postmoderno, il M5S è l’unica forza politica di rilievo ad avere struttura e Weltanschauung con forti tratti di postmodernismo. Quando i giovani dicono che le distinzioni destra/sinistra non hanno più significato, essi non vogliono contestarle alla radice, né esprimere soltanto l’idea (pure presente) che i politici siano “tutti uguali”. Essi vogliono dire che destra e sinistra pensate per una società di massa non hanno più senso. (Anzi, destra e sinistra sono assai più impiegate dai giovani rispetto a determinazioni più precise come liberalismo, conservatorismo o marxismo.)
Simili giudizi, in accordo con l’assenza dell’intermediazione del pensiero, rivelano un tratto fondamentale dell’humus su cui prospera il grillismo politico: la scarsa cultura. La scuola, per ciò che interessa la nostra analisi, potrebbe e dovrebbe assolvere a due funzioni:
1) sradicare il grillismo comune e sostituirlo con una cultura dotata di profondità, strutturazione, organicità;
2) sterilizzare la dimensione sociale per impedire la nascita del grillismo politico.
Sul primo punto, appare evidente che, se è vero che il grillismo comune è un tratto nazionale italiano, esso può essere combattuto solo con la proposizione positiva di una cultura nazionale alternativa, dietro cui lo Stato getti tutta la propria forza sostenendone l’insegnamento. Non stiamo parlando di progetti neo-totalitari, ma semplicemente di una profilassi antifascista.
La seconda parte uscirà sul sito alla mezzanotte tra il 30 e il 31 ottobre
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