La protesta ha comunque riacceso una delle stagioni più conflittuali della storia recente cilena. Nei mesi scorsi era stata la sinistra extraparlamentare e dei movimenti sociali a scendere in piazza per protestare contro il cammino incerto delle riforme promesse dal governo progressista - e allargato alla sinistra radicale - guidato da Bachelet, in particolare criticando le misure insufficienti della riforma del sistema educativo, uno dei più iniqui al mondo (ne abbiamo parlato qua). Oggi invece la scena è occupata da chi vuole abbattere l'esecutivo progressista da destra: non è una sorpresa che dietro le proteste dei guidatori di camion ci siano convinzioni reazionarie e fascistoidi. Da questo punto di vista, l'endorsement del partito di destra conservatrice Unión Demócrata Independiente (UDI), che si erge a paladino della legalità ma è sempre pronto ad appoggiare movimenti sovversivi come quello dei camionisti, è ulteriore prova della deriva reazionaria di un movimento nato a seguito dell'incendio appiccato ad alcuni camion nel sud del paese.
L'episodio, che di per sé non giustificherebbe manifestazioni di protesta a livello nazionale, è stato caricato da forti valenze politiche perché i camionisti hanno dato la colpa dell'incendio a gruppi radicali di attivisti Mapuche, la principale popolazione indigena cilena che lotta perennemente per difendere la propria terra dalle imprese del legname. Oltre all'accusa di sabotaggio alla popolazione Mapuche, c'è anche quella al governo che secondo i camionisti sarebbe troppo blando nel contrastare con forza le azioni "terroristiche" di questi gruppi di attivisti indigeni, ostacolando il loro lavoro e il loro business di trasporto del legname e di altri prodotti locali.
I Mapuche, prime vittime dell'espansione dei coloni europei in Cile nell'Ottocento, che hanno visto la loro popolazione decimata e la loro terra conquistata, vivono oggi in poche aree rurali della regione centro-meridionale chiamata Araucania. Il loro già esiguo territorio, dominato dalla foresta pluviale della Valdivia, è perennemente minacciato dalla logica del profitto, che vede in quelle zone un territorio da sfruttare, grazie alla presenza di abbondante legname di qualità esportato in tutto il mondo con volumi crescenti di fatturato. La distruzione delle foreste, l'abbattimento degli alberi, lo sradicamento dai contesti naturali di esistenza, ha portato molti Mapuche a organizzarsi per difendere la propria terra e cultura.
Le proteste dei camionisti del sud del Cile vanno allora viste nell'ottica del conflitto fra capitale e diritti degli indigeni. In un paese in cui questi ultimi non sono supportati da una forte organizzazione politica istituzionalizzata, come invece avviene di Bolivia e Ecuador, dove i movimenti indigeni esprimono attualmente i rispettivi presidenti, la sfida per non cedere alle attività destabilizzanti di chi vede la ricchezza culturale dei Mapuche solo un ostacolo al loro profitto personale, va raccolta dal governo progressista e di Bachelet. La criminale protesta dei camionisti potrebbe essere un ottimo pretesto per accrescere i diritti indigeni e migliorare la legislazione sulla salvaguardia del loro territorio, ma per fare questo serve quella volontà politica che ha accompagnato il percorso riformistico del governo progressista solo a fasi alterne.