L’aggressione e l’azione minatoria perpetrate (che sono state filmate e poi postate su Youtube) ai danni di un professore di italiano e storia da parte di un gruppo di ragazzi dell’Itc F. Carrara di Lucca ha riaperto un acceso dibattito all’interno dell’istituzione scolastica e non solo. Più che il ruolo della formazione didattica, a risultare centrale nella discussione è il macroscopico tema dell’educazione tout court, preso in esame tenendo conto del delicato quanto fondamentale equilibrio tra l’istituzione-scuola e l’humus familiare e sociale in cui cresce lo studente. Sempre più frequentemente il dualismo tra queste due realtà si concretizza in un incontro/scontro che si focalizza quasi esclusivamente sui risultati di breve periodo – voti, insufficienze, richiami, note etc. – mostrandosi spesso incapace di sviluppare uno sguardo più lungimirante verso l’aspetto formativo ed educativo nella sua globalità che dovrebbe essere il fine ultimo e principale dell’insegnamento e allo stesso tempo della crescita intellettuale e morale dei ragazzi.
Michael Moore dopo sei anni lontano dal grande schermo torna al cinema solo per tre giorni in Italia con Where to invade next?. Il nuovo documentario lanciato al Toronto Film Festival, è stato candidato all’Oscar per il miglior documentario senza però ricevere l’ambito premio. A differenza dei precedenti film è, sì anche questo una forte critica agli Stati Uniti, ma si nota un maggiore amore verso la sua terra.
Guida ragionata all'impianto ideologico della riforma della scuola
Che la vertenza della scuola non sia solo una questione che riguarda il personale che nella scuola opera l'hanno oramai capito un po' tutti. C'è un sentore diffuso, anche in chi non si è letto con attenzione il disegno di legge, anche in chi non ha rapporti diretti con la scuola, che i temi in gioco, che i motivi dello scontro, questa volta siano di portata più ampia delle sole questioni contrattuali, e che riguardino non solo chi nella scuola ci lavora, ma l'intero paese, la sua tenuta democratica.
Ho letto e sentito molti commenti sul disegno di legge, alcuni dei quali molto accurati, ci sono però degli elementi che mi pare siano rimasti un po' sotto traccia, e che invece a me sono parsi di una gravità assoluta. Vorrei provare quindi a fare ulteriore chiarezza sul nodo politico di una riforma della scuola proposta da un governo monocolore PD che oramai si è pienamente collocato su posizioni ideologiche di estrema destra (con buona pace di quelli che “stiamo dentro per spostare l'equilibrio a sinistra”).
I lavoratori della scuola pubblica sono senza contratto da cinque anni.
Suona male, abituati all'imperversante coro di disistima che aleggia nei confronti del pubblico impiego da qualche anno a questa parte insieme a quelle critiche circa la funzione del welfare statale, accusato spesso di tralasciare la sua missione tramite ricorso a tecniche di elusione del lavoro, spiegate da autorevoli commentatori con dinamiche pseudo-antropologiche, a tratti vagamente metafisiche.
È arrivato il freddo, il sole tramonta ormai poco dopo l'uscita dei nostri bambini dalle scuole e la pioggia è sempre in agguato. Non è certo la stagione ideale per i giardini pubblici. La tentazione di passare il tempo libero in casa al calduccio è forte, ma i bambini in inverno non vanno in letargo ed hanno ancora bisogno di socializzare, giocare e passare del tempo con i coetanei anche fuori dall'orario scolastico. Spesso i genitori si dividono fra chi preferisce tenere i propri figli in casa dopo la scuola e chi si affanna per riempire il loro tempo il più possibile, con sport, musica, corsi di lingue e quant'altro. Eppure, in entrambi i casi, serve un alternativa. Come non è sano per un bambino stare troppo da solo, non dobbiamo nemmeno dimenticare che non sono adulti in miniatura: non sempre gli appuntamenti fissi e le attività strutturate sono quello di cui hanno bisogno. Dovremmo sempre concedere loro del tempo da passare con i coetanei, del tempo totalmente libero e in compagnia da impegnare come la fantasia del momento suggerisce loro.
Varcare l'ingesso di un istituto scolastico italiano, oggi, può riservare molte sorprese. Mentre il diritto universale all'istruzione si rimodula in quasi-mercati scolastici e molti dirigenti affrontano - spesso dimenticandosi che mandare avanti una scuola non equivale al semplice soddisfacimento dell'utenza - con stile manageriale la quotidianità sociale, cercando di offrire i più svariati supporti alla didattica, alcuni sacrosanti e altri meno, ci si imbatte sovente in porte rotte, allarmi inefficienti, bagni guasti e lesioni agli stabili di varia entità.
Provate ad immaginare un istituto scolastico, abbastanza grande, di quelli realizzati in periferia. Una scuola nel bel mezzo del nulla, mancante di mezzi pubblici frequenti e di servizi vari e, soprattutto, di una rete internet efficiente.
Qui, un dirigente scolastico impone ai docenti l'utilizzo del registro elettronico, per mezzo di una seduta di collegio dei docenti per la verità con poche opposizioni.
Un collegio dei docenti serale, di quelli che ti fanno saltare la cena, in una scuola qualsiasi di una città qualsiasi in una regione che ha una storia mirabile per ciò che riguarda i servizi sociali come la nostra Toscana. In questo contesto, a discussione iniziata, il dirigente scolastico cita l'ennesima sigla della scuola italiana: i B.E.S., acronimo di bisogni educativi speciali.
Arriva in questi giorni, dopo il licenziamento da parte del Consiglio dei Ministri del nove settembre scorso, il Decreto Legge sull'istruzione.
Il titolo dato a questo DL 104 è “misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca”. Si tratta del primo provvedimento organico sull'argomento da parte di questo governo, anche se la natura stessa indica in una legge di conversione dall'iter molto incerto la possibilità che esso si tramuti in legge.
In un'ipotesi socialista, lo Stato dovrebbe occuparsi dei bisogni dei cittadini lungo tutto l'arco della vita, mentre nelle migliori tradizioni socialdemocratiche e liberali europee, esso – parecchio più magro – si accontenterebbe di non lasciare da soli i cittadini nelle difficili condizioni delle crisi cicliche di un'economia di mercato.
Lo stato in cui si trova il nostro Paese, però, non corrisponde ad alcun modello: abdicata ogni funzione di mobilità sociale e programmazione sembra volersi liberare di ogni garanzia, nella speranza che senza regole tutto viaggi meglio e si adegui alla naturalezza delle cose.
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