Nella fervida stampa internautica specialistica, esso viene accolto come la fine dei dolori o, meglio, l'inizio della fine di essi.
Diversi, invece, gli umori nel mondo sindacale: i sindacati “del contratto” (la triplice più Gilda e Snals) esprimono una moderata soddisfazione (e qui Cgil pare essere la parte più critica), mentre i sindacati di base annunciano la mobilitazione.
Ma cosa contiene questo decreto legge? Anzitutto, è da dire che la sua natura “straordinaria” è davvero dubbia: dietro di noi ci sono anni di tagli, di attacchi alla scuola pubblica, di continue concessioni ad un concetto privatistico dei saperi, e un decreto legge assume – nei confronti di essi - le dimensioni di un cerotto.
Assunto che una critica radicale della scuola del centrodestra appare impossibile se si governa con esso, questo decreto si occupa di temi spesso trascurati dalle precedenti gestioni di Viale Trastevere. Si occupa, ma col fiato corto, e in effetti tutto l'impianto del decreto soffre di finanziamenti ridicoli, specie se si pensa agli otto miliardi scippati ai tempi della finanziaria “dei nove minuti e mezzo”.
Il primo titolo è dedicato alle disposizioni per le famiglie. Interventi dalle finalità buone, ma con poche risorse, se si eccettuano i cento milioni per il diritto allo studio universitario.
Spicca l'ampliamento dell'offerta formativa, con forme che arrivano ad ipotizzare il prolungamento dell'orario in una non meglio precisata sussidiarietà da attivarsi con associazioni e fondazioni. Mossa incauta, perchè oltre a configurare – soprattutto per la scuola primaria – un goffo tentativo di restituire un tempo pieno prima assai più diffuso ed organico, rimanderebbe l'aggressione ai problemi della dispersione scolastica ad un'apertura al privato e sottrarrebbe gradualmente agli attori pubblici la possibilità di incidervi realmente.
Positivo lo sforzo di creare un sistema di orientamento per la scuola secondaria di secondo grado a partire dalle risorse interne, pur in presenza di un fondo d'istituto ormai esanime.
Un atto dovuto è, invece, il dispositivo sui permessi di soggiorno per motivi di studio, anche se sarebbe ora di eliminare le castranti norme nazileghiste sull'immigrazione, al posto di regolamentare alla meglio un diritto universale.
Su edilizia scolastica e multimedialità solo annunci, mentre le misure per il personale scolastico sono diverse: anzitutto, si riconosce alle scuole sottodimensionate – quelle con meno di seicento alunni – il diritto ad avere un dirigente scolastico e un direttore amministrativo, anche se non si vede come - a scuola iniziata e senza oneri a carico dello Stato -, questa possibilità si possa realizzare.
Si ricomincia a parlare di piano pluriennale per le immissioni in ruolo, 87000 in tre anni, numero vagamente riecheggiante i tagli degli anni passati, ma che non annulla gli stessi, costringendo le scuole a dimenarsi ancora fra organici tagliati e classi-pollaio. Inoltre, vi è il serio rischio che, ancora una volta, vengano trovate le risorse per le stabilizzazioni nel CCNL, fra tagli di scatti e stipendi bloccati per i neoassunti come purtroppo già è successo dal 2011.
Poca roba anche per la formazione del personale, la cui obbligatorietà è legata in qualche misura ai test INVALSI, di cui spesso da sinistra si è denunciata l'inadeguatezza, e che ci regala uno stanziamento di dieci milioni di euro - senza alcuna collegialità né negoziazione-, col rischio di una nuova deriva autoritaria sul concetto di valutazione e, soprattutto, senza alcun riferimento all'autoformazione. La cattiveria ci può suggerire anche oltre (qualcuno ha parlato di conflitto di interessi?), e la misura di assumere nuovo personale ispettivo allo scopo conferma la volontà politica di inerpicarsi lungo il sentiero della produttività: un cedimento ideologico ripetuto, bisognoso di autocritica da parte di larghi settori del centrosinistra.
Scarso è l'intervento sull'Alta Formazione Artistica e Musicale, dove si conferma la tendenza all'intervento sporadico e alla mancanza di programmazione della politica culturale del Paese, senza alcun riguardo per il suo futuro.
L'ultima parte del decreto legge si occupa di università e ricerca. Misure anche qui superficiali e parzialmente riparatorie degli sconquassi degli anni passati. Magro pure qui il portafoglio, e il tutto si riduce ad una rimodulazione dei fondi per il finanziamento degli enti di ricerca e alla previsione dell'ampliamento della pianta organica dell'Istituto Nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) di duecento posti in quattro anni: unica nuova spesa a carico del MIUR. Ci si occupa anche dei corsi universitari ad accesso programmato: viene eliminato il “bonus maturità” con strascichi abbastanza prevedibili di contenzioso amministrativo, che una politica più sensibile avrebbe senz'altro risparmiato.
La sensazione che si ha, davanti a questo decreto governativo, è di un provvedimento quantomeno inadeguato, a partire dalle forme (il DL va convertito, e c'è il reale rischio che scompaiano anche le poche risorse a disposizione), per continuare sui contenuti.
Tanti, troppi i temi non toccati, alcuni di essi richiedono misure radicali: organici, istituti educativi, reclutamento, democrazia scolastica, politica culturale e universitaria.
Sarebbe stato meglio ampliare il discorso parlamentare ai fini di un piano davvero straordinario di investimenti uniti a provvedimenti amministrativi di rango, con lo scopo di aggredire i problemi - vecchi e nuovi - del sistema pubblico d'istruzione italiano: analfabetismo di ritorno; dispersione; sicurezza degli edifici scolastici; diritto allo studio, secondario e accademico.
Ma per ragionare del futuro occorrono sintesi importanti. Idee forti che, un governo di compromesso non può concepire, avendo nella debolezza ideologica il suo maggior collante.
E discorsi che un parlamento incompleto a sinistra non riesce a recepire.
Immagine tratta da www.direttanews.it