Le scuole sono luogo di lavoro per insegnanti e personale amministrativo e ausiliario, ma anche per gli allievi, i quali hanno diritto a svolgere la loro attività didattica nella massima sicurezza.
Le recenti notizie ci riportano di tragedie sul lavoro, a volte veri e propri eccidi, che solo l'ipocrisia del potere riesce ancora a chiamare “incidenti”. Lo Stato, nelle sue articolazioni ministeriali e locali, ha totalmente ceduto non solo il suo ruolo di garante dei diritti di cittadinanza, ma anche la sua – molto più liberale – funzione di controllo del rispetto delle regole, in nome di un'obbedienza alle leggi di bilancio che, ora più che mai, appare così inutile rispetto alla costruzione di nuove povertà, di nuove deprivazioni, avvicinando l'attore pubblico al più bieco dei padroni.
Con l'avvento del governo Letta, in molti – osservatori, sindacalisti e semplici operatori della scuola – avevano creduto che, un ritorno a un governo politico, per di più con un ministro di centrosinistra, avrebbe potuto invertire la spirale dei tagli all'istruzione. A placare le speranze sono stati i provvedimenti poi realmente implementati, nel solco di un'adesione supina ai dettami finanziari e alla logica delle avventure militari, sulle quali sacrificare miliardi di spese.
Il tema della sicurezza, stretto fra fondi elargiti alle scuole private e sottratti ai pubblici servizi, diventa allora solo un orpello di cui fregiarsi, in maniera sovente autoconsolatoria, ricordando di possedere una buona legge (81/08) ma, contemporaneamente, dimenticandosi lo stato in cui versa buona parte del patrimonio di edilizia scolastica pubblica. Il governo di larghe intese, infatti, è ricorso ancora allo strumento del dimensionamento della rete scolastica per rastrellare fondi, colpendo in ciò anche le Rappresentanze dei Lavoratori per la Sicurezza. Negli istituti accorpati, in effetti, queste figure sindacali saranno accorpate in capo alla scuola titolare di dirigenza, per cui pressoché dimezzati.
Eppure sembra che i governi non abbiano recepito, nel corso degli anni, il grido di dolore proveniente da tragedie come quella di San Giuliano di Puglia del 2002, o – per restare allo stesso ministero – quella della Casa dello Studente all'Aquila, nel 2009, per le quali la giustizia ha chiamato in causa manutenzioni trascurate e restauri sbagliati, puntando il dito anche contro il sistema degli appalti, vero moltiplicatore di pani e pesci nell'edilizia pubblica.
Lo stato di abbandono in cui versano le nostre scuole è ben fotografato da un rapporto della Protezione Civile del 2007, per il quale il fabbisogno finanziario per la messa in sicurezza delle scuole ammontava a 13 miliardi di euro. Pur certamente disponendo questi dati, Viale Trastevere, in occasione di quella che pensa di far passare come primo provvedimento di inversione di tendenza sulla spesa per l'istruzione – la legge 128/13 – ha stanziato la bellezza di 150 milioni di euro, che probabilmente diventeranno 450 per effetto degli interventi previsti dall'INAIL nel triennio 2014-2016. Ha inoltre lasciato la progettazione degli interventi al livello degli Enti Locali (viva l'autonomia), e lasciato ancora una volta al sistema dei mutui la copertura delle emergenze, aumentando l'esposizione al debito e il ricatto a cui sono sottoposte le Regioni da parte della BCE.
E altre perle, in piena continuità col degrado a cui la scuola italiana è costretta da anni, si trovano nelle tracce scavate da questo governo: torna la deprecata modifica del numero degli alunni per classe, il quale era già stato aumentato durante il ministero Gelmini, probabilmente per preparare un nuovo tagliaclassi e infischiandosene di ciò che avviene quotidianamente sui territori con l'accorpamento delle classi, soprattutto a causa del taglio dei fondi per i supplenti, questi ultimi costretti sovente a peripezie per recuperare il maltolto – leggi ferie e tredicesime mensilità – che accusano l'inciviltà ormai palese di questo Stato.
E se ci mettiamo il fatto che la messa a norma dei plessi scolastici per l'antincendio è stata rinviata.
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