L’idea di base del documentario è quella di “invadere” paesi dove esistono modelli economici e sociali diversi da quelli dominanti negli Stati Uniti ed esportare in America la concezione e la cultura che stanno a fondamento di quei sistemi. Il viaggio inizia in Italia passando poi per Francia, Finlandia, Slovenia, Germania, Portogallo, Norvegia, Tunisia e Islanda. Da ogni paese Moore prova a prendere le migliori idee presenti e ritrasporle in America nella speranza di riuscire a cambiare il sistema. In ognuno di questi paesi si susseguono interviste per comprendere al meglio come sia possibile, per esempio, che esistano stati in cui le vacanze sono pagate e la maternità un diritto; stati in cui l’università e la scuola siano gratuite e non possano esistere scuole private; stati in cui le donne e le minoranze hanno gli stessi diritti dei WASP. Il tutto viene affrontato con una grande ironia, cosa che rende il film molto piacevole e che fa sorridere spesso lo spettatore, nonostante la serietà del tema.
Ma forse stavolta Michael Moore non è riuscito ad essere universale: due spettatori di paesi diversi possono avere due prospettive completamente divergenti sul film. Lo spettatore americano probabilmente rimarrà completamente sbalordito dai sistemi di Welfare presenti in Europa, si lascerà cullare dall’amore che Moore prova verso l’Europa, riconoscendo però che tutto quello che noi Europei abbiamo è stato prima teorizzato negli Stati Uniti, anche se non applicato. Infatti Moore lascia lo spettatore statunitense con la voglia di riscoprire le proprie radici, quelle cioè che hanno creato l’idea del sogno americano. Nel film si nota come gli intervistati europei siano cresciuti con il mito del Self-made man, ma che siano anche consapevoli che anche questo mito non esiste più. Per come era stato concepito dai padri fondatori doveva esserci alla base degli Stati Uniti l’idea della libertà individuale come sviluppo completo della persona e non come libertà solamente economica. Durante una intervista ad una professoressa di inglese (nata negli Stati Uniti ma insegnante in Finlandia) una frase resta impressa: “mentre faceva praticantato nelle scuole di americane dovevo dire agli studenti che loro potevano diventare ciò che avrebbero voluto, ma in America suonava come una bugia mentre qua è proprio così, i bambini possono studiare per diventare davvero quello che vogliono”.
Lo spettatore europeo, però, si rende facilmente conto che la realtà idilliaca descritta da Moore e da alcuni intervistati è ben lontana dalla realtà. Lo scopo principale del viaggio attraverso l’Italia è quello di mostrare allo spettatore americano che è possibile fare impresa rendendo i lavoratori felici -tramite lunghe vacanze, maternità pagata e contratti a tempo indeterminato- cosa che è però ben distante dalla realtà che viviamo ogni giorno. Moore va a cercare troppo spesso in tutti i paesi le eccellenze che servono a dimostrare la sua tesi, ma non si sofferma minimamente sui problemi complessivi. Sembra quasi che il capitalismo sia solo negli Stati Uniti e che in Europa viviamo già nel socialismo reale. La distanza certamente c’è fra la visione europea e la visione americana, però troppo spesso in Europa ci stiamo avvicinando al modello americano. Ribaltando il titolo potremmo quasi dire che ad invadere l’America sia l’Europa prendendone il peggio.
Il film forse avrebbe dovuto essere concepito e girato diversi anni fa, quando ancora si era nel periodo d’oro delle socialdemocrazie europee e quando ancora i sindacati riuscivano a far valere il proprio peso nel conflitto fra capitale e lavoro.
Voto ***