Detta anche Rivoluzione di Novembre, nonostante fosse iniziata ad ottobre e il suo culmine sia giunto nei mesi di dicembre del 1918 e gennaio 1919, è altresì conosciuta come la "rivoluzione tradita”. Si tratta della Rivoluzione tedesca. L'Impero tedesco era retto da una monarchia costituzionale. Nel Reichstag l'unico partito politico nell'Impero a sostenere apertamente una forma di stato repubblicana fu quello socialdemocratico.
Il "manifesto Calenda": la proposta che non salverà il Paese
Dopo il voto del 4 marzo 2018, le forze politiche sconfitte presenti in Parlamento hanno provato a fare opposizione; essa si è tradotta, sostanzialmente, da un lato nella denuncia dei provvedimenti e delle dichiarazioni di Salvini e dall’altro nell’apprezzamento dell’osservazione dell’inconcludenza del Movimento 5 stelle.
Il 14 ottobre 1980 è una data fatidica e tragica per la storia della sinistra in Italia. Una di quelle che sono destinate, quasi per caso, a cambiare profondamente e quesi del tutto gli avvenimenti in un dato periodo storico. Vivendo in un paese con pochissima memoria, penso che molti compagni non abbiano ancora capito a cosa mi stia riferendo. Troppo presi a polemizzare tra piccoli partiti, correre a presso al nuovo miracolo che ci salverà tutti.
La socialdemocrazia europea nel secondo dopoguerra: dal compromesso sociale su base keynesiana all’accodamento al neoliberismo
Agli esordi di quella che si chiamerà Unione Europea ci sono operazioni, che rispondono primariamente a esigenze di ricostruzione delle economie europee occidentali, devastate dalla guerra, quali la Comunità del Carbone e dell’Acciaio del 1951 e il Piano Marshall del 1947, cioè gli aiuti statunitensi, poi evoluto, l’anno successivo, nell’OECE. Anzi tra i precedenti in assoluto va posto l’accordo italo-belga del 1946, che scambiò 50 mila lavoratori italiani disoccupati, da impiegare nelle miniere di carbone e nella siderurgia del Belgio, con rifornimenti belgi di carbone all’industria e alle abitazioni italiane, e che sfociò nella tragedia di Marcinelle dell’agosto del 1956, 262 morti in miniera, a seguito di un incendio. Con quelle operazioni si trattò, dal punto di vista delle borghesie dei paesi europei occidentali, delle loro parti politiche e degli Stati Uniti, non solo di aiutare popolazioni disperate, alla fame, senza casa, ma anche di evitare che queste condizioni, la disoccupazione, inoltre, come in Italia, l’odio nei confronti di chi la guerra l’aveva voluta e ne aveva approfittato, evolvessero in simpatie di massa anche politiche nei confronti dell’Unione Sovietica, eroica vincitrice al prezzo di 25 milioni di morti della guerra al nazismo, più che nei confronti dei pur prestigiosi e munifici Stati Uniti. Dal lato dell’URSS giocava infatti anche la dominante partecipazione comunista e operaia in quasi tutta Europa alla Resistenza.
Viviamo all’interno di un gigantesco vuoto di potere in Occidente ed è sempre più difficile girarci attorno, anzi direi che è divenuto ormai impossibile. In Europa si è passati per il declino del socialismo reale e delle socialdemocrazie, mentre negli Stati Uniti si assiste chiaramente all’estremizzazione dello spettro politico.
Michael Moore dopo sei anni lontano dal grande schermo torna al cinema solo per tre giorni in Italia con Where to invade next?. Il nuovo documentario lanciato al Toronto Film Festival, è stato candidato all’Oscar per il miglior documentario senza però ricevere l’ambito premio. A differenza dei precedenti film è, sì anche questo una forte critica agli Stati Uniti, ma si nota un maggiore amore verso la sua terra.
Il triangolo non l'avevo considerato
Tre poli aggreganti per l'insubordinazione: quasi senza citare Tsipras e Podemos...
«Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo [..] Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l'ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti noi. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall'indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un'identità comune, una storia che si conserva e si trasmette».
Nell’Unione Europea la linea di frattura politica determinata dalla crisi economica divide non tanto la destra dalla sinistra quanto i Paesi nordici da quelli mediterranei: per fare solo un esempio lampante, il governo socialdemocratico danese è assai più rigorista di quello conservatore spagnolo.
Le elezioni greche sono state dominate, come ovvio, dal tema europeo: persino le grandi divisioni di politica interna riguardavano in realtà l’Europa, essendo relative alla continuazione o meno di drastici tagli alla spesa. In assenza di una forte Europa politica, a livello sia di istituzioni sia di identità collettiva, i contrasti politici non riescono ad articolarsi in confronto tra posizioni pan-europee e si riducono a contrasti culturali, quasi etnici, tra sistemi nazionali distinti. (En passant, fatto che di per sé avvantaggia le formazioni di destra.)
Nel periodo 2002-2005 seguii con attenzione l’affacciarsi del movimento new global sulla scena politica italiana e la sua richiesta di una globalizzazione di tipo diverso, fondata cioè su beni e diritti comuni e non sul paradigma neo-liberista. Non piccolo fu il mio stupore nel vedere come questi movimenti storcessero visibilmente il naso di fronte alla coalizione dell’Unione (centrosinistra) in vista delle elezioni politiche del 2006; dopo quelle elezioni, molti organi di informazione ricostruirono un voto che, più che per Prodi o l’Unione, era stato contro Berlusconi. Non mi rispecchiavo in tale ricostruzione, ma con il passare degli anni ho dovuto riconoscerle ragione.
Una rielaborazione ragionata di vari interventi in occasione del convegno a Firenze dell’Altra Europa Per Tsipras
“Un altro mondo è possibile”, era lo slogan che veniva declamato a gran voce a Firenze nel 2002 da migliaia di ragazze e ragazzi che immaginavano una società radicalmente diversa rispetto a quella governata dalle regole di mercato. Quello storico Social Forum ha influenzato la visione politica di tanti futuri esponenti della sinistra europea che vi hanno preso parte, a partire da un giovane Alexis Tsipras.
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