In questo difficile 2014, per le lotte, per le spinte dal basso, sempre più vessate da una governance statale tesa a soffocare il dissenso in tutte le sue forme, la manifestazione di Venerdì ha costituito una grande ed ennesima sfida al sistema di potere che decide e indirizza troppo spesso le scelte politiche. La passeggiata verso le antenne poste in una stupenda riserva naturale, la sughereta di Niscemi, anche in questo frangente ha visto procedere lungo la via dell’ecomostro circa 1500 persone; festose, pacifiche vogliose di ribadire il concetto della difesa ad oltranza della propria terra. Lotte che si connettono, lotte che si parlano: No Muos, No Ponte e l’ultimo arrivato, il fronte No Triv.
La partecipazione alla manifestazione niscemese ha forse avuto solo un unico piccolo neo, spunto di riflessione per cercare in futuro di creare processi sempre più inclusivi, per vertenze oramai sempre più grandi e ampie. L’adesione del territorio tutto, basta guardare alla pluriventennale resistenza valsusina deve per forza passare da un coinvolgimento totale, nessuno escluso. La disillusione, il senso di stanchezza o impotenza provato davanti ad un gigante “parabolico”, le denunce arrivate alla vigilia della grande manifestazione, a prima vista risultano essere fattori di inattaccabilità e imbattibilità. Sensazioni che certamente hanno o stanno creando insofferenza verso le collettività locale, sotto la tremenda spada di Damocle imposta dall’ imperialismo americano.
Tra i tanti partecipanti all’assolata iniziativa di Venerdì, sicuramente la presenza meno forte o forse semplicemente la meno percepita è stata quella di chi il Muos lo vede costruire, giorno per giorno, davanti i balconi delle proprie case. Tanti, tantissime erano le persone accorse in solidarietà degli attivisti arrampicatisi da due giorni sul sistema satellitare, il dato partecipativo tuttavia resta perfettibile. La lotta deve essere interconnessa con il territorio, esso stesso deve sentirla sua, sacra e inviolabile.
Il processo auto-determinativo, già citato in precedenza deve per forza di cose, passare da un coinvolgimento totale di popolazione e istituzioni. Del resto, le vertenze, gli “stupri” territoriali sull’isola più grande del Mediterraneo certamente non mancano. Un grande fermento sta nascendo ad esempio attorno alla vicenda delle trivellazioni nell’intero Golfo di Gela. Lo scorso maggio infatti com’è noto è stato avviato un processo di perforazioni in questo ampio spazio di mare, progetto presentato dalla Società ENI S.p.A nell’istanza di concessione di coltivazione idrocarburi “d3G.C.-.AG” al largo della costa di Licata (Ag). Il Decreto VIA n. 149/14 sancisce, con prescrizioni, la compatibilità ambientale del progetto. I due pozzi esplorativi sono a circa 25 e 28 km di distanza dalla costa (cioè c.a. 13,5 e 15 miglia nautiche – Nm: un miglio marino equivale a 1.852 metri), mentre le attività di coltivazione saranno assai più vicine: i pozzi della serie Cassiopea sono tra 12 e 12,5 Nm dalla costa della provincia di Agrigento, mentre il pozzo Argo 2 è a poco più di 11 Nm.
Oltre a queste attività sono previste altri generi di realizzazioni piuttosto invasive, come oleodotti e infrastrutture di connessione con la rete distributiva relativa al greggio.
Gli aspetti più pericolosi del Decreto VIA n. 149/14 che ha sancito la compatibilità ambientale del progetto Offshore Ibleo, riguardano pesca, fattori di rischio Geologico, e ambientale e dulcis iun fundo il turismo. È ovvio che lo studio per l’impatto ambientale realizzato da ENI risulta assolutamente incompatibile con ile criticità sopra elencate, il rischio di distruggere completamente l’economia e il territorio di questa porzione di Sicilia resta altissimo.
La fauna, la flora le genti che quel mare lo vivono e lo popolano sono di fatto a rischio, e le giustificazioni poste dal colosso del petrolio sono piuttosto preoccupanti e ridicole. Nello studio di ENI si evince, all’interno di un passaggio, che l’area in questione “…rappresenta un banco di pesca frequentato dalle imbarcazioni a strascico mazaresi e la fase di posa delle condotte potrebbe comportare una riduzione della superficie utilizzabile per la pesca a strascico.”, analisi alquanto paradossale e assolutamente non provata scientificamente. Altri fattori estremamente rischiosi e comprovati sarebbero dati dall’altro rischio geologico che interesserebbe l’intero settore costiero (esistono minacce relative a frane, erosione e subsidenza che devono ancora essere oggetto di indagini ovvero hanno bisogno di un continuo monitoraggio fino anche a 27 anni dalla fine delle estrazioni di petrolio).
Il rischio ambientale, come è prevedibile, sarebbe altissimo, data la presenza di strutture di estrazioni di idrocarburi fossili (incidente in fase di perforazione del pozzo o coltivazione del giacimento, incendio sulla piattaforma.). In ultima analisi le ripercussioni sul turismo potrebbero essere devastanti, l’area perderebbe anzitutto il suo appeal turistico-attrattivo, comportando rischi per la salute e per la sicurezza sia di chi vive stabilmente sui territori, sia di chi passa anche pochi giorni di villeggiatura.
Secondo lo stesso progetto denominato OFFSHORE IBLEO, nelle operazione di trivellazione dei fondali poi si dovrebbero andare a tutelare tramite monitoraggio e identificazione di eventuali relitti sommersi. Quest’ultimi proprio dal punto di vista storico-archeologico, rappresentano in questa zona un’evidenza scientifica importante poiché ad esempio, in questo areale dovrebbero essere sepolte le grandi navi da guerra della prima guerra punica (la battaglia di Capo Ecnomo, combattuta in queste acque nel 264 a.C.), il grido d’allarme inerente a questa criticità fu già lanciato mesi fa dal Soprintendente del mare, il Professor Sebastiano Tusa.
Questa piccola digressione descrittiva permette di capire l’importanza della vertenza territoriale che tra Ragusa e Agrigento sta nascendo. I costituendi comitati No Triv, hanno iniziato un ennesima lotta territoriale per dire, come già aveva asserito GreenPeace mesi fa, “u mari un si spirtusa”!
L’interconnessione delle lotte, la partecipazione collettiva saranno le grandi sfide dei prossimi mesi, il processo delegativo ormai non può più essere la soluzione. Da Niscemi al Golfo di Gela, dal fenomeno della “terra can un senti”, come diceva la cantautrice licatese Rosa Balistreri, è arrivato il momento per la collettività siciliana, di urlare il dissenso comune verso opere inutili e dannose per tutti e tutte per difendere, con azioni concrete, il mare, fonte inesauribile di ricchezza.
Fonte utilizzata: OFFSHORE IBLEO