Spesso siamo tenuti a pensare che l’uomo “antico” al di fuori della concezione religiosa, poco pensasse alla salvaguardia della natura, al massimo esso presentava un timore reverenziale verso qualcosa di incontrollabile. Le società antiche conoscevano il territorio seppur con mezzi meno tecnologici dei nostri e lo rispettavano poiché da esso dipendevano le loro fortune.
Plinio il vecchio ad esempio nella sua grande esegesi scientifica, la Naturalis Historia, parlando del territorio e dei suoi aspetti “produttivi” cita senza scrupolo sia le potenzialità che la terra chiamata “grande madre”, rende agli uomini sia i rischi e le criticità che emergono dal febbrile sfruttamento di essa. In particolare, sulla diffusione del prelievo irrazionale delle risorse naturali sotterranee, nel libro trentatreesimo Plinio sottolinea:
“scruta le profondità della terra per molteplici motivi: in un posto infatti si scava per le ricchezze, e gli uomini cercano oro, argento, elettro, rame, in un altro per il lusso, cercano pietre preziose e coloranti per dipingere pareti e superfici lignee, in un altro ancora, per soddisfare una cieca stoltezza, si procurano il ferro, che è anche più apprezzato dell’oro in tempi di guerre e stragi. Tentiamo di raggiungere tutte le fibre intime della terra e viviamo sopra le cavità che vi abbiamo prodotto, meravigliando che talvolta essa si spalanchi o si metta a tremare”.
Duemila anni dopo, la storia non ha insegnato nulla, le frane, gli smottamenti le alluvioni e le mareggiate destano in noi segni di stupore, come se appunto in tutto questo l’elemento antropico fosse solo un variante poco importante e decisiva. Non solo abbiamo cementificato tutto il cementificabile, distrutto le foreste e inquinato le vie d’acqua interne; in un grande moto “avanguardistico” ci prepariamo a distruggere un’altra grande fonte di ricchezza; il mare.
Lo sblocca-Italia da questo punto di vista avrà effetti devastanti, l’ambiente alla mercé di chi con speculazioni e profitti facili vuole impadronirsi di risorse appartenenti alla collettività, senza considerare rischi che possono essere corsi con il loro sovrasfruttamento. I territori, i paesaggi storici che per millenni hanno contraddistinto la nostra economia rischiano di essere sacrificati sull’altare dei profitti, senza passare (aggravante imbarazzante) da un parere cittadino.
L’esempio più forte giunge dalla dimenticata Sicilia, terra di sfruttamento territoriale senza alcuna regola. L’ultimo progetto riferibile alle trivellazioni in programma da ENI è chiaramente un esempio della mancata perdita di “potere” territoriale di comunità costrette a subire alcune discutibili scelte. La difesa del territorio, l’amore verso di esso ha portato se non altro da un mese a questa parte, alla consapevolezza di una collettività che cerca e cercherà di reagire a questa scelta “aziendale”.
Il comitato nato a Licata, quello nato nella vicina Palma di Montechiaro, seguiti da Agrigento Porto Empedocle e tutta la fascia costiera del Golfo di Gela (il già costituito comitato di Scicli e altri comuni contigui), in un luogo teatro possibile del progetto OFF SHORE ibleo, hanno permesso alle comunità ivi presenti di capire o perlomeno che un risveglio, partendo dalla difesa dei territori, può avvenire. Sia ben chiaro la strada e lunga e intricata, ma la consapevolezza nata in questo spicchio lontano di Sicilia, merita fiducia.
L’Italia che resiste alle distruzioni e alle devastazioni ancora di più.