Un problema non solo sanitario ma anche e soprattutto democratico che non può non far riflettere sulle diverse problematiche dell'Italia di oggi.
Je so pazz, il nome con cui si identificano gli occupanti dell'ex Opg napoletano, si presenta allora come un verio e proprio laboratorio politico in una fase in cui i diversi partiti presenti in Parlamento sono ormai sempre meno adatti a comprendere le istanze della società. Un luogo che fino a ieri era simbolo di una crepa importante della democrazia italiana, oggi è diventato un collettore di forze che hanno come obbiettivo principale quello di colmare un vuoto di rappresentanza incentivando innanzitutto l'aggregazione sociale.
La partecipazione attiva del quartiere e di tutta la cittadinanza alle iniziative che sono state organizzate e che vanno dal doposcuola al teatro, ai laboratori artistici per bambini e allo sport popolare testimonia non solo la riuscita di una tale esperienza ma anche la presenza di un bisogno diffuso di riaffacciarsi alla vita politica e sociale.
Un bisogno che si è esplicitato anche nel successo di iniziative e dibattiti che hanno riguardato non solo i punti critici della psichiatria contemporanea e dell'assistenza alla malattia mentale ma anche temi politici e sociali più ampi come il razzismo e il neofascismo.
Un'occupazione che non ha dunque come unico fine quello di tamponare i problemi causati da una cattiva gestione dello Stato ma che soprattutto si propone di costruire un soggetto politico attivo il quale, riportando in primo piano la contraddizione tra capitale e lavoro, possa promuovere un cambiamento strutturale delle condizioni economiche e un vero processo di democratizzazione.
Nonostante le migliaia di firme a sostegno del progetto Je so pazz e tra le quali si trovano anche i nomi di politici ed artisti di un certo rilievo, le autorità statali continuano a minacciare lo sgombero anche contro l'opinione del sindaco de Magistris che si è apertamente dimostrato contrario ad una tale opzione.
Un'ulteriore conferma di un atteggiamento che, invece di incentivare la partecipazione della cittadini alla vita comunitaria, tende a distruggere sistematicamente i luoghi di aggregazione, specialmente quando questi possano costruire un'opposizione concreta alle politiche dominanti.