Sabato, 23 Maggio 2015 00:00

Ecoreati: una legge che lascia qualche dubbio

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Con il voto in Senato, il cosiddetto “DDL ecoreati” ha incontrato l’approvazione definitiva a larga maggioranza lo scorso 19 maggio, concludendo un iter iniziato nel febbraio 2014 con la presentazione da parte del gruppo parlamentare del PD di un disegno di legge di disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente, poi integrato con le iniziative dei gruppi parlamentari di M5S e SEL.
Questo provvedimento si inserisce in un contesto normativo preesistente disorganico e dispersivo, drogato dall’inflazione di leggi specifiche. I fondamenti dei precedenti interventi normativi sono stati il principio della prevenzione del danno, con l’articolazione del sistema di valutazioni di impatto ambientale (le famose VIA, spesso troppo ottimistiche…) e permessi da parte di amministrazioni pubbliche alla realizzazione di opere potenzialmente dannose, il principio di precauzione per il contenimento del danno e il famigerato principio «chi inquina paga», tradotto dalla prassi in «chi paga può inquinare».

Il DDL interviene sul Codice Penale e sul Testo Unico “Norme in materia ambientale” Dlgs 152/2006. Nel primo introduce un titolo apposito “dei delitti contro l’ambiente”, che definisce un pacchetto di reati ambientali che apparentemente sembrerebbero compiere un grosso passo avanti nella tutela giuridica dell’ambiente:

- Inquinamento ambientale abusivo 

• del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell’aria
• dell’ecosistema, della biodiversità, della flora e della fauna

punibile con reclusione da 2 a 6 anni e con multa da 10'000 a 100'000 euro – aumentabili qualora l’inquinamento danneggi un’area sottoposta a vincoli di protezione o specie viventi protette, ovvero qualora l’inquinamento metta a rischio l’ambiente colpito, ovvero qualora danneggi la salute di persone; le pene sono ridotte in caso di inquinamento colposo, fino ad essere nulle se il colpevole provvede alla messa in sicurezza, bonifica e/o ripristino del sito colpito prima dell’inizio del processo.

- Disastro ambientale abusivo (alterazione irreversibile, o la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, dell’equilibrio ambientale; ovvero offesa alla pubblica incolumità collegata al danno), punibile con reclusione da 5 a 15 anni, aumentabili qualora il disastro colpisca un’area sottoposta a vincoli di protezione o specie viventi protetti, nonché qualora causi pericoli per l’ambiente; le pene sono ridotte in caso di disastro colposo, fino ad essere nulle se il colpevole provvede alla messa in sicurezza, bonifica e/o ripristino del sito colpito prima dell’inizio del processo.

- Traffico (inclusa la detenzione illegale) e abbandono abusivi di materiale altamente radioattivo, punibile con reclusione da 2 a 6 anni e con multa da 10'000 a 50'000 euro, aumentabili qualora dal fatto derivi inquinamento ambientale o pericolo per la vita e l’incolumità di persone.

- Impedire, ostacolare, eludere o ingannare le attività di controllo e vigilanza dei siti ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, punibile con reclusione da 6 mesi a 3 anni.

La pena potrà essere ridotta nel caso in cui il colpevole si ravveda nel corso del compimento del reato ambientale e si adoperi per evitarne l’aggravarsi, ovvero collabori con le autorità di polizia e giudiziarie nel perseguimento e nella repressione del reato, ovvero provveda a messa in sicurezza, bonifica e ripristino (ove possibile) del sito danneggiato.
In caso di condanna per questi reati, sarà sistematicamente ordinato il recupero e, ove possibile, il ripristino dello stato dei siti danneggiati a carico dei condannati; la mancata bonifica sarà punibile con la reclusione da 1 a 4 anni e con multe da 20'000 a 80'000 euro.
Si introduce la previsione di aggravante di reato, in particolare nei confronti dei reati di associazione a delinquere ed associazione mafiosa, qualora finalizzati a commettere reati ambientali (sia quelli definiti dal nuovo DDL che quelli definiti dal Dlgs 152/2006) o a controllare attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici in materia ambientale; le pene aumentano se nell’associazione sono coinvolti pubblici ufficiali o responsabili di servizi pubblici. Alle pene previste per i reati ambientali introdotti si aggiunge la confisca dei mezzi utilizzati per commetterli e dei loro prodotti o profitti, che diventano beni pubblici vincolati alla bonifica del sito colpito. È inoltre previsto il coordinamento tra procuratore della Repubblica e procuratore nazionale antimafia nelle indagini sui reati ambientali.

Nel Testo Unico “Norme in materia ambientale” si inserisce un apparato sanzionatorio “degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”, riferito a contravvenzioni in materia ambientale che non abbiano danneggiato o messo concretamente in pericolo risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. Si definiscono rigorosi tempi utili entro i quali il contravventore deve attuare la prescrizione correttiva ricevuta dalla polizia giudiziaria o dall’autorità che ne eserciti le funzioni; l’assolvimento della prescrizione e il pagamento di un’ammenda estinguono la contravvenzione.

Facile, tuttavia, intuire il punto debole nella previsione di questi reati: si configurano solo se l’attività dannosa è abusiva, cioè non autorizzata o certificata. Un truismo? Tutt’altro: significa che il danno ambientale può essere riconosciuto legalmente o meno a seconda della presenza di autorizzazioni o certificazioni dell’attività rivelatasi poi dannosa; mentre una formulazione che non citasse l’abusivismo avrebbe permesso di perseguire chi avesse rilasciato autorizzazioni o certificazioni ad un’attività poi rivelatasi dannosa per l’ambiente. Rimane inoltre sostanzialmente invariata la garanzia d’impunità, già sancita dal Dlgs 152/2006, per chi si renda colposamente responsabile di reati ambientali e, notificatolo all’autorità di riferimento, adempia alle prescrizioni da essa ricevute per la bonifica.

Per danneggiare impunemente l’ambiente basterà ancora avere un permesso, basterà ancora una valutazione che sottostimi gli impatti di un’attività (e, nel Paese che ha visto i carotaggi negare la presenza di amianto in una valle che fino a poco tempo fa era la miniera amiantifera d’Europa, questa ipotesi non sembra troppo remota). Continuerà a convenire il venir meno a prevenzione e precauzione, a patto di “pentirsi in tempo” o riuscire a dimostrare che l’inquinamento non fosse doloso, e rimettere a posto un sito inquinato senza pagare ulteriori conseguenze. Rimettere a posto, del resto, è sufficiente? Nessun ripristino può cancellare un danno dalla storia ecologica di un ambiente, poiché sarebbe necessario tornare indietro nel tempo. Di certo, azioni di ammenda come bonifiche e ripristini sono semplicemente il minimo dovuto in presenza di un danno contro l’ambiente, finendo per equivalere sostanzialmente a quel comportamento di prevenzione e cautela mancato dall’inizio dell’attività; non serve quindi uno sforzo d’immaginazione per sospettare che, per disincentivare i delitti contro l’ambiente, serva qualcosa di più.

Ultima modifica il Sabato, 23 Maggio 2015 08:28
Silvia D'Amato Avanzi

Studia scienze naturali all'Università di Pisa, dove ha militato nel sindacato studentesco e nel Partito della Rifondazione Comunista. Oltre che con la politica, sottrae tempo allo studio leggendo, scribacchiando, scarabocchiando, pasticciando, fotografando insetti, mangiando e bevendo.

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