Martedì, 06 Giugno 2017 00:00

A proposito di legge elettorale

A proposito di legge elettorale

La vertiginosa accelerazione sulla riforma elettorale a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni è il frutto della convergenza fra PD, FI, Lega e M5S su una serie di emendamenti che hanno modificato sostanzialmente il testo base del Rosatellum nella direzione di un sistema proporzionale che ha diverse somiglianze, ma anche significative differenze, con il modello tedesco. L’ampia maggioranza parlamentare di cui godono i simpatizzanti della proposta di legge potrebbe portare ad una approvazione piuttosto rapida e c’è allora da chiedersi se questo sia il preludio a un’imminente crisi di governo e al conseguente voto anticipato in autunno che molte forze politiche sembrano volere.

Sicuramente intanto però molti aspetti della riforma stanno accendendo una polemica infuocata: se da una parte lo sbarramento al 5% è indigesto a molti partiti piccoli, ed è proprio su questo punto che si è consumata la rottura fra Renzi e Alfano, dall’altra è forte la preoccupazione per un sistema che renderà difficile trovare un’ampia maggioranza parlamentare. Non meno significativo, fra le altre cose, è anche il nodo sui meccanismi di elezione dei parlamentari, soprattutto dopo che gli emendamenti proposti per introdurre il voto disgiunto e le preferenze nel listino proporzionale sono stati bocciati. Su questa delicata situazione politica, il “10 mani” di questa settimana.


 Niccolò Bassanello

Esistono due nodi del “caso italiano” che il dibattito parlamentare sulla legge elettorale non è riuscito a sciogliere: l'incertezza della legge e il problema del trasformismo. Per quanto riguarda il primo nodo, dopo il “mattarellum” (1993) il “porcellum” (2005) e l'“italicum” (2015) e successive mutilazioni per incostituzionalità, il meccanismo elettorale italiano non ha avuto pace, con leggi successive che hanno di volta in volta ricalcato più gli interessi di parte degli estensori che l'attenzione a criteri di razionalità tecnica. In questo contesto da un lato la Corte Costituzionale si è trovata a supplire al ruolo del legislatore, rischiando di diventare quella “terza camera” non elettiva paventata a suo tempo da Togliatti. Quella che, salvo ennesime giravolte, dovrebbe essere la nuova legge elettorale persevera nell'errore, costruendo un sistema pasticciato e poco chiaro unendo elementi disparati di ispirazione proporzionale o maggioritaria. Più che “modello tedesco”, modello Frankenstein. Meglio, a mio parere, sarebbe stato fare una scelta netta licenziando una legge più semplice possibile, magari maggioritario uninominale o proporzionale con sbarramento, per poi apportare eventuali aggiustamenti nel lungo periodo.

Per quanto riguarda il secondo nodo, basti dire che attualmente un parlamentare su tre ha cambiato gruppo, e che tutte le aree politiche dell'arco parlamentare, dal 2013 ad oggi, hanno subito scissioni, cambi di casacca o espulsioni di massa. I partiti in parlamento si sono sbriciolati e moltiplicati, spesso totalmente all'insaputa degli elettori, che davanti a sigle come “alternativa libera”, “civici e innovativi” o “conservatori riformisti” non possono che rimanere spaesati.

Considerato questo contesto desolante, lo sbarramento al 5% previsto dalla nuova legge elettorale è probabilmente l'unico elemento positivo, rendendo sostanzialmente impossibile la rielezione di conventicole di potere e scissionisti minoritari di ogni persuasione. In ogni caso non bisogna farsi illusioni, nonostante sia necessario fare il possibile per metterci una pezza, le cause della frammentazione sono sistemiche, e non risolvibili con artifici elettorali.


Alex Marsaglia

Le principali forze politiche parlamentari stanno trovando una convergenza su una nuova legge elettorale, lo stesso PD sembra disposto a concedere persino una maggiore proporzionalità, ispirandosi al modello tedesco. Quest'ultimo però prevede una maggior selettività nella rappresentanza con una soglia di sbarramento innalzata al 5%, ma pur di andare al voto sembra andare bene.

Il sistema, pur andando verso una maggior proporzionalità, certamente non è privo di tranelli poiché mantiene i capilista bloccati, per cui l'eletto risulterà quindi non il più votato ma il candidato indicato preventivamente dalle forze politiche. Inoltre, la principale conseguenza di una tale soglia di sbarramento è che i partiti presenti in Parlamento inevitabilmente si ridurranno. PD, M5S, Forza Italia e Lega Nord oltre ad essere coloro che approveranno tale sistema elettorale dovrebbero essere anche le uniche forze politiche in grado di ottenere un minimo di rappresentanza. Il vero dato di questa legge elettorale tuttavia non deriva dal solo lato tecnico, ma da quello politico. Infatti, la stessa decisione di varare una legge elettorale è sintomo della volontà politica di sfruttare il vento di Macron per riportare il nuovismo socialdemocratico al governo, tagliando fuori dai giochi ogni pericolo populista. La volontà di isolare determinate forze politiche, nella fattispecie quelle populiste, è l'unica ragione ad aver mosso Renzi e i suoi accoliti nella direzione di una nuova legge elettorale che inevitabilmente sbloccherà la situazione portandoci a nuove elezioni.

Così si prefigura già un'ammucchiata di governo pronta per approvare una legge di stabilità austeritaria in grado di recepire le indicazioni di Bruxelles e Francoforte. La gestione dei Piigs nel fine stagione del quantitative easing sembra così condurci alla melassa democristiana più torbida.


Dmitrij Palagi

Sono i rapporti di forza che determinano l'impianto normativo di un sistema. C'è poco da fare. L'interpretazione delle leggi nei tribunali, l'orientamento esecutivo del Governo, quello legislativo del Parlamento... non si può agire all'interno delle regole date pensando di poterle mutare a proprio favore se non si hanno dei rapporti di forza adeguati. In questo la sinistra italiana pare molto arretrata, impegnata come è a scandalizzarsi per questo o quel dettaglio (sia la soglia di sbarramento o il meccanismo dei collegi).

Il grande scandalo dei nominati è sorprendente. Quante persone oggi sarebbero in grado di proporsi con una capacità di mobilitazione in grado di garantire la propria elezione in Parlamento, escludendo le prime file (comunque molto limitate numericamente)?

Se la destra ha da regolare i conti al proprio interno, a partire dal ruolo dei moderati e del centro, nell'opporsi all'asse FdI-Lega Nord, Renzi ha gioco facile nel rafforzare quella linea di autosufficienza che è alla base della nascita del Partito Democratico (Bersani è un mezzo - falso - passo indietro rispetto a Veltroni). Il Movimento 5 Stelle ha dei rapporti di forza che gli permettono di giocare un ruolo a prescindere dalla legge elettorale (e nemmeno hanno validi motivi per sperare di governare da soli o ritrovarsi "obbligati" a cercare alleati, come Tsipras in Grecia insieme ai nazionalisti).

In tutto questo il "quarto polo" della sinistra non decolla non certo per colpa della legge elettorale. Manca un progetto. Se i due governi Prodi vengono giustificati con l'assenza del proporzionale nel Paese, sarebbe il caso di chiedere ai dirigenti DS-PRC di allora quale è stato il progetto complessivo che hanno proposto all'Italia tra gli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio.

Il Sole 24 Ore ha provocatoriamente iniziato a intervistare i "candidati premier" (che il nostro impianto costituzionale non prevederebbe) chiedendo per cosa si dovrebbe andare a votare. I vari Renzi e Di Maio devono giocarsi la partita nel sistema mediatico dato. A chi si propone come "alternativo al sistema" si consiglia di prendere spunto dal 5 Stelle, capace di apparire senza sussistere, a prescindere dalla legge elettorale. Apparire e sussistere: sarebbe una rivoluzione (parziale).


Jacopo Vannucchi

L’accordo tra i quattro principali partiti, che rappresentano assieme circa il 90% dei votanti, su una variante del sistema tedesco inaugura di fatto una situazione di armistizio tra le forze politiche che segnala come l’Italia non sia riuscita, in questi anni, a venire a capo della propria situazione interna.

Nel messaggio alla nazione del 31 dicembre 2013 l’allora Capo dello Stato ricordò che nel corso dell’anno l’Italia aveva visto messa a rischio la stessa natura democratica del sistema istituzionale – un evidente riferimento alle manovre eversive del Movimento 5 Stelle a cui, d’altro canto, non aveva corrisposto una reazione determinata degli avversari. Venuta meno con il Governo Letta la formula del “fronte repubblicano” (o “larghe intese”) l’alternativa a Grillo si era manifestata nel Governo Renzi e nel 41% raccolto dal Pd a maggio 2014. Fondandosi su quel consenso eccezionale il Presidente del Consiglio aveva promosso numerose riforme con l’obiettivo di far venir meno le radici del consenso popolare al M5s.

Sconfitto questo disegno nel referendum costituzionale, bocciato l’Italicum dalla Corte Costituzionale, e con una stampa di opinione sempre più ostile alla «classe politica» (sic), l’Italia torna al punto di partenza del 2013, ma con una vistosa differenza: il nuovo sistema proporzionale renderà di fatto certa, prima del voto, l’ingovernabilità del Paese e il necessario ricorso a coalizioni spurie. Se a questo dovesse affiancarsi la riedizione di esecutivi a guida “tecnica” – scenario paventato da Renzi stesso in caso di vittoria del No – è evidente che il consenso al M5s potrebbe imboccare una nuova fase di crescita.

E anche l’accorato allarme lanciato da Romano Prodi – «Non ho dedicato la mia vita politica a costruire alleanze con obiettivi talmente disomogenei da diventare improduttivi», in riferimento a un futuro governo Pd-Fi – ha almeno due pecche: 1) non considera che invece di Pd-Fi al governo potrebbero andare gli altri, ovvero M5s-Lega; 2) evita di puntualizzare che una maggioranza omogenea sarebbe per certo scaturita con l’Italicum e il suo contenuto premio maggioritario (54% dei seggi alla Camera).


Alessandro Zabban

Sebbene probabilmente andrà incontro ad altre modifiche, l’assetto generale della nuova legge elettorale è piuttosto chiaro. Il modello sostanzialmente proporzionale, ma con la presenza di collegi uninominali, vorrebbe ricalcare quello tedesco ma in realtà poco si adatta all’assetto istituzionale italiano così come sancito dalla nostra Costituzione che prevede il bicameralismo perfetto e un numero fisso di parlamentari.

Si vuole dunque importare un modello che rischia di non funzionare nel contesto italiano dove tradizionalmente le coalizioni di governo, quasi sempre necessarie con questo sistema elettorale, durano molto poco. Sembra inoltre profilarsi un meccanismo che di fatto rende molto limitata la possibilità di esprimere una preferenza sulla scheda elettorale (soprattutto visto che molti parlamentari verranno eletti all’interno delle liste proporzionali bloccate), cosa che allontana ancor più la nuova riforma dal modello tedesco e soprattutto fa emergere una inconsueta e cinica realpolitik del M5S, pronto a rinunciare alle preferenze, suo tradizionale cavallo di battaglia, pur di andare subito al voto e massimizzare un risultato elettorale di rilievo che, sondaggi alla mano, sembra potersi concretizzare.

A ben vedere però, con questo sistema, i pentastellati potrebbero andare incontro a una vittoria di Pirro in quanto nessun partito, allo stato attuale, sembra essere in grado di governare da solo. Il M5S che per sua natura tende all’autonomia politica, difficilmente potrà allearsi con un’altra forza politica (gli elettori non lo perdonerebbero) e ciò potrebbe significare rimanere all’opposizione dato che il sistema premia chi riesce a mettersi in coalizione dopo l’esito elettorale, a giochi fatti. A meno di una clamorosa alleanza Lega – M5S, stando così le cose, il più probabile scenario è quello di una coalizione di governo PD – Forza Italia (fa una certa impressione sentire molti esponenti del PD definire Berlusconi come un baluardo contro l’avanzata del populismo!). Sono dunque queste le forze che di fatto stanno uscendo vittoriose dal confronto parlamentare sulla riforma. Ma nel lungo termine la mancanza di un premio di maggioranza potrebbe rendere l’azione di un governo nato sotto il segno del Nazareno poco efficace. Questa riforma mette in luce che le principali forze politiche hanno più paura di perdere che voglia di vincere. La loro mossa però farà strage di partiti piccoli, non in grado di superare la soglia si sbarramento. La sinistra radicale è avvertita.

Immagine liberamente ripresa da images2.corriereobjects.it.

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Martedì, 07 Marzo 2017 00:00

Italia, morituri te salutant

Italia, morituri te salutant

In questi giorni impazza il dibattito sull'eutanasia, sulla dolce morte. Come sempre, quando qualcuno sceglie di farla finita: è stato così con Eluana Englaro ed è così per il recente caso di Dj Fabo. Purtroppo però siamo tutti tristemente consapevoli che non solo la discussione non porterà a nessun risultato, ma anzi si esaurirà non appena l'attualità ci presenterà un nuovo argomento alla moda. Invece sarebbe fondamentale discutere questo tema, ed ancor più sarebbe importante farlo a bocce ferme, ossia quando non c'è nessun caso specifico cui fare riferimento. Infatti, se non mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte ci saranno presto o tardi altri dieci, cento o anche mille Dj Fabo, i cui casi saranno peraltro molto meno di dominio pubblico.

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Italia e legge sul fine vita: un futuro incerto

L’Italia, lo sappiamo, non brilla certo in tema di diritti civili. Il testamento biologico resta bloccato in parlamento e anche i diritti della persona non ricevono ancora il riconoscimento loro dovuto nel resto dei paesi occidentali. Nella bioetica e non solo la Chiesa continua a giocare un ruolo attivo intervenendo nella vita pubblica con un’autorità che, piaccia o meno, è ancora riconosciuta e rispettata dall’opinione pubblica a cui piace la trasgressione tipica del capitalismo libertario ma solo fino ad un certo punto. La questione posta dal caso di Dj Fabo riguarda l’eutanasia attiva e spinge il discorso dei diritti civili più in profondità: l’autodeterminazione si incontra e scontra con il progredire delle tecnologie in grado di mantenere in vita malati giunti al limite della sopportazione fisica della propria condizione. Parallelamente il dibattito sembra confinarsi sempre più nel puro esercizio delle libertà personali unite al progresso scientifico, dove si rivendica unicamente la possibilità di scelta di chi può permettersi la clinica privata per essere traghettato verso la “buona morte”. 

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La socialdemocrazia europea nel secondo dopoguerra: dal compromesso sociale su base keynesiana all’accodamento al neoliberismo

Agli esordi di quella che si chiamerà Unione Europea ci sono operazioni, che rispondono primariamente a esigenze di ricostruzione delle economie europee occidentali, devastate dalla guerra, quali la Comunità del Carbone e dell’Acciaio del 1951 e il Piano Marshall del 1947, cioè gli aiuti statunitensi, poi evoluto, l’anno successivo, nell’OECE. Anzi tra i precedenti in assoluto va posto l’accordo italo-belga del 1946, che scambiò 50 mila lavoratori italiani disoccupati, da impiegare nelle miniere di carbone e nella siderurgia del Belgio, con rifornimenti belgi di carbone all’industria e alle abitazioni italiane, e che sfociò nella tragedia di Marcinelle dell’agosto del 1956, 262 morti in miniera, a seguito di un incendio. Con quelle operazioni si trattò, dal punto di vista delle borghesie dei paesi europei occidentali, delle loro parti politiche e degli Stati Uniti, non solo di aiutare popolazioni disperate, alla fame, senza casa, ma anche di evitare che queste condizioni, la disoccupazione, inoltre, come in Italia, l’odio nei confronti di chi la guerra l’aveva voluta e ne aveva approfittato, evolvessero in simpatie di massa anche politiche nei confronti dell’Unione Sovietica, eroica vincitrice al prezzo di 25 milioni di morti della guerra al nazismo, più che nei confronti dei pur prestigiosi e munifici Stati Uniti. Dal lato dell’URSS giocava infatti anche la dominante partecipazione comunista e operaia in quasi tutta Europa alla Resistenza.

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Mercoledì, 08 Febbraio 2017 00:00

L'accordo della vergona

Se a pochi mesi dall’elezione del nuovo Presidente l’isteria antitrumpiana sta decollando promettendo di arrivare a toccare picchi inimmaginabili, dall’UE osserviamo la prima macro-contraddizione del capitalismo occidentale nella sua fase senile. Infatti, il summit dell’Unione Europea a Malta ha avuto come obbiettivo primario un accordo per bloccare la cosiddetta “rotta del Mediterraneo”.

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Lunedì, 06 Febbraio 2017 00:00

Le sinistre in Italia: un panorama tragico?

Le sinistre in Italia: un panorama tragico?

Grande confusione sotto il cielo della sinistra. In un clima teso, su cui incombe, come una spada di Damocle, l'incertezza sulla data delle prossime elezioni politiche, si aprono scenari molto aperti e dalle linee poco definite. Si registrano così intensi malumori all'interno di molte formazioni politiche. Nel PD, le dichiarazioni di D'Alema, che evoca la possibilità di  una scissione e di Bersani che rincara la dose parlando di un "Ulivo 4.0", riaccendono la diatriba interna fra la vecchia guardia e i renziani. Se nel Partito Democratico tira insomma aria di congresso, a celebrarlo sicuramente saranno, fra gli altri, Rifondazione Comunista, impegnata a rilanciare progetto e riformulare la linea politica, e Sinistra Italiana, nuovo soggetto che sta ottenendo una certa attenzione mediatica ma già diviso fra chi vuole instaurare un dialogo col PD e chi predilige una posizione più autonoma. Altre variabili come il movimento Possibile di Civati o le velleità ancora oscure di Pisapia e di Emiliano, contribuiscono a delineare un mosaico decisamente frammentato.

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Sabato, 24 Dicembre 2016 00:00

2.9 miliardi motivi per di no al Tav

2.9 miliardi motivi per di no al Tav

L’avvallo definitivo e ultimo a bucare la montagna col metallo è arrivato da pochissimi giorni; notizia freschissima che chiarisce ancora di più, a chi avesse un qualsiasi dubbio, quali sono le strategie governo e della sua identica maggioranza, per quel che riguarda un settore tanto delicato, quanto strategico come i trasporti.

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Sabato, 01 Ottobre 2016 00:00

Riformare la politica, non l'opposizione

Se il buongiorno si vede dal mattino, lo spettacolo offerto da Matteo Renzi durante il suo primo giorno ufficiale di campagna elettorale referendaria è alquanto desolante. Si tratta infatti di una vera e propria conferma della tesi, ormai parecchio diffusa, che vede l’attuale premier come un vero e proprio “Renzusconi”, cioè l’ultima offerta politica del “serpentone metamorfico” (mi si passi il termine previano) nella fase di completa decadenza della democrazia. Chi voglia vedere uno spettacolo appena un po’ più desolante può sollazzarsi con la delirante campagna elettorale americana, dove i due rappresentanti della belva imperialista con la bava alla bocca si contendono il consenso di un pubblico completamente mitridatizzato, che segue lo show nonostante fuori vi siano piazze in rivolta e omicidi delle forze dell’ordine quotidiani.

Pubblicato in Società
Mercoledì, 11 Maggio 2016 00:00

Where to invade next?

Michael Moore dopo sei anni lontano dal grande schermo torna al cinema solo per tre giorni in Italia con Where to invade next?. Il nuovo documentario lanciato al Toronto Film Festival, è stato candidato all’Oscar per il miglior documentario senza però ricevere l’ambito premio. A differenza dei precedenti film è, sì anche questo una forte critica agli Stati Uniti, ma si nota un maggiore amore verso la sua terra.

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Dopo essere stato presentato a Roma, presso la Farnesina, lo scorso 6 aprile, anche a Parma, il 27 dello stesso mese, si è tenuta l'illustrazione dell'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (www.straginazifasciste.it).
L'iniziativa è stata organizzata dall'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea della città ducale, ed ha visto la partecipazione del prof. Paolo Pezzino, docente all'Università di Pisa e direttore scientifico del progetto; di Massimo Storchi, Responsabile del polo archivistico dell'Istituto Storico della Resistenza di Reggio Emilia, e del ricercatore Tommaso Ferrari, curatore delle schede riguardanti la provincia di Parma.

L'Atlante, nato grazie al contributo di storici, ricercatori ed enti, intende porsi come voce, nel web, del grande lavoro di documentazione portato avanti dagli Istituti Storici dell'Italia centro-settentrionale sulle stragi compiute dalle forze di occupazione tedesche, e dai collaborazionisti italiani, durante la Guerra di Liberazione Nazionale.

Nel proprio intervento il professor Pezzino ha sottolineato come l'Atlante - frutto di due anni di lavoro di 115 ricercatori - sia un work in progress, destinato ad arricchirsi sulla base di segnalazioni di nuovi eventi, di errori, o mediante nuovi dati, forniti da utenti, studiosi, enti e comunità locali.
La ricerca è stata finanziata dalla Repubblica Federale Tedesca, come risposta al rifiuto di corrispondere indennizzi ai familiari delle singole vittime dei fenomeni stragisti compiuti dalle truppe tedesche nel nostro Paese tra il 1943 ed il 1945.
Da un punto di vista metodologico, l'innovazione portata da questo progetto, consiste nell'aver incluso tra le stragi anche le singole uccisioni e non solamente quelle definite, propriamente, come tali. Una innovazione che consente di avere un panorama più ampio e dettagliato della violenza nazifascista perpetrata contro civili e partigiani - e qui sta l'altra novità - disarmati. Oltre ai civili propriamente detti, infatti, sono stati inclusi tutti gli episodi che hanno visto vittime partigiani che si erano arresi e che, contrariamente a quanto prevederebbero le leggi di guerra, non avevano alcun riconoscimento ufficiale di combattenti, e le conseguenti garanzie che da tale status derivano. Esclusi dalla ricerca sono state, invece, le vittime di episodi non afferenti a rappresaglie e rastrellamenti, come i caduti a causa di bombardamenti o mine.
Importante sottolineatura è presente già nel nome del progetto. Il “naziste e fasciste” non è infatti casuale, ma intende evidenziare una autonomia stragista presente nelle truppe e nei singoli combattenti della RSI. Una vocazione stragista spesso prescindente dalle azioni dell'alleato.
Gli episodi censiti sono stati 5.428 per un numero totale di vittime di 23.461. Tra le regioni con più caduti vi sono l'Emilia Romagna (4.213) e la Toscana (4.465), le due regioni più prossime alla Linea Gotica e che per tale ragione più soffrirono della violenza dell'occupazione. Terza regione per numero di vittime il Piemonte, con 2.792 caduti, per oltre il 50% partigiani; seguito da Veneto, 2.383 caduti, e Campania, con 1.409 uccisioni. Dato, quello campano, che dà una misura della violenza a cui si lasciarono andare le truppe germaniche, anche quando non si trovarono ad affrontare un movimento partigiano organizzato (i caduti campani saranno, infatti, quasi tutti civili). Altro dato importante, per numero di caduti, riguarda il Friuli, dato che va completato, per avere una visione d'insieme, con le vittime nelle zone annesse dall'Italia e che oggi sono sotto sovranità slovena e croata.
Proseguendo nell'illustrazione dei dati principali, si hanno 2.725 episodi con singole uccisioni; 2.215 stragi con un numero di morti compreso tra i due ed i nove; 434 stragi con da 10 a 49 vittime; 40 con un numero di vittime tra le 50 e le 99 ed, infine, 14 stragi con oltre cento caduti.
Cronologicamente i picchi stragisti si sono verificati nell'autunno del 1943 (quindi sin dai primi passi compiuti dal movimento partigiano nella Guerra di Liberazione Nazionale) e nell'estate del 1944. Dopo un primo calo nel numero del vittime, di nuovo si ha un aumento del numero dei crimini a danno di persone disarmate nell'ultima parte della guerra, causato dalle truppe in ritirata (sia per motivi di natura strategica sia per il verificarsi di vendette e fenomeni dovuti a frustrazioni per la sconfitta ormai imminente).
Percentualmente la maggior parte degli episodi censiti hanno riguardato rastrellamenti (il 30%), seguiti da rappresaglie (17%), fatti afferenti la ritirata delle truppe (13%) e motivi punitivi (10%). Tra i reparti tedeschi che più hanno contribuito a questo macabro elenco la 16ª Divisione Panzergrenadier delle SS.
Per quanto concerne le modalità, la maggioranza delle uccisioni (il 38%) sono avvenute mediante fucilazione. Continuando tra i dati forniti da Pezzino nel proprio intervento, circa gli autori delle stragi si ha un 61% degli episodi (con il 64% delle vittime) di cui si resero protagoniste le truppe naziste; il 19% compiuti da militi della RSI (che hanno provocato il 12% delle vittime) ed il 14% (ed il 20% delle vittime) delle stragi operate congiuntamente dalle due forze.
Per quanto afferisce alla tipologia delle vittime ai primi posti si hanno 12.581 civili; 6.776 i partigiani arresi o comunque disarmati; 371 persone legate ai partigiani; 212 disertori; 888 appartenenti ad altre categorie (religiosi, carabinieri etc.); 357 antifascisti.
Il 68% delle vittime era nella fascia d'età compresa tra i 17 ed i 55 anni e l'81% erano uomini.

Altri dati, estremamente dettagliati, ed illustrati strage per strage, sono presenti sul portale, e ad essi è garantito il carattere scientifico dall'importante lavoro di controllo effettuato sugli stessi.

Secondo ad intervenire il ricercatore Tommaso Ferrari, curatore delle schede parmensi del portale, che ha illustrato i fatti (117 per un totale di 414 vittime) avvenuti nel territorio parmense dal febbraio del 1944 all'aprile del 1945.
Primo episodio di rappresaglia che colpì la provincia fu quello del primo febbraio 1944, avvenuto per ritorsione rispetto alla morte di un fascista ucciso da un bomba in un bar il giorno prima, e costò la vita a tre persone: tra esse l'antifascista Tommaso Barbieri.
Gli ultimi episodi che insanguinarono la provincia sono avvenuti nella coda degli eventi bellici, nella cosiddetta “sacca di Fornovo”, il 27 aprile 1945, e videro come matrice delle stragi le truppe tedesche in ritirata. Saranno nel complesso 82 le vittime parmensi di rappresaglie tra il 24 ed il 27 aprile 1945. Quasi tutte queste uccisioni si situano tra Fornovo, Salsomaggiore ed il Po, lungo la direttrice seguita dalle truppe tedesche in ritirata.
Altro fenomeno di cui fu vittima la provincia di Parma, insieme a quella di Reggio, fu la cosiddetta Operazione Wallenstein, mirante a rastrellare lavoratori da destinare al lavoro coatto (saranno 1.800 le persone catturate tra Reggio e Parma tra la fine di giugno e quella di luglio del 1944).

Ultimo intervento quello dello storico Storchi, il quale ha sottolineato l'importanza dell'analisi di questi dati. In particolare di grande importanza sono episodi “piccoli” - che nel reggiano hanno lasciato sul terreno più vittime delle stragi maggiormente note: Cervarolo e Bettola - per comprendere la diffusione della violenza stragista perpetrata dagli occupanti, sottolineando l'autonomia stragista delle truppe della RSI, spesso non benvista, per motivi non umanitari ma di natura tattica, dagli stessi comandi tedeschi.
Autonomia fascista che si manifestò anche nella tipologia dei saccheggi, non legati soltanto a necessità alimentari, ma che si caratterizzarono spesso come vere e proprie razzie, con successivo incendio delle case.

In conclusione l'Atlante rappresenta una fonte preziosa ed un'utile sistematizzazione di una grande quantità di informazioni sulla violenza stragista che colpì l'Italia tra il '43 ed il '45, ed è destinato non solamente a ricercatori e storici, ma anche a scuole, enti locali, per iniziative legate alla memoria storica ed in generale all'opinione pubblica del nostro Paese.

Pubblicato in Umanistica e sociale

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