Martedì, 07 Marzo 2017 00:00

Italia, morituri te salutant

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Italia, morituri te salutant

In questi giorni impazza il dibattito sull'eutanasia, sulla dolce morte. Come sempre, quando qualcuno sceglie di farla finita: è stato così con Eluana Englaro ed è così per il recente caso di Dj Fabo. Purtroppo però siamo tutti tristemente consapevoli che non solo la discussione non porterà a nessun risultato, ma anzi si esaurirà non appena l'attualità ci presenterà un nuovo argomento alla moda. Invece sarebbe fondamentale discutere questo tema, ed ancor più sarebbe importante farlo a bocce ferme, ossia quando non c'è nessun caso specifico cui fare riferimento. Infatti, se non mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte ci saranno presto o tardi altri dieci, cento o anche mille Dj Fabo, i cui casi saranno peraltro molto meno di dominio pubblico.

Sembra un incubo pensare che, in caso di incidente o quant'altro, si debba essere condannati a trascorrere il tempo senza poter avere alcun potere sul proprio corpo, finché a questo corpo non si scaricano le batterie. È effettivamente un incubo essere costretti a sopravvivere senza che si possa più parlare di vita.
'I know I was born and I know that I will die, the inbetween is mine" cantano i Pearl Jam, ma in Italia, su determinati argomenti, vengono facilmente smentiti. Infatti, a casa nostra, non è possibile disporre di questo 'inbetween' fra la nascita e la morte, perché non siamo liberi di stabilire quando e come morire.
Tra l'altro, se azzardiamo un paragone fra i due "casi modello" osserviamo che, se Eluana non era capace di intendere e volere quindi il tramite doveva essere per forza il padre, il caso di settimana scorsa invece vedeva protagonista una persona in grado di lanciare a viva voce il grido "Voglio morire!", ma neanche in quel caso è stato sufficiente. Quindi la scelta non è neanche dettata dalla volontà di far decidere la persona, poiché anche se questa fa sapere 'urbi et orbi' la sua decisione poi non la si rispetta lo stesso. E allora, cosa vogliamo?

 presto detto: pretendiamo che i suoi "sudditti" non solo vivano nel modo in cui noi "capi" riteniamo più giusto, ma anche che muoiano allo stesso modo. Ci vogliamo arrogare il diritto di stabilire dall'esterno secondo criteri fissi e insindacabili se un'esistenza possa o meno definirsi vita. Ma i malati non sono bambini: perché se un quarantenne vuol decidere di attuare un comportamento a rischio non possiamo farci molto (tranne, e giustamente, se tale condotta mette a rischio persone 'terze') mentre se lo stesso quarantenne è malato grave, senza speranza di salvezza e decide di 'accelerare' la propria fine, dobbiamo sentirci in diritto di dirgli che semplicemente "non può".

Ovviamente nessuno si augura una legge sul fine vita fatta in maniera tale da permettere ai medici di rinunciare a curare. Soprattutto non se lo augurano i malati. Ma, siccome sappiamo bene che l'uomo non è immortale e che il medico non è infallibile, è indispensabile una legge che permetta a chi si trova a dover affrontare la consapevolezza che la sua vita è agli sgoccioli (o comunque non ha più alcuna attrattiva) di non stare mesi (a volte anni) nel terribile limbo dell'attesa della morte.
Ovviamente, se e quando arriveremo alla meta, ci dovrà essere un monitoraggio medico su coloro che opteranno per la dolce morte e gli si dovranno prospettare anche le possibili alternative. Ma alla fine l'ultima parola dovrà essere del malato.

Insomma, l'auspicio è quello di vivere prima o poi in una società in cui regni il popolo sovrano anche per gli argomenti afferenti alla sfera etica e personale, e che soprattutto una persona, che già si trova a dover prendere la terribile decisione di morire, possa chiudere gli occhi in un ambiente conosciuto, circondata dall'affetto dei propri cari, senza essere costretta a viaggi della disperazione.

Ultima modifica il Lunedì, 06 Marzo 2017 15:15
Elena Papucci

Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell'Arci.

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