umani, di tutti, di qualsiasi minoranza, di chiunque sia vittima di soprusi e violenze (psicologiche, sociali, economiche, politiche o fisiche che siano) e di chi ad essi è maggiormente esposto e vulnerabile, dovrebbero essere all’ordine del giorno, presenti in qualsiasi agenda politica e ben stampati e radicati anche nelle nostre coscienze, non solo il primo marzo. I diritti, il rispetto dell’altrui dignità umana è sempre e comunque la priorità, lavoro e diritti non si devono mettere sul piatto della bilancia, essi si implicano tra l’altro a vicenda e l’uno è complementare all’altro. Il primo marzo è la giornata per ricordarci di ricordarci di chi è quasi invisibile in tutti gli altri giorni dell’anno, di chi grida ogni giorno ma come risposta il più delle volte riceve soltanto un rimbombante silenzio. Nonostante il freddo e un po’di pioggia l’iniziativa, molto riuscita, ha attirato verso di sé un bel numero di persone.
A coordinare l’iniziativa è stato Didier Arsene che dopo aver ricordato la Carta di Lampedusa ha scandito i vari interventi.
Il primo a parlare è stato Luigi Remaschi, vicepresedente dell’ANPI di Firenze, il quale è partito dal ricordo dei nostri partigiani che in nome di sogni e ideali di portata rivoluzionaria hanno lottato aspirando a un mondo migliore, un mondo che rigettasse qualsiasi forma di fascismo. L’ANPI è presente ogni volta che un diritto viene negato, quando c’è un’ingiustizia palese, una marginalità, una discriminazione, una violenza. Bisogna ritrovare la volontà, la forza, il coraggio di ridare vita, prospettiva e futuro a quella lotta che ha segnato la nostra storia in cui prevalse la speranza e l’aspirazione a un mondo diverso da quello del fascismo. E riaccenderla dunque, contro qualsiasi sistema, potere, comportamento, norma che lede la libertà e la dignità umana, per combattere qualsiasi forma – sottile e strisciante o palese che sia – di fascismo, per superare divisioni, le fratture e le emarginazioni e ricostruire, in questo caso a Firenze, un fronte che accomuni nella lotta e nel confronto, tutti quei soggetti antifascisti e antirazzisti, un fronte cosciente e consapevole del forte rischio che oggi sta correndo la democrazia, sempre più vituperata e fatta sbiadire lentamente e subdolamente.
A prender successivamente la parola è stato Emilio Santoro, membro di spicco del Centro di Documentazione L'altro Diritto, per parlare di diritto di voto e accesso alla cittadinanza. La cosa fondamentale di questi temi è la rottura del nesso cittadinanza-nazionalità, a detta del professore di filosofia del diritto. Bisognerebbe andare in direzione di comunità “post nazionali” non identitarie, costruire società solidali di persone che vivono insieme e non più verso ovattare e serrate identità nazionali che respingono l’ altro. Nello stesso tempo dobbiamo tenere bene a mente la seconda parte dell’articolo tre della nostra Costituzione, il quale dopo aver affermato che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, dichiara anche che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Dunque è proprio la nostra Costituzione (anche se spesso la lasciamo impolverare nel fondo di un cassetto) che stabilisce che la partecipazione politica, e quindi il diritto di voto, e quella economica e sociale sono un diritto imprescindibile per chiunque lavori nel nostro paese. La prospettiva, continua Santoro, va rovesciata, ribaltata: è proprio la possibilità di partecipare politicamente, che permette di difendere le proprie condizioni di lavoro, dunque il lavoratore e non tanto il cittadino devono avere la possibilità di esprimersi col voto, per non esser del tutto impotenti e disarmati contro chi attenta anche alle loro stesso condizioni di lavoratori. Da venti anni stiamo tradendo la Costituzione che hanno stilato i nostri padri costituenti e impediamo che i migranti, che nel nostro paese lavorano – anche se il più delle volte appunto, a condizioni disumane e di sfruttamento, se non di schiavismo – e fanno crescere la nostra economia, possano partecipare alla vita pubblica, possano difendere i loro diritti di persone e di lavoratori. Il diritto politico permette di compensare le debolezze strutturali del mondo del lavoro, che è sempre più schiavistico a causa dello schiacciante sistema di potere economico e delle politiche che regolano questo mercato. E non solo votare alle comunali, ma alle regionali, che è un livello fondamentale di partecipazione politica. Se rifiutiamo questi diritti, se rigettiamo il privilegio di una società multietnica e culturalmente globale resteremo degli italiani provinciali chiusi e tagliati fuori dal futuro del mondo.
Per alleggerire e rallegrare l’atmosfera – e riscaldarla! – il coro di tutte donne, LeMusiQuorum, coordinato e diretto da Maria Grazia Campus ci ha deliziato con le loro voci e le loro canzoni tradizionali – da “mamma mia dammi cento lire fino a “bella ciao” – per rammentarci, anche musicalmente, che proveniamo anche noi italiani da una lunga tradizione ed “epopea”di gente migrante.
L’iniziativa è poi ripresa con l’intervento di Andrea Bartoletti, un ragazzo che fa parte dell’organizzazione no profit World Merit, la quale ha sede ufficiale nel Regno Unito ma si propone come associazione a carattere internazionale, dato che fornisce l’opportunità di confrontarsi e portare avanti battaglie e temi di portata globale, tra i quali appunto, anche i diritti dei migranti. Andrea insiste sull’importanza di legare l’attivismo locale al livello globale. In Italia purtroppo, continua Bartoletti, manca una forte volontà politica di migliorare le condizioni di queste persone, perciò è ancora più importante un impegno su larga scala. Nel 2014 l’Unione Europea ha elaborato una politica di vicinato, con l’obiettivo di superare le divisioni tra i paesi dell’UE e i paesi limitrofi, in direzione di una maggiore cooperazione e integrazione che vada oltre le tradizionali relazioni di interesse meramente economico. La politica di vicinato permette offre infatti ai paesi vicini – come ad esempio quelli del sud del Mediterraneo – oltre che ad un potenziamento delle relazioni commerciali, una più significativa partecipazione al mercato interno dell’UE, un miglioramento dell’interconnessione con l’Unione (ad esempio nel settore dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni), la possibilità di partecipare ad alcuni programmi dell’UE ed una maggiore assistenza finanziaria e tecnica.1. Il punto che però è importante sottolineare è che per entrare a far parte di questa politica di vicinato, i paesi limitrofi in questione devono essere sicuri, ovvero rispettosi dei diritti e della dignità umana. Nel 2008 la Commissione Europea ha classificato come sicuri Libia, Marocco e Tunisia.
Andrea conclude poi l’intervento ribadendo che l’attivismo non deve cadere nell’arida autoreferenzialità ma sviluppare il senso di solidarietà e appartenenza che vada oltre i confini nazionali e ricorda l’ultima iniziativa promossa da World Merit: 120 dei suoi membri più meritevoli avranno l’opportunità di incontrarsi a Liverpool e a Londra per confrontarsi sul tema delle pari opportunità e sulla difesa dell’ambiente, creando una piattaforma di dibattito, proposte e progetti che poi l’anno successivo verranno presentati a New York. Iniziativa importante che attraverso l’impegno, il dialogo, il confronto e la progettualità offre la possibilità di dare delle risposte concrete a tematiche urgenti.
La successiva relatrice è stata Francesca Scarselli, di MEDU – Medici per i Diritti Umani – organizzazione che si occupa del diritto alla salute ma che si integra con altri movimenti (casa, acqua ecc..). In Italia MEDU porta ora avanti due progetti: Porti Insicuri e Arcipelago CIE. Porti insicuri è frutto di un monitoraggio portato avanti dall’organizzazione sulla riammissione di bambini e adulti stranieri dai porti dell’Italia a quelli della Grecia. Grazie a questo progetto MEDU riporta i risultati delle indagini svolte in Italia e in Grecia tra aprile e settembre del 2013, durante le quali l’associazione ha raccolto le testimonianze dirette di 66 migranti, la maggior parte provenienti dall’Afghanistan e dalla Siria, che hanno confermato di esser stati respinti dall’Italia alla Grecia. In totale sono state documentare 102 respingimenti, di cui 45 solo nel 20132. Questi cittadini stranieri che sbarcano nei porti di Venezia, Ancona Bari, Brindisi vengono rispediti in territorio ellenico in base ad un accordo intergovernativo sulla riammissione stipulato tra i due paesi nel 1999. L’Italia dovrebbe tutelare, nelle sua politica di contrasto all’immigrazione irregolare, il rispetto e i diritti dei migranti, dei rifugiati, dei richiedenti d’asilo e dei minori non accompagnati, che non solo affrontano i pericoli della traversata o appena sbarcati nel nostro paese vengono gettati come merce scaduta nelle gabbie dei CIE dove vengono trattati peggio delle bestie, ma vengono pure rispediti in Grecia come si trattasse di prodotti, anziché di esseri umani. Emerge invece dalle testimonianze e dalle documentazioni una sistematica violazione di diritti fondamentali come il diritto all’informazione, all’effettivo ricorso, all’orientamento legale, il diritto ad avere un interprete… molti di questi “respinti” hanno cercato inutilmente di comunicare alle autorità italiane la propria richiesta di protezione e di poter rimanere in Italia, ma senza ottenere alcuna risposta. Vengono così caricati come bauli sulle navi che li sbattono sulle coste elleniche senza che neanche venga data loro la possibilità sacrosanta di un accesso a operatori sociali. Quello che MEDU chiede al governo italiano è la fine di questi respingimenti forzati e che a coloro che giungono alle nostre frontiere adriatiche venga assicurato un reale accesso al territorio nazionale e una reale protezione.
Il progetto Arcipelago CIE, partito nel 2004 si occupa invece del monitoraggio di questi centri di identificazione ed espulsione – nei quali, sappiamo, i migranti, rifugiati, richiedenti d’asilo possono restare fino a 18 mesi, in condizioni devastanti, umilianti e degradanti – recinti veri e propri in cui vengono ammassati coloro che mettono piede in terra nazionale che vivono lì un limbo infinito che viola qualsiasi dignità umana. Sono centri che non sono da riformare, bensì da chiudere del tutto, definitivamente. L’ultimo rapporto fornito da MEDU , del 2013, riguarda il CIE di Trapani Milo e riporta una situazione raccapricciante: assenza di servizi e beni di prima necessità, mancano detersivi, biancheria intima, carta e penne, carenza di farmaci e strumentazione sanitaria, mancanza di attività ricreative o formative, assenza del servizio sanitario nazionale il cui accesso è negato a queste persone, molte delle quali tentano la fuga o il suicidio. Attraverso alcuni colloqui emergono casi veramente duri: per esempio quello di un tunisino di 53 anni con un disagio e un malessere psicologici talmente forti da impedirgli le cure essenziali della propria persona; oppure quello di un altro tunisino di 30 anni con gravi problematiche disfunzionali agli arti superiori che durante i tre mesi di trattenimento ha tentato il suicidio per ben due volte.
Senza contare, oltretutto che questi Centri – ma sarebbe meglio chiamarle gabbie – hanno un ingente costo per il paese, sebbene sia impossibile accedere ai costi reali di manutenzione e ristrutturazione (??!) che questa macchina diabolica e infame macina a nostre spese – economiche – e soprattutto a quelle – vitali – di coloro che rinchiude entro sé. Gli unici costi pubblici sono quelli forniti dal Ministero sugli appalti dei gestori, costi che però ovviamente sono riportati al ribasso. La parola ancora una volta deve passare alla politica, che deve smettere una volta per tutte di fare orecchie da mercante, di restare cieca e indifferente, sorda e muta di fronte a violazioni umane così gravi. MEDU chiede la totale chiusura di questi ignobili centri a un accesso reale al servizio sanitario nazionale.
Dopo questo intervento che ha fatto scendere tristezza e rabbia per questa tragica situazione a cui assistiamo inerti e a cui la politica assiste senza muovere un dito per fortuna sono intervenuti i Fiati sprecati, che hanno ravvivato la serata con le loro potenti musiche suonate da trombe, tromboni, clarinetti, sassofoni, flauti percussioni che come dicono loro son “Un pezzo di popolo che per il popolo fa musica, diverte, disturba e fa pensare”, facendo scoppiare di vita la piazza con tutta la loro ridente energia.
Dopo questo piacevole stacco musicale prende la parola Luigi Tessitori, dell’ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici dell’Immigrazione, attiva dal 1990 – che ha puntato il dito contro l’ignobile Bossi-Fini. È sbalorditivo che è ben da 15 anni che stiamo governando con una legge simile – basterebbe anche solo prendere in considerazione le “geniali” e “aperte” menti che l’hanno partorita per capire la sua inefficacia e la sua intolleranza! – ricordando anche la mamma di questa legge, la Turco- Napolitano del 98. “Grazie” a queste leggi – ma la Bossi-Fini è ancor peggio – più di 2 milioni di persone straniere che hanno trovato lavoro in Italia ancora non hanno ottenuto il permesso di soggiorno, il che è al limite del paradossale. Questo fa comprendere come essa sia totalmente inidonea e inadeguata nel suo stesso fine di regolare e governare il fenomeno dell’immigrazione. Ci sono state ben 4 sanatorie dal 98 ad oggi, proprio perché essa non fa che produrre clandestinità e irregolarità consuete. Ormai non la criticano neanche più soltanto i politici di sinistra, ma persino quelli di destra!
Tessitori spiega poi che l’ASGI, associazione che coinvolge professori universitari, avvocati, esperti di diritto, magistrati, ha stilato un piano di 10 punti che comprendono la necessità immediata di riforme che cambino la logica della politica d’immigrazione a cominciare dall’ingresso di queste persone; reintrodurre meccanismi di sponsor già esistenti con la legge Martelli dell’89 e una norma di regolarizzazione aperta: che sia il lavoro a permettere il permesso di soggiorno e non il contrario. Un altro punto è la totale chiusura e abrogazione dei CIE affermando con vigore come sia intollerabile che esistano nella “civilissima” Italia simili strutture che vanno abrogate e chiuse del tutto. Oltretutto una persona trattenuta in questi luoghi costa allo Stato italiano un euro ogni giorno di permanenza; un reale accesso all’asilo politico; la chiusura dei centri Cara, un netto rifiuto alle politiche discriminatorie e a quelle che impediscono a queste persone l’accesso alle risorse pubbliche e ai diritti basilari. Prima dell’attuale governo Renzi, almeno una riforma sulla cittadinanza e il diritto di voto era stata messa in agenda e adesso non si sa più che fine abbia fatto, se non accennare a “uno ius soli temperato”, che sa molto di presa per i fondelli.
1 dati presi dal sito della Commissione Europea
2 dati del sito di MEDU