La disposizione che prevede la somministrazione della RU486 anche nei consultori e negli ambulatori collegati agli ospedali è un piccolo passo avanti nell'attuazione della legge che regola l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia, la famosa l.194 del 1978. La vicenda della nuova legge sull'aborto in Spagna (dove l'interruzione di gravidanza è stata resa possibile sono in caso di violenza sessuale o di grave rischio per la salute della donna) ha riacceso il dibattito sull'autodeterminazione anche in Italia, dove, a causa dell'influenza di vari fattori, è spesso rimasto acceso solo tra le associazioni interessate. Le manifestazione in solidarietà alle donne spagnole hanno riscosso tanto successo anche qui da noi perché le donne italiane sentono il problema relativo al rispetto all'autodeterminazione come qualcosa che le riguarda da vicino.
In Italia, infatti, nonostante l'aborto sia possibile e garantito sulla carta, non è lo è anche nei fatti. Nonostante la legge preveda il diritto ad interrompere una gravidanza entro il 3 mese dal concepimento, questa non è, nei fatti, applicata. Questo a causa della sempre maggiore percentuale di obiettori di coscienza che, con alle spalle una fitta rete di associazioni ed organizzazioni pro life, che spesso riescono anche ad avere appoggi molto in alto, si insinuano nelle strutture sanitarie pubbliche. Nel nostro Paese 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza, con percentuali che nel Sud Italia sfiorano l'80%. Il ricorso all'aborto è diminuito esponenzialmente negli anni: nel 1983 tra 1000 donne tra i 16 e i 49 anni, il 16,9% ricorreva all'interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2012 la percentuale è scesa al 7,8%. E questo 7,8% è costituito da donne “fortunate” che sono riuscite a trovare il modo di effettuare la procedura in un ospedale pubblico o che, grazie a condizioni economiche favorevoli, sono riuscite a spostarsi, magari all'estero, per abortire. Fanno riflettere i numeri forniti dal British Pregnancy Advisory Service che riferisce di migliaia di richieste di donne italiane che sono disposte a pagare dalla 540 alle 1770 sterline pur di aver accesso ad un trattamento che, in teoria, la legge del proprio Paese dovrebbe garantire. Non è difficile notare come la violazione di un diritto come quello del libero accesso alle prestazioni sanitarie vada, giocoforza, a riaprire spaccature di classe, rendendo evidente la differenza tra chi si può permettere un viaggio in Francia per sopperire alle mancanze del servizio sanitario nazionale e chi invece non ne ha modo ed è costretta a d abortire clandestinamente, mettendo a rischio la propria vita.
A Firenze sarà proprio questo il tema che caratterizzerà l'8 marzo di quest'anno: al grido di “IO DECIDO!”, sulla scia delle donne spagnole, scenderanno in piazza animando il centro della città con un corteo che partirà da Piazza Santissima Annunziata alle ore 16,30 ed arriverà in Piazza Strozzi. Ricordiamo alle persone che in Italia un diritto sacrosanto è messo in pericolo da lobbies di associazioni cattoliche e conservatrici che, a suon di incentivi e assicurazioni sulla carriera, riescono ad arruolare tra le proprie schiere medici, infermieri ed persino farmacisti, rendendo così impossibile l'interruzione di gravidanza. E se diritto come quelli alla salute e all'autodeterminazione non sono garantiti, nessuno può dirsi soddisfatto.