Lunedì, 13 Luglio 2015 00:00

Rosa Balistreri: un fiore siciliano in Toscana

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Di Clelia Incorvaia

Rosa Balistreri: un fiore siciliano in Toscana.

Si racconta di un fiore capace di sopravvivere all'arsura, di un fiore capace di rigenerarsi e fiorire al primo alito di vento. È la rosa del deserto. Non a caso, in gergo, si definisce "rosa del deserto" qualcosa di straordinario, di raro. Non è da tutti, infatti, imporsi nonostante le avversità; non è da tutti fiorire in un terreno generalmente arido. Rosa Balistreri l’ha fatto. Rosa non era una semplice cantante. Era molto di più. Era una stornellatrice in lotta con il mondo che ha fatto della disperazione il leitmotiv della sua produzione artistica. Era una cantastorie analfabeta, che nonostante non sapesse né leggere né scrivere, si è resa autrice di un capitolo culturale di altissimo pregio. È stata una donna, una mamma, una figlia, una siciliana profondamente ancorata a quella mentalità bigotta e codina che denunciava, invincibilmente legata a quel tessuto familiare e sociale violento che la costrinse a cercare il successo altrove, in Toscana, dove visse per dodici anni con il pittore Manfredi, dove incontrò artisti quali Mario De Micheli, Ignazio Buttitta, Dario Fo. Rosa, la ‘’picciriddra’’ che ha avuto il suo primo paio di scarpe a quindici anni, ne ha fatta di strada, nonostante tutto.

"Quannu moru, faciti ca nun moru" cantava la cantautrice licatese, chiedendo ancora una volta che quella terra che le diede i natali avesse memoria di lei. Rosa era un'emarginata, costretta ai lavori più umili, vessata da vicende familiari drammatiche. Il padre violento prima, il marito Iachinazzo, “latru, jucaturi e 'mbriacuni”, al quale diede una coltellata poi. Ed è strano, ma particolarmente significativo, pensare che Rosa, pungente e delicata come quel fiore che porta il suo stesso nome, sia nata il primo giorno di primavera in quella terra assolata e desolata qual era la Sicilia, Licata, circa sessanta anni fa. Era una donna passionale, Rosa, alla ricerca perenne di quella dolcezza che le è sempre stata negata. Era una donna, una mamma, un'artista. E di Rosa come donna, come mamma e come artista ci parleranno Calogero Catania, suo collaboratore e paroliere, e Luca Torregrossa, il nipote affidatole a pochi giorni dalla nascita.

Come ha conosciuto Rosa Balistreri e come è nata la vostra collaborazione?

Calogero Catania: È stato un incontro casuale. Io andavo a trovare la mia fidanzata che abitava nello stesso stabile in cui abitava Rosa Balistreri, a Villa Tasca, a Palermo. Io a quei tempi facevo il cantautore e grazie alla mia fidanzata conobbi Rosa. Ricordo che mi disse: ”Comincerò a parlarti della mia vita, vediamo cosa ne viene fuori”. E così fu. Cominciò a rievocare i suoi ricordi più teneri: mi parlò della povertà, delle illusioni, delle speranze che riponeva nella vita, dei tempi in cui andava a spigolare con il padre. Mi raccontò di quando era ‘’picciriddra’’. Dall'incontro tra il suo vissuto e la mia penna è nata la nostra collaborazione. Rosa era analfabeta, pertanto affidò a me i suoi pensieri affinché li mettessi per iscritto.

“Quannu moru”, brano di cui lei è l'autore, rappresenta una sorta di testamento spirituale dell’artista licatese. Cosa resta oggi di Rosa?

Calogero Catania: Rosa Balistreri ha cercato tenacemente di riscattare la sua vita ed è stata la prima a raccogliere i canti popolari siciliani. Ha effettuato uno straordinario lavoro di ricerca, particolarmente significativo a livello culturale: non si è limitata ad intonare i brani tradizionali siculi, ma li ha raggruppati e reinterpretati. È stata la prima in Sicilia a cantare la miserevolezza; ha avuto il coraggio di dire ciò che tutti pensavano, denunciando talora istituzioni profondamente radicate in Sicilia, quali la mafia, la famiglia e la chiesa. Con la forza della disperazione ha combattuto, in parte, la mentalità siciliana ottusa di quei tempi, alla quale, per molti versi e nonostante tutto, è sempre rimasta legata. L’eredità che ci ha lasciato, dal punto di vista culturale, è comunque immensa; il fatto che fosse legata a personaggi quali Guttuso e Sciascia lo dimostra. Gli scienziati dell'Università di Palermo, inoltre, stravedevano per lei proprio per il motivo culturale che c'era dietro, oltre che per l'ideologia politica comunista.

Com'era Rosa quando non abbracciava la chitarra, nella quotidianità?

Luca Torregrossa: Nella quotidianità Rosa era piena di alti e bassi; era una mamma, una nonna, un’amica per me; era una persona molto disponibile con tutti, sempre a disposizione dei pochi amici fedeli.

C'è un ricordo, fra i tanti, che la lega in maniera particolare a Rosa?

Luca Torregrossa: Un ricordo particolarmente piacevole che mi lega a mia madre risale alla mia infanzia: quando rientrava a casa, di ritorno dal lavoro, aveva pensieri per tutti, anche per i figli dei nostri vicini di casa. Poi sicuramente non dimenticherò il giorno in cui mi accompagnò all’altare. Proprio pochi giorni fa, ho ritrovato tutti i disegni che realizzavo per lei; li ha conservati e continuo a conservarli gelosamente.

Che rapporto aveva Rosa con le due terre in cui ha vissuto, la Sicilia e la Toscana?

Luca Torregrossa: Indubbiamente la Toscana è stata la terra che in assoluto le ha dato di più nella sua vita, sia come artista che come donna; in Toscana ha conosciuto il successo. La Sicilia, invece, è legata ai suoi ricordi più dolorosi: la sua infanzia prima e la sua giovinezza poi sono state segnate da sciagure e tormenti di varia natura. Licata, città natale di Rosa, tra l’altro, non le ha riconosciuto il giusto merito.

Ultima modifica il Domenica, 12 Luglio 2015 23:58
Beccai

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