Lo stabilimento, inizialmente localizzato a Firenze, zona Novoli è stato trasferito a Tavarnelle, dove si trova ormai da undici anni dando occupazione a 101 addetti oggi 97 a seguito di pensionamenti.
La storia della Carapelli assomiglia a quella di tante aziende italiane, fiore all’occhiello dell’economia made in Italy, presenti sul mercato con prodotti di qualità, divenute presto facile preda della multinazionale di turno pronta ad aggredire e fagocitare l’imprenditoria locale, appesantita dal costo del lavoro e minacciata dalla concorrenza straniera che produce a basso costo e senza tutela dei diritti.
Il sistema economico neoliberistico dispiega i suoi effetti nefasti in nome del profitto, creando prima le condizioni di disgregazione e poi raggruppando e monopolizzando risorse e profitti ,spostando uomini, materie e macchinari come fossero pacchetti, pedine di uno scacchiere, tagliando manodopera e delocalizzando, dove è più vantaggioso.
La logica del mercato è spietata e non contempla, non include “ l’umanità,” semplicemente la utilizza, la preme fino all’ultimo abbandonandola prima o poi dopo l’uso.
Gramsci, straordinario precursore di grande attualità, richiama proprio l’impatto con questa fase storica e prefigura il momento in cui “l’economia mondiale diventata capitalistica e il mondo economico capitalistico avrà raggiunto le sue colonne d’Ercole”, a tal punto da non essere più ulteriormente estensibile rischiando il collasso, allora, emergeranno le sue contraddizioni, sia economiche sia politiche e si porrà la soluzione politica del problema di un ribaltamento-rovesciamento.
Sembra impossibile per noi pensare-ragionare, oggi, su questo, eppure stiamo abitando proprio quelle profonde contradizioni.
Il nome Carapelli, da sempre, rimanda alle colline fiorentine e all’olio straordinario che regalano per quel terreno sassoso che le caratterizza e il clima che contribuisce a rendere l’olio così “gentile” da farne un’eccellenza.
Nella storia agroalimentare italiana, la Toscana ha sempre prodotto un ottimo olio, assai ricercato e stimato in tutto il mondo.
Purtroppo oggi l’Italia, pur essendo tra i primi produttori d’olio d’oliva nel mondo, si ritrova a importarlo dalla Spagna. La crisi che ha prodotto oltre un milione di licenziati nel paese, nasce dalla perversione di questi meccanismi economici reiterati nel tempo e favoriti dalle politiche economiche dei governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni. Storie locali, parte di quella storia del capitalismo dei nostri giorni cui si è perfettamente conformata la classe politica che ha governato il paese e non ha voluto contrapporre alcuna alternativa. Ecco dunque, nel 2004 il Gruppo spagnolo SOS Cuetara, arriva in Italia e acquista il marchio Sasso.
Nel 2006 segue l’acquisto del marchio Carapelli, per 126 milioni di euro e del marchio Friol da Unilever. Nel 2008 il Gruppo ottiene da Unilever la concessione a vendere il marchio Bertolli, Dante San Giorgio e Maya , oltre allo stabilimento di Inveruno (MI),per la cifra di 630 milioni di euro, considerata una cifra molto più alta del valore di mercato del marchio. Conseguenza dell’acquisizione è l’apertura di una mobilità sullo stabilimento di Inveruno (MI) di 37 persone , poi ridotta a 28.
Con tale organizzazione il gruppo detiene il 28% della vendita di olio di oliva nel mercato domestico e il 26% del mercato export, a fronte del 9% che detiene il primo competitor in Italia. Nel 2009 è bufera nella Sos Cuetara. Infatti, si dimettono i vertici aziendali, indagati per aggiotaggio,con l’accusa di aver utilizzato 280 milioni di euro per operazioni speculative sul titolo. La gestione spericolata dell’azienda provoca un forte indebitamento con le banche calcolato in oltre un miliardo e seicento milioni di euro.
Nel dicembre 2009 l’azienda, convocata davanti al coordinamento sindacale nazionale,presenta il business plan per il rientro del debito con le banche. Intanto chiude lo stabilimento di Voghera con la mobilità di 14 dipendenti. Le linee di produzione sono spostate da Voghera allo stabilimento di Inveruno.
Nel marzo 2012 una componente della multinazionale, Carapelli International, società di fatturazione con sede in Svizzera, è sotto indagine per parte dell’esportazione in paesi europei e per la totalità degli extra europei. Nel giugno 2012 saltano i vertici aziendali a guida dell’Ing. Fabio Maccari e del direttore finanziario Luigi Barlocco. Da questo momento la Deoleo -ex Gruppo Sos, centralizza i vertici dirigenziali in Spagna compreso l’acquisto delle materie prime, qualità e medio ambiente.
La preoccupazione dei lavoratori sale quando nel luglio 2012, il consigliere delegato Deoleo, Carbò rende noto ai sindacati nazionali l’intenzione della Deoleo di ridurre a due, il numero degli stabilimenti (attualmente 4, due in Spagna e due in Italia). Desta preoccupazione il fatto che tale intenzione non sia accompagnata dalla presentazione di un piano industriale, ma motivata dalla crisi economica e dal fatto che l’azienda non ha liquidità e le banche spagnole sono strangolate dalla crisi.
In questo contesto, l’apertura della procedura di mobilità per 28 figure professionali degli stabilimenti di Tavarnelle e Inveruno (MI), si configura come l’ultimo di una serie di preoccupanti segnali che emergono a fronte di un progressivo disimpegno del gruppo spagnolo dall’Italia con la conseguente disgregazione di marchi prestigiosi di made in Italy come Bertolli e Carapelli, mentre l’indebitamento della multinazionale spagnola, è fortemente cresciuto senza individuare misure di arginamento.
Così, nel novembre 2012 parte la mobilità motivata dalla crisi economica, dalla bassa marginalità e dall’impennata del prezzo della materia prima.
Il 4 Dicembre 2012 i lavoratori della Carapelli di Tavarnelle e di Inveruno, uniti in un unico coordinamento sindacale, scendono in sciopero temendo lo smantellamento degli stabilimenti e lo spostamento della produzione in Spagna.
Lo sciopero registra l’adesione totale dei lavoratori di Tavarnelle e di Inveruno e rappresenta un grido d’allarme che le istituzioni subito raccolgono.
Viene istituito un tavolo di confronto che vede a fianco dei lavoratori e dei Sindacati FLAI –CGIL, FAI CISL EUILA –UIL, i Comuni, la Provincia di Firenze e la Regione Toscana con l’obbiettivo di salvare i posti di lavoro e difendere un prodotto fortemente radicato sul territorio fiorentino.
Dopo una lunga ed estenuante trattativa, senza il raggiungimento di alcuna intesa sulla mobilità aperta dalla Soc. Deoleo, la vertenza passa al Ministero del Lavoro e il 18 Gennaio si giunge alla sottoscrizione dell’accordo.
L’accordo prevede la riduzione del numero di esuberi da 28 a 18 e il ricorso alla GIGS per crisi aziendale, senza nessuna integrazione economica alla Cassa Integrazione, né aumento delle somme incentivanti all’esodo a causa della difficile situazione economico-finanziaria della Deoleo-Carapelli.
Un risultato notevole in tempi durissimi di crisi ,ottenuto per l’adesione totale e unitaria dei lavoratori in coordinamento costante Tavarnelle-Inveruno e per la risposta compatta delle istituzioni in difesa dell’occupazione, decise a osteggiare la cancellazione di una importante parte della storia del settore agroalimentare fiorentino, toscano e italiano.
Ma la solidarietà non basta, occorre il sostegno politico e istituzionale affinchè non si arrivi davvero alla delocalizzazione.
Non bastano le parole, non basta la presenza a fianco dei lavoratori, ci vuole il controllo democratico, perché la perdita dei diritti segna in modo irreversibile la vita delle persone e ferisce il territorio. La Carapelli è parte della storia e della cultura del nostro territorio e va salvaguardata, è qualcosa di prezioso per il futuro non solo del Chianti, ma di tutto il paese.
Per questo siamo chiamati a seguire, a monitorare costantemente i vari passaggi di questo difficile – delicato percorso. E lo faremo, perché ogni azienda che chiude è un lutto, una ferita irreversibile non solo per il futuro delle famiglie, ma per il territorio in cui si trova, ciò che semina è miseria e degrado.
Da troppo tempo ormai assistiamo increduli ad un attacco ai diritti che non conosce precedenti, il primo sostegno si chiama informazione, attenzione, solo attraverso la socializzazione si può condividere e partecipare alle battaglie per i diritti. Non è una scelta, è un atto dovuto perché il lavoro è dignità - emancipazione per ogni individuo e contribuisce alla crescita e allo sviluppo del territorio. Dobbiamo difenderlo a tutti i costi!
Immagine tratta da www.gazzettinodelchianti.it