Venerdì, 23 Agosto 2013 00:00

Il maschilismo che uccide: riflessioni sul DL contro il femminicidio

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“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, così, titola il decreto che tanto scalpore ha suscitato, non già per i contenuti e la materia affrontata, quanto per la bagarre che si è scatenata in un Parlamento quasi deserto, convocato per la sua conversione. Non interessa soffermarsi qui sulla polemica cui abbiamo dovuto assistere a testimonianza della miseria di un Parlamento vacanziero che se ne frega dei problemi del paese, unicamente preoccupato del salvataggio - Berlusconi insieme allo squallido contesto delle larghe intese, interessa, qui, capire e entrare nel vivo di questo provvedimento.

Femminicidio è un termine spaventoso al quale non vorremmo uniformarci perché la dignità dell’essere umano passa anche attraverso l’uso della parola ma qui, stiamo trattando di atti violenti che colpiscono la dignità della donna in quanto tale, provocandone la morte fisica e psicologica. La violenza contro le donne non è di questi giorni: è diffusa nel profondo all’interno delle società di tanti paesi nel mondo. E’ questione antica e, questo lo diciamo, perché sull’onda emotiva degli ultimi eventi nel nostro paese, si avverte quasi un senso di stupore collettivo, come se ci trovassimo di fronte ad un fenomeno “nuovo” da combattere con misure eccezionali.

Non è così.
Nel 1993, a distanza di un anno dalla pubblicazione di Diana Russel e Jill Radford Feminicide: The politics of woman killing, l’antropologa messicana Marcela Lagarde, riconduce al termine femminicio dicendo: “La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale - che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.

Violazione dei diritti umani e violenza di genere, questo è il punto, è presente in tutte le società ,anche le più avanzate. La violenza contro le donne deriva dalla prevaricazione, dal bisogno di un controllo incondizionato, dallo strapotere maschile presente nella storia. Alla prevaricazione si contrappone il processo di emancipazione delle donne – percorso difficile e accidentato, che ogni donna storicamente incontra durante il proprio cammino.

Emancipazione, termine che può suonare fuori moda in questo 2013 , eppure attualissimo: dai dati raccolti su indagini condotte dai centri antiviolenza, in Italia a partire dal 2005, il numero degli omicidi di donne è passato da 84 nell’anno 2005 a 124 nel 2012, mentre nel Giugno 2013 sono stati registrati ben 65 casi sicuramente aumentati nel corso di questi ultimi due mesi. Dunque non casi singoli sporadici, ma fenomeno che si protrae nel tempo.
Nel maggio 2011 il Consiglio D’Europa riunito a Instanbul, è intervenuto sul problema adottando la Convenzione riguardante la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, ratificata dal Parlamento solo recentemente.

Ma entriamo nel merito. Il Decreto legge 14 Agosto 2013 n.93 è suddiviso in quattro capi. Il primo relativo alla prevenzione e contrasto della violenza di genere, il secondo, sulla sicurezza e tutela dell’ordine pubblico, prevenzione e contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale, il terzo riguardante la protezione civile e il quarto, relativo alle gestioni commissariali delle province. In attuazione della Convenzione di Instanbul, il Decreto prevede il diritto all’assistenza legale gratuita per le vittime delle violenze e il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione (Tutela vittime straniere di violenza domestica, concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari come già previsto dall’articolo 18 del TU per le vittime di tratta). Il contrasto ai fenomeni di particolare allarme sociale è l’elemento portante del decreto, tant’è che ai delitti contro le donne seguono a ruota l’elenco dei provvedimenti per "la chiusura dell’emergenza nord Africa”, l’arresto in flagranza in occasione di manifestazioni sportivi, furti, frode informatica con sostituzione d’identità digitale e poi la protezione civile e, in coda, le Province. Il nodo centrale del Decreto sta nel rafforzamento degli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking), con l’inasprimento delle pene quando i maltrattamenti avvengono in presenza di un minore, e quando la violenza riguarda donne in gravidanza e, ancora, quando il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner. I provvedimenti sullo stalking inseriscono le aggravanti estese alla violenza commessa dal coniuge in regime di matrimonio e la violenza attuata da chiunque con strumenti informatici o telematici. Si introduce, analogamente al delitto di violenza sessuale, l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori. Nuove norme intervengono sui maltrattamenti in famiglia riguardanti l’informazione alle parti offese, estensione dell’arresto in flagranza per i delitti di maltrattamento contro familiari e conviventi e, in caso di pericolo di reiterazione delle condotte criminose, viene disposto l’allontanamento dalla casa e dai luoghi frequentati dalla parte offesa. Infine con l’art. 5 si provvede a varare un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevede azioni di intervento multidisciplinari tra istituzioni presenti sul territorio e centri antiviolenza.

A questo punto il Decreto chiude la parte relativa ai delitti contro le donne e affronta altre problematiche riguardanti l’ordine e la sicurezza pubblica. Si tratta di un pacchetto di misure urgenti per contrastare le rapine, nonché autorizzare con maggiore flessibilità l’impiego del contingente di 1.250 appartenenti alle Forze armate nel controllo del territorio e intervenire con efficacia per contrastare contrasto il furto di identità digitale. Sulla Protezione Civile viene ampliando il periodo dello stato di emergenza (pari a 180 giorni prorogabili per ulteriori 180), indicando natura e tipologia degli interventi realizzabili, ultimissimo provvedimento si dispone la proroga del commissariamento delle Province al 30 giugno 2014. Anche per i non addetti ai lavori da una prima lettura del Decreto si percepisce che siamo davanti ad un insieme di situazioni diverse tutte legate alla sicurezza e all’ordine pubblico e la tutela delle donne è questione di “sicurezza”. Ma come si può considerare la violenza contro le donne una questione di ordine pubblico anziché un problema di mentalità, di chiusura culturale? I toni enfatici e le buone intenzioni con cui si parla del provvedimento cadono entrando nel merito dei singoli articoli e la percezione che emerge, sempre da non addetti ai lavori, è quella davvero di un guazzabuglio generato solo dall’ansia di frenare il motivato allarmismo dilagante. L’intervento repressivo sugli autori di violenze è assolutamente indispensabile e ben vengano l’inasprimento delle pene, la previsione dell’aggravante nei casi di violenza commessa alla presenza di minori, l’obbligo di arresto e allontanamento dell’autore della violenza in caso di flagranza che il decreto prevede, ma la repressione non è sufficiente, se non è accompagnata da un lavoro molto più mirato e a lungo termine che passa attraverso l’educazione, l’insegnamento al rispetto contro la discriminazione di genere e l’attuazione del principio di uguaglianza.

Il nostro paese solo oggi si trova ad attuare la Convenzione di Istanbul! Il piano straordinario (art.5) di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che andrebbe nella direzione della prevenzione e del cambiamento culturale, includendo il rafforzamento dei centri antiviolenza e la necessità di una adeguata formazione degli operatori sociali e servizi sul territorio, precisa espressamente all’ultimo comma, che lo sforzo straordinario volto al superamento delle cause che portano alla violenza, dovrà avvenire senza oneri di personale e di risorse finanziarie. Ma chi? Dove? Come si potrà attuare un piano siffatto quando in tutto il paese sono oltre venti anni che non esistono più politiche “sociali” e i servizi socio-sanitari ancora esistenti versano in condizioni disastrose e i centri antiviolenza possono contare su una manciata di posti letto a fronte delle migliaia previsti dalla convenzione citata?

Dove si vuole andare allora? Abbandoniamo allora i facili entusiasmi per guardare lucidamente realtà. Il decreto legge opera sul terreno di una maggiore repressione dell’ordine pubblico e sicurezza generale e lì riconosce e colloca il “femminicidio” ma il nodo fondamentale del problema resta tutto da risolvere. Sul terreno della prevenzione siamo ancora fortemente inadempienti. Il Governo Letta delle larghe intese non si smentisce e dietro il bisogno di tamponare un’emergenza, appare comunque tutto il degrado sociale e culturale, tutta la brutalità e il medioevo di questo nostro Paese.

Ma la forza delle donne, come la violenza è dentro la storia e il nostro cammino continua!

Ultima modifica il Venerdì, 23 Agosto 2013 00:04
Silvana Nutini

Nata a San Casciano, dal 1983 lavoro presso il Comune di Impruneta. Dopo gli studi mi dedico all’attività politica, ricoprendo incarichi istituzionali fino al 1990. Successiamente mi impegna nel volontariato in campo socio-educativo Nel 1991, insieme a un gruppo di genitori, fondo la “Ludoteca Bufalo D’acqua” presso il Circolo Arci di San Casciano, un’esperienza di autogestione incentrata sulla socializzazione e sul rapporto genitori/figli ancora in corso. La scrittura, (poesia e narrativa) rappresenta la mia modalità d’espressione privilegiata Nel 2002 insieme ad altri do vita la Progetto Irene occupandomi della storia del fascismo e della Resistenza e dopoguerra.

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