Parlando con il senno di poi, ci sentiamo abbastanza sicuri nell'affermare che pare non esserci mai stata una vera volontà di salvare il Maggio di Firenze. Una grandissima mobilitazione, piena di voglia di fare, di solidarietà, di fantasia e di tante idee per cambiare è partita dalla RSA e dai lavoratori per arrivare a coinvolgere tutta la città. Ci sono stati appelli (forte risonanza ha avuto quello del maestro Zubin Mehta), petizioni ed iniziative. E si sono cercate anche proposte concrete: i sindacati hanno presentato un dettagliato piano per il salvataggio del Teatro. Sono riusciti a prevedere un risparmio di 2.750.000 euro, fissando, fondamentale, una clausola per proteggere i lavoratori dal licenziamento: hanno tagliato su premi di produzione, maggiorazione per i turni serali ed altre voci economiche legate agli stipendi a tempo indeterminato. La proposta dei sindacati non è stata minimamente presa in considerazione: dopo aver sempre tergiversato quando i rappresentanti dei lavoratori proponevano confronti e discussioni, il Commissario Bianchi ha affermato, di comune accordo col sindaco di Firenze Matteo Renzi, che l'unico modo per far ripartire il Maggio Musicale Fiorentino è condurlo alla liquidazione. Ciò che sopravviverà sarà un qualcosa che avrà ben poco a che fare con la storica istituzione che la città di Firenze conosce: il MaggioDanza, il corpo di ballo, sarà spazzato via senza remore, quasi ottanta lavoratori saranno mandati a casa seduta stante e, di fatto, resterà solo l'orchestra (da notare che il grosso dei rappresentanti sindacali del Maggio Fiorentino sono lavoratori che si occupano di scenografia, costumi, trucco: di fatto, saranno tra i primi a fare i conti con la liquidazione).
La linea di Renzi, quindi, alla fine è quella che prevale. Si decide di accantonare un enorme patrimonio di competenze e risorse, invece di lavorare per rimettersi in carreggiata dopo anni ed anni di cattiva gestione. Siamo ormai ripetitivi nel ripeterlo, ma anche stavolta a pagare le conseguenze sono solo coloro che al Maggio Musicale Fiorentino ci hanno lavorato. E non importa se un'intera città si è mobilitata in difesa del Teatro: nel momento in cui è stato deciso che i numeri sono l'unica cosa che conta, cosa importa se in un momento di apatia sociale, nel quale il coinvolgimento delle persone in esperienze politiche collettive è diventato, anche per chi della politica ha fatto la propria vita, un'utopia, si riesce a creare una rete di solidarietà così ampia intorno al Teatro? Cosa importa se i lavoratori, dopo anni di duri sacrifici (ricordiamo, ad esempio, che molti hanno rinunciato al proprio tfr) si sono detti disponibili a continuare a farne pur di poter dire ancora di lavorare per il Maggio Musicale fiorentino? Evidentemente camminiamo seguendo due rette parallele che, per definizione, non si incrociano mai: da una parte chi pensa che tutto abbia un valore quantificabile in moneta, che tutto possa essere comprato e che quindi a lavoro e cultura non spetti un ruolo privilegiato. Sono coloro per i quali il lavoro altro non è che una merce come le altre (anzi, magari vale meno di altre ed è particolarmente adattabile alle esigenze di marcato). Dall'altro c'è chi crede che al mondo ci siano cose più importanti del semplice profitto. Persone che vedono il proprio lavoro come il mezzo per migliorarsi e potersi dire, a fine giornata, soddisfatte. Queste hanno fatto del proprio lavoro la propria passione, accrescendo giorno dopo giorno l'orgoglio di far parte di un grande ente culturale, con la consapevolezza che, anche nei momenti di crisi, andando a fare il proprio lavoro contribuisce al bene della comunità, rendendola sempre migliore.
Ecco, i lavoratori del Maggio Musicale Fiorentino fanno parte del secondo gruppo. E anche se per adesso pare che abbiano vinto gli altri, Firenze è con loro e continuerà a dire “Grazie. Di tutto”.