Cultura

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Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.

Immagine liberamente tratta da pixabay.com

Giovedì, 29 Dicembre 2016 00:00

Il meglio e il peggio del 2016 (al cinema)

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Il film della settimana nelle sale è il GGG, potete leggere la recensione cliccando qui.

Eccovi in pasto la sorpresa di fine anno. Un ricco speciale sul 2016 cinematografico. Ecco a voi i top e i flop. È stato un anno dove si sono registrati aumenti di reboot, remake, sequel piuttosto inconsistenti. La differenza la fanno sempre i grandi talenti e l'autorialità delle storie. C'è poco da fare, la classe non è acqua. Le classifiche si basano sui film usciti nei cinema italiani nell'anno solare 2016 e tengono conto di vari fattori: qualità, andamento della pellicola, accoglienza di pubblico e critica, gusti personali.

Venerdì, 14 Ottobre 2016 00:00

Mitski, la sorpresa dell'anno

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Mitski, la sorpresa dell'anno
Recensione del folgorante Puberty 2, solidissimo pasticche di cantautorato indie

Una delle sorprese più piacevoli del 2016 è il sanguigno e febbrile Puberty 2, piccola grande gemma di cantautorato rock alternativo che impone Mitski Miyawaki come la stella in ascesa di un movimento di musiciste indie, prevalentemente americane, che negli ultimi anni ha partorito lavori di ottima qualità, dal gothic rock ruvido di Chelsea Wolfe, al dream folk vittoriano di Marissa Nadler, passando per l'alt-rock muscoloso di Angel Olsen e la wave artistoide di St. Vincent. Ciò che è stupefacente è che rispetto a questo ampio e variegato ventaglio di artiste, Puberty 2 ha la presunzione di porsi proprio alla convergenza stilistica fra queste varie anime del cantautorato contemporaneo, riuscendo di fatto a intercettare sensibilità e approcci variegati per ricollocarli entro una proposta forse non estremamente originale, ma tremendamente stimolante e solida.

Si può allora parlare di un mash up di influenze e di tendenze che trovano il minimo comun denominatore nell'approccio diretto e sofferto di una Mitski espressionista e irrequieta come non mai che si spoglia di ogni patina di mistero per mettere completamente a nudo le sue angosce e paure e i suoi desideri più reconditi che affondano nella disperata ricerca di una felicità che non si riesce mai ad afferrare. Sebbene si tratti già del quarto lavoro dell'artista nippo-statunitense, la freschezza, l'immediatezza, la spontaneità e la densità musicale presente in questo disco farebbero pensare a un esordio tanto ispirato quanto fulmineo.

Puberty 2 rappresenta una seconda adolescenza almeno in due sensi. Innanzitutto, la musicista problematizza in maniera più matura e profonda le trasformazioni che si accompagnano all'età adulta, mettendo in luce contraddizioni, stati d'animo, contrasti fra sogni e responsabilità, momenti di debolezza e coraggiose decisioni di autonomia. D'altro canto, la maturità non è solo personale ma anche e soprattutto artistica laddove si ha una nuova presa di coscienza che influenza profondamente sia i testi, che si elevano decisamente dalla media di quelli delle cantautrici indie contemporanee, sia anche la musica stessa che raggiunge livelli di consapevolezza e rifinitura eccellenti.
Che questo lavoro rappresenti un cambio di ritmo notevole nella produzione artistica della 26enne Mitski è stato messo in luce da più parti e rimarcato dagli elogi della critica specializzata. Così, meritatamente, sembra proprio che la carriera di questa giovane ragazza sia arrivata a un momento di rottura decisivo che dal semi-anonimato dei primi tre lavori, porta dritto al relativo successo che il music business alternativo può offrire a un cantautorato che ha molto più da spartire con i Pixies e Lisa Germano che non con Bob Dylan o Joan Baez.

La propensione di Mitski alla contaminazione emerge lampante fin dai primi ascolti. Il disco si apre con la dichiarazione di intenti di "Happy" che in realtà è un lacerante resoconto di una brutale storia di abbandono, geniale numero di scuola wave e art rock alla St. Vincent, un sofferto mid-tempo dalle splendide linee melodiche intervallate da synth vigorosi e dolenti intermezzi di sax. La tensione nervosa va persino aumentando nella splendida cavalcata adrenalica indie pop di "Dan The Dancer". Gettate la coordinate, non resta che abbandonarsi al resto del disco che si prodiga meravigliosamente tanto nei meandri di un rock raccolto, dimesso e dolente ("Once More to See you": Lisa Germano filtrata attraverso Anna Calvi e Julia Holter), quanto in quelli di un indie rock ruvido e spigoloso (la corrosiva e isterica "My Body is Made of Crushed Little Star", bel numero grunge fra le Hole e Kate Bush e sopratutto "Your Best American Girl" prodigioso momento di sofferta epicità alla Car Seat headrest che è anche un memorabile inno di autoaffermazione).

Passando fra sognanti elegie notturne ("Fireworks", la più vicina all'eleganza folk senza tempo di Marissa Nadler e sopratutto "A Burning Fire", commovente commiato che richiama a gran voce la dolce solennità di Hope Sandoval) e languide giornate spese ad autocompatirsi ("Crack Girl", fra Lana del Rey e i Portishead), si arriva al capolavoro del disco che è l'elegante e straziante ballata "I Bet On Losing Dogs", momento di delicato abbandono e serena rassegnazione che si colloca fra i migliori pezzi del 2016.
Con Puberty 2 Mitski si impone come una delle più rappresentative cantautrici contemporanee. Nella sua ricerca di un equilibrio fra il suo animo folk e la sua vena indie, sta la grandezza di questo disco. Le doti vocali innegabili, i testi irrequieti e la spiccata ricerca melodica fanno il resto, elevando nell'olimpo delle grandi una ragazza di appena ventisei anni che ha ancora margini di miglioramento.

voto: 8,5/10

Sabato, 22 Ottobre 2016 00:00

Il ritorno sperimentale di Bon Iver

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Il ritorno sperimentale di Bon Iver
recensione del nuovo disco "22, a million" del grande folksinger

Cosa è rimasto del Justin Vernon che registrava in totale solitudine un album già epocale come For Emma, Forever Ago (2007), nella sua baita nelle montagne del Wisconsin? Dal geniale folksinger che si nasconde dietro il moniker Bon Iver e diventato presto oggetto di culto da parte di un vasto pubblico alternativo, non ci possiamo più aspettare le spettrali, intimistiche e scarne ballate folk autunnali degli esordi, né a dirla tutta, la ricerca della dimensione più corale e aperta del convincente Bon Iver, Bon Iver (2011).

Questo perché Vernon si vuole ormai affrancare del tutto dagli stilemi del folk (persino dall'indie-folk) che aveva fin qui esplorato e rivisitato con estrema lucidità. L'esigenza è quella di spingere la sua formula folk straniante e destrutturata alle estreme conseguenze. La rottura del canone implica abbracciare pienamente l'incompiutezza e l'indeterminatezza, come del resto sembra aver fatto anche il suo amico e collega James Blake il cui spettro aleggia fra le note di questo misterioso nuovo lavoro intitolato 22, A Million. Ma non si tratta solo di incorporare nel suo stile le suggestioni che vengono dall'elettronica underground (sopratutto quella britannica: nu soul e dubstep) e dall'r'n'b contemporaneo (Kanye West, Kandrick Lamar). Qua siamo in presenza di un lavoro di amalgamazione che definisce le coordinate di un folk sperimentale senza confini e frutto della torrenziale creatività di Vernon che fonde linguaggi musicali diversi con apparente naturalezza e disarmante semplicità pur - e qua sta la grandezza - rimanendo fedele a se stesso, alla sua musica tormentata e profonda che ricerca una resurrezione esistenziale nelle note senza tempo della sua stessa musica.

I primi ascolti possono risultare alquanto stranianti. Bon Iver si avvale di arrangiamenti elettronici complessi e stratificati, fonde melodia cristallina con cacofonie "glitch" (si ascolti la pietra grezza "715 - CRΣΣKS" e i beat obliqui e disagiati con accompagnamento di sassofono di "10 d E A T h b R E a s T " ), mentre gli effetti e i filtri vocali, a tratti vistosi, infondono un generale senso di inquietudine e di radicale astrattezza. Ma Vernon non si è affatto estraniato dietro una supposta plastificazione musicale, bensì ricostruisce una dimensione intimistica facendo emergere dal profondo la sua anima folk, dando priorità assoluta al coinvolgimento emotivo (l'incanto senza tempo di "29 #Strafford APTS" o del lacerante congedo di "00000 Million").

Il disco, pieno di canzoni tanti preziose quanto impronunciabili, vede l'uso del simbolo del tao, ovvero l'unione di ying e yang: il movimento che unisce gli opposti creando armonia, secondo la filosofia cinese. Ma nel disco il processo di ricerca di un ordine (esistenziale e di senso) sembra in pieno divenire, lontano da qualsiasi soluzione. Siamo un presenza di una opera di musica pienamente postmoderna, liquida e sfuggente ma non di un manifesto del postmodernismo. L'ansia per l'indeterminatezza, i continui riferimenti ai luoghi della prossimità, gli ossessionati e frequenti riferimenti alla simbologia cristiana, il bisogno di redenzione che emerge candido ed esplicito dalle sue liriche, ripropongono quella sofferenza intimistica che tanto aveva toccato il cuore dei tanti ascoltatori che si erano avvinati a Bon Iver con "For Emma". Emotivamente, Vernon è sempre nello stesso posto di dieci anni fa, in quella baita di montagna nel Wisconsin, intento a mettere in musica le sue angosce più profonde e forse quelle di un'intera generazione.

voto: 8/10

Teutoburgo: la tomba del sogno di un Impero romano germanico

Un impero bruno e biondo, questo era il sogno di Ottaviano, dopo aver ricevuto dal Senato romano il titolo di Augusto (“degno di venerazione e di onore”) e successivamente la carica di Princeps (“primo cittadino”) nel 19 a.C. Dopo le guerre e conquiste repubblicane precedenti culminate nella grande conquista della Gallia con Giulio Cesare, si era diffuso nella Repubblica l’idea di un imperium senza fine, uno stato romano civilizzato in continua espansione, quello che Cicerone definiva “l’unico luogo degno al mondo in cui vivere”.

Mercoledì, 21 Dicembre 2016 00:00

Nella vita si può sbagliare ma bisogna provarci

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Nella vita si può sbagliare ma bisogna provarci

FLORENCE ***1/2 
(Gran Bretagna 2016)
Regia: Stephen FREARS 
Cast: Hugh GRANT, Meryl STREEP, 
Rebecca FERGUSON, Simon HELBERG
Durata: 1h e 50 minuti
Distribuzione: Lucky Red
Uscita: 22 Dicembre 2016

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