Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.
Immagine liberamente tratta da pixabay.com
Scintille di vita: 4 significativi album italiani degli ultimi mesi
Il periodo di relativa stagnazione estiva, con la quasi totale assenza di produzioni musicali di rilievo sia nell'ambito italiano che internazionale, permette di concedersi il tempo necessario per guardarsi indietro e andare a ripescare alcuni album che nei mesi precedenti sono passati un po' inosservati ma che sono meritevoli almeno di una citazione.
Fra nuovi virgulti dell'indie rock italiano (Mary in June), ricerche elettroniche (Cosmo, L I M) e rigurgiti progressive (Winstons), diamo uno sguardo a quattro progetti musicali di questo 2016 che vale la pena ascoltare con attenzione.
Suicide Squad o Warner's Suicide?
SUICIDE SQUAD ***
(USA 2016)
Regia e Sceneggiatura: David AYER
Cast: Jared LETO, Margot ROBBIE, Will SMITH, Joel KINNAMAN, Viola DAVIS, Ben AFFLECK
Durata: 2h e 10 minuti
Produzione e distribuzione: Warner Bros
Uscita: 13 Agosto 2016
Lo sbirro è un mestiere come un altro. Il pensiero più pericoloso da avere quando si pensa alle forze dell’ordine. In tempi di riforme promosse dal Governo Renzi appare difficile ricordarsi che attorno alla sfera del potere si colloca il monopolio della forza.
Una divisa non è un costume: rappresenta lo stato, qualsiasi cosa sia diventata questa entità nazionale prevista dalla Costituzione, nel XXI secolo.
Shura, avanguardia di una nuova sensibilità pop
Shura è il sintomo di un più vasto cambiamento di sensibilità che investe tutta la musica. Nella sempre maggiore difficoltà di distinguere fra rock e pop, alternativo e mainstream, sperimentale e commerciale, la musica contemporanea si muove con disinvoltura attraverso questi confini un tempo sacri e li confonde, mescola, ridicolizza. Nel bene e nel male, il nuovo paradigma che si sta imponendo è quello del "poptimismo", una rivalutazione del pop in tutte le sue infinite manifestazioni e come reazione al machismo "rockista" fatto di riff muscolosi e lunghi assoli chitarristici.
Who ya gonna call?
GHOSTBUSTERS **1/2
(USA 2016)
Regia, Sceneggiatura: Paul FEIG e Katie DIPPOLD
Fotografia: Robert D. YEOMAN
Cast: Melissa MC CARTHY, Leslie JONES, Kristen WIIG, Chris HEMSWORTH, Andy GARCIA, Kate MC KINNON
Durata: 1h e 48 minuti
Produzione: Sony Pictures
Distribuzione: Warner Bros
Uscita: 28 Luglio 2016
Avevo molta paura quando uscì la notizia che, dopo 32 anni dal primo episodio, avrebbero fatto un reboot con acchiappafantasmi donne. Dopo aver visto il film, francamente non capisco l'operazione. O meglio la capisco per la Sony, visto che da qui si espanderà l'universo Ghostbusters come già accaduto per Marvel e Dc. Speriamo bene, perché non sono per niente ottimista a riguardo. Non è per una questione di razzismo o di misoginia (ci sono state numerose polemiche sui social network a riguardo), ma per quelli della mia generazione il celebre film di Ivan Reitman era un cult contro cui era impossibile confrontarsi.
Eravamo nel pieno degli anni '80, il decennio più "godereccio" e rimpianto. Era una commedia fantascientifica rara, ambiziosa che mescolava la comicità televisiva da "Saturday Night Live" dei protagonisti con il vero cinema. Quando venne annunciato il cast di questo reboot, ero piuttosto arrabbiato. Se nel 1984 c'erano attori come Bill Murray, Sigourney Weaver, Dan Akroyd, Harold Ramis, adesso abbiamo le semisconosciute Leslie Jones e Kate Mc Kinnon, la Melissa Mc Carthy onnipresente nelle commedie americane di bassa leva e l'esperta Kristen Wiig. Per ovviare a questo discorso, sono stati aggiunti Andy Garcia e soprattutto Chris "Thor" Hemsworth, ma non bastano. L'operazione "salva franchise" della Sony Pictures è stata fatta sulla base del successo del settimo episodio di "Star Wars – Il risveglio della Forza" (di proprietà della Disney). Stessi ingredienti, stessa formula, stessa sceneggiatura con qualche variazione sul tema. Anche i fedeli fan della saga di George Lucas non erano del tutto soddisfatti, anche se non vogliono farlo trapelare. Verrò subito ad occuparmi della storia per analizzare il tutto al meglio.
La vicenda iniziale è praticamente uguale al film originale, scritto dallo scomparso Harold Ramis (a cui il film è stato dedicato) con Dan Akroyd. New York. Abby Yates (Melissa McCarthy) e Erin Gilbert (Kristen Wiig) credono nei fantasmi e hanno scritto un libro. La prima non rinnega il passato e sta proseguendo gli studi sul tema, mentre la seconda ha rinnegato il passato perchè ha paura di perdere il suo posto di docente alla Columbia University. Quando Erin vede che l'amica ha messo il libro su Amazon, vuole parlare con Abby per convincerla a toglierlo. Poco dopo però si sentono strane notizie riguardanti le apparizioni di fantasmi. Le loro intuizioni diventano fatti. Alle due si uniscono la svitata inventrice Jillian Holtzmann (Kate McKinnon) e Patty Tolan (Leslie Jones), l'inserviente della metropolitana che involontariamente ha avuto un incontro ravvicinato con un fantasma. Dopo aver commesso diversi errori, accumulano esperienza e decidono di mettersi in proprio. Inventano le loro armi, gli zaini protonici, pistole, trappole, le tritafantasmi e ... l'automobile. Trovano una sede in un ex ristorante cinese, sopra una caserma di pompieri. C'è la crisi,baby.
L'affitto è troppo caro anche per le ghostbusters. Qui poi il film diventa abbastanza simpatico perché entra in scena il ciclone Chris "Thor" Hemsworth. E' lui il nuovo segretario delle acchiappafantasmi. Bello, biondo, alto, muscoloso. L'assetato pubblico femminile andrà in estasi. Peccato che sia abbastanza stupido, svampito e tremendamente bambinone. La zitella Erin, ad esempio, farebbe carte false per portarselo a letto, ma il quoziente intellettivo di lui è veramente ridotto all'osso. Lui non è della scuola del dott. Venkman (Murray nel primo film) quando diceva, a proposito del fantasma, "Dove sta il problema? Avete visto, è un marinaio, è qui a New York, lo portiamo a scopare ed abbiamo risolto il problema!"
Questa è la parte migliore del reboot. A Chris Hemsworth vengono date le battute migliori. Lui in realtà è molto intelligente ed autoironico e mostra di avere le doti giuste anche nel rispetto dei tempi della commedia. Però se ci pensiamo bene questo è uno dei limiti del film: in un'opera dove le protagoniste sono tutte donne, si eleva l'unico maschio. L'unica che riesce a tenergli testa è l'esperta Kristen Wiig, le altre invece latitano (in ogni caso hanno tutte esperienze nel "Saturday Night Live"). Intanto Manhattan sta per essere invasa dai fantasmi e la gente sarà costretta a chiamarle per evitare che la città venga colonizzata da spettri di ogni tipo. Tra questi c'è anche il ritorno di Slimer con moglie e allegra famigliola a carico. Ricordate il celebre fantasma verde del famoso "venimmo, vedemmo e lo inculammo"?
Nel complesso il film si può vedere, ma con il passare dei minuti si perde per strada. Il finale non è all'altezza. Fare una commedia parodistica stile "Spy" non ha giovato al regista Paul Feig. Probabilmente lui non è il filmaker giusto per un'operazione di questo tipo. Serviva qualcuno più folle. Il vero problema è la totale assenza del senso di minaccia che avvolgeva New York nel film del 1984. Anche il look dei fantasmi è "digitalizzato" e senza anima, nonostante la fotografia sia curata dal bravissimo Robert Yeoman (noto per essere il fotografo dei film di Wes Anderson). Per non parlare poi dello stravolgimento totale della colonna sonora di Ray Parker Jr che era il vero motore dell'azione del primo film. Non è un'opera credibile anche perchè al centro ci sono delle donne che mirano più direttamente ad una legittimazione della loro situazione, invece che andare all'avventura. La mancanza di autostima, le insicurezze, le paure della società, il maschilismo sul lavoro vengono trattati discretamente bene nella prima parte. Il problema è che, da quando entra in scena Hemsworth, tutto ciò viene dimenticato finendo (involontariamente?) per applicare il contrario di quanto detto. Poi, lo ripeto, le interpreti (Kristen Wiig a parte) non hanno carisma per un ruolo di questo tipo, specie se le confrontiamo con attori di prima grandezza come Bill Murray e compagnia.
A proposito dei vecchi interpreti, anche loro partecipano al film. I cammei di Dan Akroyd e Bill Murray non giovano affatto al film, mentre quelli di Annie Potts (la segretaria), Ernie Hudson e Sigourney Weaver sono abbastanza divertenti. Da segnalare anche il piccolo ruolo di Andy Garcia (il sindaco di New York) che "omaggia" un celebre film di Spielberg. Andate pure al cinema, ma non aspettatevi chissà cosa. E guardatevi i titoli di coda fino in fondo. Ci sta anche che la cosa vi possa piacere.
TOP
– Chris Hemsworth autoironico che "dà le paste" a tutti
– Alcune gag sono divertenti (vedi scena del concerto)
– Kristen Wiig è l'inteprete più credibile delle 4 protagoniste
– Il ritorno di Slimer con la moglie
FLOP
– Il confronto con l'originale è improponibile a livello di attori, regia, sceneggiatura ed effetti speciali
– I cammei stiracchiati di Dan Akroyd e Bill Murray
– Le protagoniste non sono sempre all'altezza della situazione (tranne la Wiig)
– La parte finale del film è senza idee
– L'entrata in scena di Hemsworth finisce per contraddire le idee della prima parte. E' lui che ruba la scena alle protagoniste. La cosa è grave considerando l'input iniziale
– La colonna sonora rifatta parecchio male
Suicide: ristampato il primo disco dei geni della new wave
Non poteva nascere sotto circostanze più luttuose la ristampa dell'omonimo primo disco dei Suicide. Il capolavoro del duo vede infatti nuova luce pochi giorni prima di quel sedici luglio scorso, quando Alan Vega, all'età di 78 anni, viene trovato morto nel sonno. Dei suicide ora resta solo l'altra metà, il sempre attivo e prolifico Martin Rev. I suicide appartengono definitivamente al passato, ma la loro influenza perdura tutt'ora.
Il duo è stato uno dei progetti allo stesso tempo più sperimentali e più stimolanti della fine degli anni settanta. In un epoca di forti turbolenze e agitazioni musicali, con la travolgente comparsa del punk e i primi vagiti di quella rivoluzione epocale che fu la new wave, i Suicide hanno saputo cogliere lo spirito nichilista, nervoso, iconoclasta dell'epoca per contribuire in maniera determinante a definire le coordinate della musica del futuro, dando un impulso decisivo a generi come l'industrial, la techno e la new wave stessa.
Nell'anno della piena consacrazione della prima ondata del punk, con la pubblicazione di Nevermind the Bollocks dei Sex Pistols, dell'omonimo disco dei Clash e del devastante Rocket to Russia dei Ramones, tutti targati 1977, si muoveva in parallelo un movimento di musicisti più oscuri e sotterranei ma non meno ambiziosi e visionari. Epicentro di questa scuola di artisti che vedeva il punk come evento di rottura epocale ma già guardava oltre, era New York, dove vi gravitavano artisti estremamente raffinati ed incredibilmente avanti coi tempi. Oltre alla poetessa Patti Smith e all'irresistibile combo dei Blondie, si muovevano nella giungla urbana della Grande Mela, gravitando spesso attorno al locale CBGB, gruppi destinati a cambiare completamente il modo di fare e intendere la musica.
Fra questi, i Talking Heads, fin dal loro esordio discografico del 1977, presero il nichilismo punk e lo impregnarono di un concentrato di ritmi funky sbilenchi e ossessivi, di sonorità elettroniche plastiche e tese, per un rock psicotico e allucinato. Decisivo fu anche il contributo dei Television che su Marquee Moon, trasfigurarono il punk in un baccanale di ricchissime soluzioni chitarristiche anni sessanta, in un capolavoro di suoni nevrotici e viscerali. Non ultimi, proprio i Suicide, rappresentavano all'interno di questo calderone di creatività dirompente, la componente più estrema e la proposta più radicale dell'intera scena.
Il loro album d'esordio, sempre del 1977, era l'omonimo Suicide per l'etichetta indipendente Red Star, album che all'epoca riscosse una tiepida risposta di pubblico e critica ma che col passare degli anni ottenne tutto quel riconoscimento che merita. Si tratta di un disco fondato su una proposta musicale minimalista: tastiere (Rev) più voce (Vega) per un rock destrutturato e nichilista che li fece accostare alla componente più radicale, iconoclasta e autodistruttiva della new wave, ovvero quella No-Wave magistralmente immortalata nella compilation "No New York" prodotta da Brian Eno nel 1978.
Ma i Suicide non erano dei demolitori musicali fini a se stessi: nelle loro composizioni trapela piuttosto il tentativo di rappresentare tutto il disagio e i turbamenti di una generazione in subbuglio, schiacciata fra gli ultimi sogni idealisti di trasformazione sociale e l'alienazione individualista metropolitana, che stava risucchiando la contestazione in un oceano di edonismo e rassegnazione.
Suicide contiene sonorità mai sentite fino a quel momento. Tutte le tracce sono assalti frontali alla normalità e alla convenzione. Innocue ballate anni cinquanta, banali ritmi disco, vengono lacerati e rovesciati in un incubo perpetuo. I personaggi che popolano i testi di Vega e Rev sono fantasmi persi in qualche anfratto di un ospedale psichiatrico in abbandono. Tutto diventa un atroce e spasmodico lamento che non trova risposta. Come afferma il critico Piero Scaruffi, che considera Suicide uno dei dischi più importanti della storia del rock, "i loro brani sono deliri di suicidi volontari nei labirinti metropolitani, sono esercizi di auto-flagellazione che raggiungono un pathos paranoico attraverso una monolitica catalessi esistenziale".
Ossessivi e pungenti, minimali e martellanti, i synth di Rev si pongono al servizio del cantato spasmodico e affannoso di un Vega invasato. Le urla demoniache e i frenetici mantra vocali rendono il dittico iniziale "Ghost Rider"/"Rocket USA" un vero e proprio esercizio di perversione e angoscia. L'inquietudine domina anche gli episodi più rilassati e melodici, come la dolce "Cheree", una versione ansiogena e depravata di Sunday Morning dei Velvet Underground o la conclusiva "Che", un concentrato di pulsioni funeree. L'incubo continua con "Johnny", un rockabilly per menti schizzate su un giro di tastiere ipnotico e inquietante e con il desolante mantra psichedelico di "Girl", figlio di una tensione nervosa perpetua ed estenuante. L'angoscia raggiunge però il suo climax con la lacerante "Frankie Teardrop", storia di un operaio depauperato dai processi di deindustrializzazione che per disperazione finisce per sterminare la propria famiglia prima di rivolgere la medesima violenza contro se stesso. Gli oltre dieci minuti di questo raccapricciante canto di morte, che rende universale la deprivazione morale e materiale di un proletariato urbano inghiottito in un vortice di alienazione e smarrimento ("We're all Frankies/ We're all lying in hell", recita l'ultimo verso), rappresenta uno degli episodi più agghiaccianti di tutta la storia della musica rock.
Il contributo dei Suicide alla musica alternativa è difficilmente quantificabile. Le loro ossessioni e perversioni musicali hanno creato un fantasma destinato a riapparire in molte delle produzioni new wave successive e non solo (Joy Division, Killing Joke, Einstürzende Neubauten,ecc..). Il loro album d'esordio ha costruito delle atmosfere ansiogene e nervose destinate a fare scuola e ha rappresentato una delle più fedeli rappresentazioni del disagio e delle angosce di quel periodo storico.
Il Becco è una testata registrata come quotidiano online, iscritto al Registro della Stampa presso il Tribunale di Firenze in data 21/05/2013 (numero di registro 5921).