Emerge un mondo musicale sommerso da una cultura fluida in cui l'ultima hit della popstar più in voga e la reunion della leggendaria rock band anni settanta finiscono nella stessa ipotetica playlist. Rimettendo sullo stesso piano e de-reificando i generi musicali, si produce una straordinaria possibilità di libertà espressiva e creativa ma ciò implica anche la definitiva consacrazione del consumatore musicale onnivoro, che usa, per poi inesorabilmente gettare, qualsiasi cosa gli sia propinata, qualsiasi prodotto dell'industria culturale, senza alcun filtro critico.
In questa confusione e ambivalenza, l'unica certezza è che l'argine si è rotto. Ed è in questa frattura che occorre collocare l'opera di Alexandra Lilah Denton, in arte Shura. La giovane musicista classe 1991 nata da madre russa e da padre britannico, ha vissuto a Manchester prima di trasferirsi a Londra per studiare all'università. Nella capitale britannica il suo interesse si sposta sulle tecniche di produzione musicale digitale e l'uso di software adibiti a questa impresa. Già nel corso del 2014 emergono le sue prime bozze autoprodotte che ricevono un discreto interesse dal mondo del web. Una di queste, "Touch", una ballata r'n'b dai ritmi sincopati, ottiene un tale e inaspettato successo su Youtube che ben presto le case discografiche si sono presentate alla sua porta, intravedendo grandi potenzialità commerciali nella sua, seppur ancora grezza e caotica, proposta musicale.
Esito naturale di questo celere processo di affermazione, è la firma per l'etichetta major Universal. Da lì alla pubblicazione del primo album il passo è stato breve. "Nothig's Real" è così una rapida successione di diapositive sonore, di confuse visioni e malinconiche allucinazioni post-adolescenziali, messe insieme da un comune sentire pop. Come nel caso dell'artista canadese Grimes, il brivido estetico sta nel proporre hit preconfezionate e superficialissime di disco music anni ottanta ma volutamente imperfette e sottilmente inquietanti, piene di citazionismi indie, passaggi in bassa fedeltà, stranezze compositive. Rispetto a Grimes che guarda all'electro-dream pop artistoide di matrice new wave però, Shura propone il suo synth pop edonista ma tormentato secondo evidenti coordinate r'n'b e con influssi funk con apparente disinvoltura, anche se in realtà niente nella proposta di Shura sembra guidato dalla spigliatezza e dalla sicurezza in sè, ma si percepisce piuttosto una continua stonatura fra la apparente leggerezza del materiale proposto con l'atteggiamento psicologico che lo interpreta, segnato da una strisciante insicurezza e timidezza.
Si definiscono così i contorni di una diva anti-diva che nell'atteggiamento avvicina non solo Grimes ma anche la celebre artista statunitense Lana del Rey. Ma laddove quest'ultima permea le sue composizioni di sfiducia nei confronti dell'umanità e nell'esistenza in quanto tale, in Shura trovano spazio semplici turbamenti personali e storie d'amore interrotte. Se Lana del Rey affoga le sue potenziali hit in una depressione narcotica e rassegnata, la musicista inglese predilige una soffusa e calda intimità nella quale cullarsi e con la quale consolarsi.
Dal punto di vista più strettamente musicale, Shura non si vergogna di andare a ripescare dagli anni ottanta le sonorità più archetipiche di quella decade, a cominciare dagli esordi di Madonna e Janet Jackson, ma le reinventa tramite un impostazione figlia di una anarchia creativa a tratti spiazzante. Su "Nothing's Real", anche i numeri più travolgenti ed immediati, nascondono delle basi elettroniche complesse ed eclettiche, molto più figlie della cultura underground britannica piuttosto che del music business ("Tongue Tied", "2Shy").
Il contrasto fra un approccio diretto e grezzo e una produzione elegante e raffinata, non risulta sempre originale ma sfocia spesso in pezzi di alternative pop pregevoli (l'ipercinetica ballata "What's it Gonna be"e il numero indie di "What Happened to Us"). In questo tripudio di goduria pop, l'unico pezzo ad avere il potenziale da grande hit e però sempre e solo quella "Touch" che è forse anche la meno originale e interessante del lotto. Il cantato dimesso ed elegante, mai sopra le righe, di Shura scivola nel torpore narcotizzante di Lana del Rey solo su "Kidz'n'Stuff" mentre mostra tutta la sua ecletticità sui pregevoli contrappunti ritmici di "Indecision", uno degli apici, almeno dal punto di vista compositivo. Il capolavoro è però "White Light", sbalorditivo tour de force synth pop di oltre dieci minuti che, fra battiti sognanti, incedere psichedelico, ricerca melodica e mood nostalgico, racchiude tutta l'estetica di Shura.
Come scrive Laura Snapes sulle pagine di Pitchfork, la musicista anglo- russa, dichiaratamente lesbica, fa parte di quella avanguardia di giovani pop star queer, quali Years & Years, Christine and the Queens, Tegan and Sara, che stanno aggiornando il pop degli anni ottanta a una forma di mainstream pop auto-sufficiente e pienamente liberata da ogni forte categorizzazione di genere. Ma ascoltando la musica di Shura si percepisce un salto di qualità rispetto ai suddetti musicisti, una capacità di manipolazione e contaminazione della materia pop che permette ancora di pensare il diverso di rompere con la prevedibilità. Da questo punto di vista, Shura è più simile al cantautore queer Perfume Genius, in grado di proporre un pop eclettico e alieno, frutto di un tormento interiore che si traduce in una musica ricca e personale, che rimette al centro l'autore e la sua capacità di problematizzare ciò che fa e che non rinuncia alla ricerca di nuove forme espressive, per quanto contingenti possano essere.
Shura rappresenta pienamente la sensibilità musicale della nostra epoca. La cultura frammentaria, sospesa, nostalgica entro cui siamo inseriti si traduce in una musica nostalgica e volutamente incompleta, in un patchwork di indefinitezza e ibridazione che, nel bene e nel male, si candida a farsi avanguardia della musica che verrà.
voto: 7/10