Cultura

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Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.

Immagine liberamente tratta da pixabay.com

Ai bordi di un mondo appannato: il progetto Sorge
Recensione del disco d'esordio e report live dei Sorge

Emidio Clementi resterà sempre associato alla brillante carriera dei Massimo Volume, uno dei gruppi alternativi più importanti degli anni novanta. Il suo ispirato ed evocativo spoken word, sopra una coltre avvolgente di strumentazione di matrice post-rock, ha rappresentato una delle più originali ed interessanti proposte musicali del panorama musicale italiano contemporaneo. Ma l'artista di Ascoli Piceno ha dato vita anche ad altri progetti musicali (El Muniria) oltre che a una serie molto ampia di collaborazioni (Afterhours, Giardini di Mirò, Ulan Bator, Cesare Basile, ecc...), ultima delle quali quella con il tecnico del suono Marco Caldera.

Il rapporto tra amore, capitalismo e cinema secondo i fratelli Coen

AVE CESARE! *** 1/2
(USA 2016)
Regia, Sceneggiatura e Montaggio: Ethan e Joel COEN
Cast: Josh BROLIN, George CLOONEY, Tilda SWINTON, Scarlett JOHANSSON, Jonah HILL, Ralph FIENNES,
Channing TATUM, Frances MC DORMAND, Alden EHRENREICH
Fotografia: Roger DEAKINS
Durata: 1h e 46 minuti
Distribuzione: Universal Pictures
Uscita: 10 Marzo 2016

Recensire questo film è da pazzi. Un conto è vederlo, un conto è scrivere per chi ancora non lo ha visto. Anche a me verrebbe da dire come la celebre battuta "vorrei fosse così semplice". Il mio spirito cinefilo mi "impone" di parlare di un film dei Coen. Pare sia contronatura "censurare" tali opere. Ad ogni modo, ci provo.

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Il professore Rossi continua il viaggio tra gli scandali, i vizietti e le vicende erotiche delle corti francesi e passa a introdurre la figura del sovrano più sottaniere e dedito all’ars amatoria, vale a dire, Enrico IV (1518-1610). Il re è passato alla storia per essere uno dei più magnanimi nei confronti dei sudditi (tanto da accaparrarsi il nomignolo di “bon roi”) e anche come uno dei più anti-conformisti rispetto alla rigida disciplina, privata e pubblica, dell’epoca: si faceva ritrarre in posizioni buffonesche con i figli, sia maschi che, cosa straordinaria, con le femmine (vi sono quadri che lo rappresentano a gattoni con in groppa i bambini), si fa chiamare “papà” da loro..insomma aveva delle maniera che potevano risultare abbastanza anti-convenzionali per le regole reali del tempo. Enrico però non era altrettanto un emblema di purezza, candore e integrità dal punto di vista morale e di comportamento sessuale. Era, perdonatemi il termine, un vero e proprio “puttaniere”, anche se si innamorava sinceramente di tutte le amanti che ha avuto (tante!).

Venerdì, 11 Marzo 2016 00:00

The Danish girl

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The danish girl

"Mi sento subito meglio quando ascolto il rumore della tua matita. Sei sempre stata più brava di me a fare ritratti. Divento come mi vedi, tu mi hai fatta bella, e ora mi fai forte... Quanto potere c'è in te."
The danish girl

Travolgente, immenso, poetico: un film che lascia tutti sgomenti e che tocca l’anima. Attori impeccabili e scenari molto belli. Stiamo parlando di: "The danish girl", il film che ha fatto emozionare moltissime persone e che è stato spunto di discussioni e di riflessioni soprattutto. Diretto da Tom Hooper, ritroviamo come protagonista colui che interpretò Stephen Howking in “la teoria del tutto”, Lee Redmayne, il quale è riuscito ad interpretare benissimo il male di vivere che affliggeva il suo protagonista Eimer; il suo non identificarsi con il proprio corpo, e il suo voler uscire, il voler essere semplicemente Lili, la quale, sin dalla tenera età, era presente in lui, ma che ancora non era pronta a diventare la sua parte dominante e lasciar andare Eimer. Troviamo un'altra attrice, anch'essa brava e bellissima, Alicia Vikander nei panni di Gerda Wegener, la moglie di Eimer ; fanno inoltre parte del cast Matthias Schoenaerts, Ben Whishaw, Amber Heard e Sebastian Koch.

National e Beirut animano il bizzarro progetto LNZNDRF
Recensione dell'omonimo album d'esordio dei LNZNDRF

L'impronunciabile appellativo LNZNDRF è il moniker dietro il quale si nascondono tre artisti navigati delle scena alternativa statunitense. Due di questi sono Bryan e Scott Devendorf, la coppia di fratelli meno famosa ma non meno importante nelle alchimie sonore dei National, una delle band più emblematiche e celebrate dell'indie rock degli ultimi quindici anni (non perdeteveli il 12 Luglio al Pistoia Blues Festival, nella loro unica data italiana). Il terzo, è Benjamin Lanz il polistrumentista dei non meno noti Beirut, che si sono costruiti un solido seguito di sostenitori grazie a deliziosi album di folk e world music come Gulag Orkestar o The Flying Club Cup.
Il risultato della collaborazione fra questi tre artisti è l'omonimo LNZNDRF, una raccolta di otto composizioni che ha il coraggio di allontanarsi sia dai territori cari a National che da quelli affini ai Beirut. Si tratta infatti di un album d'esordio dai contorni psichedelici e caratterizzati dal prevalere di lunghi pezzi segnati da una strumentazione aperta ed atmosferica. Si riducono allora al minimo le nervose e oscure tribolazioni post-punk care ai National, così come le tentazioni world music e balcaniche dei Beirut sono pressoché assenti.

Il suono acido dei LNZNDRF flirta piuttosto con post-rock e shoegaze, nelle lunghe digressioni solenni e atemporali che caratterizzano il cuore pulsante della loro cifra stilistica (il crescendo di "Future You" coi suoi loop chitarristici e linee pulsanti di basso, o la sognante "Hypno-Skate", un trip allucinato per tastiere sinuose e chitarre vorticanti). L'apice di questa esigenza comunicativa è raggiunto con la conclusiva e spettrale "Samarra", coi suoi synth martellanti e ossessivi che si sviluppano in un coacervo di flussi rumoristici, in un progressivo prevalere entropico di una elettronica malata e occulta, vicina al Kraut Rock.

Molto riuscita anche "Beneath The Black Sea", forse il momento più alto del disco, dove l'impostazione ritmica alla National non nasconde l'ambizione del trio di dilatare il suono a dismisura: ne esce un bizzarro e riuscitissimo connubio di neo-psichedelia, synth pop oscuro e malinconico anni ottanta alla New Order con un indie rock introverso dalle velleità cantautorali.

Non tutto è oro quel che luccica però, e nella estrema varietà di stili e influenze, che rende il progetto piuttosto eterogeneo, emergono anche esperimenti non del tutto riusciti, come l'indie- pop al silicio di "monument", una versione più post-prodotta è innaturale di qualche classico electro pop, o il baraccone anni ottanta di Kind Things, un calderone di appiccicose sonorità funky piuttosto sconclusionate e decisamente fuori luogo.

Nonostante qualche riempitivo, il progetto funziona: se l'auspicio è che questo album non resti un caso isolato ma possa essere solo il primo passo di una collaborazione più longeva, la speranza vera e propria è che questo "LNZNDRF" possa aiutare National e Beirut a ritrovare quella creatività che si è fatto fatica a intravedere nelle loro ultime prove.

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