Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.
Immagine liberamente tratta da pixabay.com
Se c'è una caratteristica che distingue Pierangelo Bertoli da altri cantautori è l'aver messo sé stesso dentro i propri brani. Certe canzoni, e “certi momenti”, non possono essere il frutto, unicamente, di una forte capacità poetica, ma lasciano trasparire qualcosa dell'autore.
Questa stessa caratteristica la si può ritrovare anche in Alberto, figlio di Pierangelo e musicista egli stesso, che ha voluto raccontarsi, oltreché nei propri brani, anche nel libro Come un uomo (Infinito edizioni, 2015, pp. 160, € 14,00), scritto insieme a Gabriele Maestri, collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso l'Università di Parma, Dottore in Teoria dello Stato a La Sapienza e già noto ai lettori del Becco per tutt'altro ambito (è tra i più noti esperti di simboli dei partiti in Italia).
Donne coraggiose, gangster gemelli e... Una stanza
Un'altra settimana di grandi uscite cinematografiche. Vi parlerò di tre temi molto diversi: la vera storia dei gemelli Kray nella Londra anni '60, la rivoluzione femminile delle “suffragette” per ottenere il diritto di voto e l'amore di una madre per il figlio in un contesto molto difficile.
Ecco le recensioni in dettaglio:
ROOM ****
(Irlanda 2015)
Regia: Lenny ABRAHMSON
Cast: Brie LARSON, Jacob TREMBLAY, William H. MACY, Joan ALLEN, Sean BRIDGERS
Durata: 1h e 58 minuti
Distribuzione: Universal Pictures
VINCITORE DI UN PREMIO OSCAR ALLA MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA (BRIE LARSON)
Uscita: 3 Marzo
Era uno dei pochi film premiati agli Oscar che ancora non avevo visto, a causa della distribuzione italiana. “Room” è un'opera necessaria, da vedere. Probabilmente i riconoscimenti sono stati pochi. Reduce dal sorprendente e malinconico “Frank”, il regista irlandese Lenny Abrahmson ha fatto centro parlando di una storia sofferta, apparentemente facile da mettere in scena. Ma non lo è assolutamente. A differenza di Michael Fassbender nel film sopra citato, la protagonista di “Room”, Ma (Brie Larson), non può permettersi un'enorme maschera di cartapesta che le copre il volto. Non è un problema economico, assolutamente.
Da 7 anni vive confinata in una stanza piccolissima insieme al figlio di 5 anni, Jack (Jacob Tremblay). I suoi genitori l'avevano educata a essere gentile con gli altri. Un eccesso di confidenza con uno sconosciuto l'aveva portata a conoscere un maniaco psicopatico, che si fa chiamare “Old Nick” (Sean Bridgers). L'uomo l'aveva sequestrata e rinchiusa, abusando ripetutamente di lei. Solo lui sapeva la combinazione che apre la porta della stanza blindata. Èlui che tutti i giorni portava i pasti e saltuariamente i regali al bambino, in cambio di una “toccata e fuga” con Ma. Poi spariva per il resto della giornata. L'unico “contatto” con il mondo esterno per i due era una finestrella che dava sul cielo e che permetteva a Jack di fantasticare sul mondo esterno. Tutti i giorni i migliori amici del bimbo erano stanza, porta, lavandino, armadio, qualche giocattolo e del cibo.
Nel crescere però le domande di Jack diventarono sempre più insistenti per la giovane madre. Presa dalla disperazione, un giorno gli raccontò cosa le successe veramente. Neanche il bambino ci credeva. Là fuori c'era un altro mondo, fatto di persone, cose che lui non aveva mai potuto vedere. “Non mi piace questa versione” - dice il bambino. La madre diventa una sorta di Conte di Montecristo e si ingegna a trovare un piano per far scappare il bambino dalla stanza. Riusciranno i nostri eroi a uscire dal “bunker” e a vivere veramente liberi?
Ma non è finito qui l'enigma perchè nella seconda parte del film cambiano le variabili in gioco, ma la “Stanza” rimane. Ed ecco che il film diventa metafora di una società intollerante, chiusa, incapace di dialogare. Gli uomini da sempre si uccidono tra di loro, ma qui “Old Nick” si supera arrivando addirittura ad “annientare” questa giovane donna e (quello che sarebbe) suo figlio.
Abrahamson adatta il libro di Emma Donoghue (“Stanza, letto, armadio specchio “) con rispetto e sensibilità, senza retorica. Il film è frutto di lezioni di cinema e di letteratura importanti: da “Oldboy” al “Conte di Montecristo”, da “Alice nel Paese delle Meraviglie” a “The tree of life” di Terrence Malick non disdegnando alcuni temi cari a David Fincher. Attori straordinari: Brie Larson ha vinto a sorpresa un Oscar come miglior attrice protagonista, ma la vera sorpresa del film è Jacob Tremblay. Canadese, classe 2006, ha già all'attivo 6 film. Se recita come qui in “Room”, allacciate le cinture perché abbiamo trovato un nuovo talento. Meglio di lui finora aveva fatto soltanto Natalie Portman in “Leon” (1994), ma aveva 13 anni. Cinema ed emozioni allo stato puro. Se ci fossero più film come questo, avremmo risolto tanti problemi. Correte a vederlo. “I muri vanno visti da entrambi le parti” - dice Ma al giovane Jack. Come darle torto?
TOP Straordinario l'amalgama tra Jacob Tremblay e Brie Larson, la regia di Abrahmson, la sceneggiatura e la storia sono magistrali, i tantissimi omaggi a cinema e letteratura, la messa in scena dell'entrata di “Old Nick”.
FLOP Alcune lungaggini della seconda parte che non è, per intensità, ai livelli della prima.
LEGEND ***
(Gran Bretagna 2015)
di Brian HELGELAND
con Tom HARDY, Chazz PALMINTERI, Emily BROWNING
Durata: 2h e 12 minuti
Distribuzione: 01 Distribution – Rai Cinema
Uscita: 3 Marzo
Brian Helgeland è noto per aver descritto, con le sue sceneggiature, il crimine e i gangster al cinema. Mystic River, L.A. Confedential (che gli ha fruttato l'Oscar), Ipotesi di complotto sono farina del suo sacco. Tanto per fare degli esempi. A livello di regia, tuttavia, i risultati sono stati abbastanza modesti. 4 film all'attivo non particolarmente riusciti, tra cui “Il destino di un cavaliere” con Heath Ledger. È uscito anche in Italia il suo quinto lavoro, ovvero “Legend”. Grande successo in Patria, ma nel resto del mondo il film non è andato bene. Forse perchè i Kray in Inghilterra sono delle star ai livelli dei Beatles e dei Rolling Stones.
Come detto, il tutto avviene a Londra negli anni '60. Siamo a qualche anno e a pochi chilometri dalla Swinging London, una zona ad alta concentrazione proletaria (e piuttosto squallida), da cui emersero due gemelli: Ron e Reggie Kray (entrambi interpretati da Tom Hardy). I due volevano dominare e controllare Londra. Per chiunque sarebbe stato un progetto ambioziosetto, ma non per loro. La storia dell’ascesa e della caduta dei Kray è raccontata da Frances Shea (Emily Browning), sorella dell’autista di Reggie, che poi divenne sua fidanzata e poi moglie. Ron è il gemello omosessuale ed è schizofrenico. “Attivo, non passivo, non sono un frocio" – tiene a precisare. Tom Hardy lo interpreta con un tono di voce “biascicato” e parodistico e uno sguardo stralunato dominati da vistosi occhiali. E poi ha una camminata piuttosto “rigida”. Reggie è il gemello più fine e “bondiano”, ma allo stesso tempo fragile e sentimentale. Tuttavia non rinuncia all'esibizione della sua mascolinità che somiglia a quella di Russell Crowe di “L.A. Confidential” (toh che caso!). I Kray conquistano la fedeltà del quartiere seguendo tutti i riti di passaggio del genere, ma poi entrano di mezzo la melassa e la storia d'amore tra Reggie e Frances. Tuttavia l'ambizione dei gemelli è quella di non lasciare mai il loro quartiere.
Il film è interamente costruito sul fisico massiccio di Tom Hardy e sulla sua recitazione che lo rendono uno dei talenti più puri in circolazione. Anche qui la sua doppia performance (magie del digitale!) è straordinaria ed è il motivo per vedere il film. Tuttavia all'opera non mancano dei difetti: Helgeland non sceglie quale strada seguire. Vita privata o vita da gangster? Ritratto feroce dell'epoca o ritratto ironico? Purtroppo “Legend” sceglie di stare da entrambe le parti della barricata, finendo per soffrirne. Anche la durata (superiore alle due ore) ne risente, in parte. Non è un brutto film, ma ad alcune persone potrebbe suggerire che fare il gangster in fondo è bello, facile e figo. Forse alcuni registi come Scorsese o Mann sarebbero riusciti ad andare oltre. Peccato poteva essere un capolavoro.
TOP La doppia interpretazione di Tom Hardy, la rappresentazione della violenza come una forza implosiva/esplosiva.
FLOP Il regista non sceglie la strada da seguire: parodia o realismo? Vita privata o dei Kray gangster? A qualcuno potrebbe arrivare il messaggio che fare il gangster sia “cool”.
SUFFRAGETTE **1/2
(Gran Bretagna 2015)
di Sarah GAVRON
con Carey MULLIGAN, Helena BOHNAM CARTER, Meryl STREEP, Brendan GLEESON
Durata: 1h e 46 minuti
Distribuzione: BIM
Uscita: 3 Marzo
Tutti sanno che l'8 Marzo si festeggia la Donna, ma non tutti sanno che tale ricorrenza parte da una credenza piuttosto che da un fatto certo. Nel 1908 in una fabbrica di New York morirono 129 operaie. Questa “diceria” dette impulso alla Giornata Internazionale della Donna perchè il fatto accadde proprio l'8 marzo. La realtà vuole, invece, che l'incendio avvenne il 25 marzo 1911 e le vittime della fabbrica Triangle erano ben 146. Tuttavia questa celebrazione è bene ricordarla. Le conquiste sociali, politiche ed economiche, le discriminazioni e le violenze di cui spesso le donne sono state vittime, è bene ricordarle. Quest'anno in Italia cade il 70° anniversario (2 giugno 1946) della prima volta in cui le donne italiane andarono a votare. In ballo c'era il mantenimento della monarchia o il cambiamento, la Repubblica. Le donne spinsero il nostro Paese ad un cambiamento epocale. Non dimentichiamolo. Tuttavia l'Italia non è stata la prima. Leggetevi i titoli di coda del film e avrete delle grosse sorprese a riguardo. Specie su un Paese considerato libero e straordinariamente prolifico che riconobbe il diritto il voto alle donne solo nel 1971. Su tutti questi temi, è imperniato il film “Suffragette” diretto da Sarah Gavron e sceneggiato da Abi Morgan (già autrice di Shame e The Iron Lady). È incredibile il fatto che questo sia di fatto il primo film che tratta questo tema. E questo la dice lunga sulla parità dei sessi nel mondo del cinema. Non solo a Hollywood, intendiamoci.
Siamo in Gran Bretagna, all'inizio del Novecento. Maud (Carey Mulligan), giovane donna sposata e madre di un bambino, lavora in una lavanderia insana e pericolosa. Un giorno si ritrova nel mezzo di una rivolta delle “Suffragette”. Le donne chiedono il diritto di voto e uguali salari rispetto agli uomini. Sono esasperate, ribelli, violente e “indisciplinate”. Il termine “suffragette” fu coniato dalla stampa per sbeffeggiarle e insultarle, ma anche per indicare donne che lottano per il suffragio universale. Violet (Anne Marie Duff), paladina della parità dei sessi e collega di Maud, la convince ad unirsi al movimento. La coscienza del cambiamento matura lentamente in tutte le donne inglesi. Unite si può, sostanzialmente. La loro leader era Emily Pankhurst (cammeo di pochi minuti di Meryl Streep che sembra Mary Poppins). Tuttavia queste donne coraggiose erano disposte a perdere tutto nella loro battaglia per l'eguaglianza: il lavoro, la famiglia, i figli e la vita. E poi all'interno della società non erano ben viste. Altra cosa da non sottovalutare.
Questo film spiega tutte le fasi che poi portarono all'ottenimento del suffragio universale. L'altra battaglia ancora oggi non è stata vinta. Le lavoratrici sanno bene di cosa parlo. Addirittura, oggi, in molti Paesi (Italia inclusa) le donne in maternità vengono licenziate. La Gavron, coadiuvata dalla sceneggiatura di Abi Morgan, tratteggia con realismo un movimento scordato dalla maggioranza delle persone. A livello di storia il film funziona bene, ma a livello cinematografico no. Il contenuto c'è eccome ed è bene raccontarlo, ma manca la regia. Serviva maggiore coraggio, meno retorica. Il film sembra un omaggio, non un'opera vera. E ciò è un vero peccato vista la grande importanza della storia.
Anche il cast risente di questo problema: Carey Mulligan non ha il carisma che il ruolo richiede, Helena Bohnam Carter non ha una parte così significativa, il poliziotto di Brendan Gleeson appare troppo cinematografico. Vedere per credere. La parte migliore è la vita privata di Maud, il suo lento ma costante avvicinamento al movimento delle suffragette. E poi c'è Meryl Streep. La pubblicità inganna, visto che rimane in scena solo per pochi minuti. Il motivo di questo cammeo è che l'attrice americana è impegnatissima anche a Hollywood nella battaglia per la parità di salario tra uomini e donne. E non ha voluto rinunciare a mandare un messaggio. Tanta roba in un tempo in cui anche le donne sembrano sempre più distratte dall'importanza di quelle lotte. Oggi siamo tutti talmente schifati dalla politica che non riusciamo a capire l'importanza di questo diritto. Per capire più facilmente la cosa, guardate qual è l'evento che scatena l'attenzione dei giornali sul caso. Ecco perchè questo film va visto. Non tenete conto però dell'uso del mezzo cinematografico. Il voto che ho dato tiene conto anche di quello e, purtroppo, devo constatare che si tratti di un'occasione (parzialmente) persa.
TOP I temi trattati, il carisma di Meryl Streep, i titoli di coda che sottolineano fatti poco noti ai più, l'importanza della Donna nel contesto della società
FLOP Alcuni personaggi non del tutto credibili (Mulligan e Gleeson soprattutto), la mancanza quasi totale della regia
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Di androidi e reietti: Humans, avvincente serie tv inglese
L'idea non è certo delle più originali: il rapporto fra umanità ed intelligenze artificiali è un motivo ricorrente della letteratura e cinematografia fantascientifica fin dai suoi albori. Dalla raccolta di racconti Io, Robot di Asimov, si sono susseguite una serie spropositata di narrazioni che immaginano un futuro in cui la sorte e il ruolo stesso dell'essere umano è messo in discussione dalla sua stessa capacità di spingere la ricerca tecnologica sugli scivolosi ed instabili terreni dell'intelligenza artificiale.
Anomali come Jeeg Robot alla burina
Un'altra settimana di grandi uscite cinematografiche. Dopo avervi raccontato in anteprima lo splendido “Il Club” di Pablo Larrain (in uscita il 25 febbraio), questa volta lo zoom cade su due film sorpresa: “Anomalisa” del geniale Charlie Kaufman e il secondo cinecomic all'italiana (dopo “Il ragazzo invisibile” di Salvatores), ovvero “Lo chiamavano Jeeg Robot” dell'esordiente Gabriele Mainetti. Ecco il resoconto in dettaglio.
All’ottima recensione che Tommaso Alvisi per Il Becco su L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo, il film del regista Jay Roach uscito nelle sale italiane l’11 febbraio (clicca qui), non ho niente da aggiungere, se non qualche ulteriore informazione. In primo luogo ai film consigliati da Alvisi propongo di aggiungerne altri.
Il primo The Career (letteralmente la Carriera), titolo italiano: Il prezzo del successo. Il film, che è del 1959, tratta delle difficoltà di adattamento, e anche dei compromessi, che costa il successo, la “carriera” del titolo originale, per chi non è politicamente corretto, e ha per sfondo la “caccia alle streghe” e la guerra di Corea. La sceneggiatura del film è dello stesso Dalton Trumbo, sotto falso nome (Spartacus è dell’anno successivo), la regia è di Joseph Anthony, gli interpreti sono Dean Martin, Anthony Franciosa, Shirley MacLaine e Carolyn Jones, la quale ultima per chi non la conoscesse è la Morticia Addams della famosa serie televisiva.
Le scomode eredità di Umberto Eco
A ottantaquattro anni ci ha lasciati anche Umberto Eco. Di solito tollero poco gli eufemismi funerari, ma in questo caso il verbo “lasciare” mi sembra appropriato, perché la morte di una personalità così preminente dal punto di vista culturale lascia un senso di vuoto e di abbandono. In queste righe non mi concentrerò sulla statura accademica di Eco, quanto sul ruolo che egli ha avuto come intellettuale d’altissimo livello in relazione alla cultura popolare, un tema che a mio vedere risulta fondamentale nella sua attività letteraria.
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