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La scalata a chi la fa più grossa
Questa settimana ecco il ritorno di David O. Russell che torna a dirigere il trio Jennifer Lawrence, Bradley Cooper e Robert De Niro in “Joy”, dopo “Il lato positivo” e “American Hustle”. E poi il grande ritorno di Carlo Verdone, per la prima volta accanto ad Antonio Albanese in “L'abbiamo fatta grossa”. Ecco il resoconto in dettaglio:
Joy ***
(USA 2015)
di David O. RUSSELL
con Jennifer LAWRENCE, Bradley COOPER, Robert DE NIRO, Isabella ROSSELLINI, Virginia MADSEN
Durata: 2h e 4 minuti
Distribuzione: 20th Century Fox
Uscita: 28 Gennaio 2016
L'american dream e il self made man sono temi sempre presenti in più della metà dei film americani. David O. Russell (regista di The fighter, Il lato positivo e American Hustle) ha voluto sterzare raccontando sempre del sogno americano attraverso la figura di una self made woman. È l'ennesima recensione recente che parla di donne, della rivoluzione femminile. In questo film si parla di donne determinate, coraggiose. In particolar modo una, l'inventrice del mocio Joy Mangano. E chi poteva essere chiamata per questo ruolo? Ovviamente Jennifer Lawrence, già impavida eroina della saga di “Hunger Games”. La musa di O. Russell, dopo l'Oscar de “Il lato positivo” e la successiva collaborazione nell'esplosivo “American Hustle”. La Lawrence, dopo questo film, ha denunciato la mancanza di parità di salario tra attori e attrici a Hollywood. Onestamente il lavoro e il denaro non le mancano, ma la sua battaglia non è da denigrare. Anzi. Accanto a lei, i “soliti” Bradley Cooper e Robert De Niro, anche loro giunti alla terza collaborazione con Russell e la Lawrence. Ma eniamo al racconto del film “Joy”.
Long Island. Joy Mangano (Jennifer Lawrence) è una sorta di Cenerentola 2.0 : si fa il mazzo in casa, lava i pavimenti, ha una famiglia impossibile, una sorellastra che le fa andare l'autostima a picco. Vuole dimostrare al mondo la sua utilità. L'inizio sembra il ritratto di un inferno familiare (pare che il regista abbia passato dei Giorni del Ringraziamento piuttosto pesanti): la madre (Virginia Madsen) guarda soap opera alla tv in continuazione ritenendosi malata, il padre divorziato (Robert De Niro) è in difficoltà economiche e sentimentali, l'ex marito di Joy vive nello scantinato e non se ne vuole andare, poi ci sono la già citata sorellastra e due figli piccoli da sfamare. Rende bene l'idea che De Niro fornisce all'ex moglie: “sei una fuga di gas, non ti vediamo, non sentiamo il tuo odore ma ci stai uccidendo in silenzio“ (da antologia). Menomale c'è la nonna che è l'unica a credere in lei. Questa banda di svitati è un pretesto per offrire al pubblico l'idea dell'ambiente delle “desperate housewives anni '80”. Sono tutti personaggi estremi, sopra le righe, tranne una (la protagonista). Tutti sono rassegnati alla loro condizione, a stare al loro posto. Joy, invece, crede ai suoi sogni e ben presto la sua vita cambia. Ma Joy aveva bisogno di visibilità e l'incontro con Neil Walker (Bradley Cooper), imprenditore televisivo specializzato in televendite, gli dette un'importante chance. Grazie a un brevetto del Miracle Mop (il mocio “autostrizzante”) , cambiò le vite di milioni di casalinghe disperate divenendo un'imprenditrice di successo. Prima di condurre la giostra, però per lei ci saranno montagne russe, tradimenti, delusioni, umiliazioni e imboscate. Come nelle soap opera della madre. Fiaba e realtà si uniscono.
David O. Russell dirige un film interessante, ma dove si distinguono due diverse parti: la prima, splendida, riuscita, oliata e perfettamente funzionante con personaggi sopra le righe che danno l'idea del caos (stile “American Hustle”); la seconda, invece, è stiracchiata e meno convincente. Cenerentola diventa una sorta di John Wayne “a caccia di indiani” (immancabile l'americanata dove la protagonista si sfoga sparando con un fucile). E qui la storia si trasforma, si contorce e diventa prevedibile. Peccato se fosse stato tutto più grottesco (come nella prima parte) scegliendo di restare nella fiaba, il film ne avrebbe tratto giovamento. Come era già accaduto in “American Hustle”.
TOP La prima parte del film, gli attori (Robert De Niro e Jennifer Lawrence su tutti), l'accurata ricostruzione del caos familiare.
FLOP La seconda parte del film, il cambiamento del tono, il solito american dream, l'uso delle armi come sfogo contro le ingiustizie è patetico e forzato.
L'abbiamo fatta grossa ***1/2
(Italia 2016)
di Carlo VERDONE
con Antonio ALBANESE, Carlo VERDONE, Massimo POPOLIZIO
Durata: 1h e 52 minuti
Produzione e distribuzione: Filmauro / Universal Pictures
Uscita: 28 gennaio 2016
Dopo 24 film da regista, Carlo Verdone torna alla commedia intrisa con la spy story stile “I due carabinieri”. E non è un caso che a produrre ci sia Aurelio De Laurentiis, visto che recentemente (vedi “Natale con il boss”) la Filmauro sta puntando forte sulla commedia “gialla”. Per proseguire questo filone, sceglie di fare una sorta di “strana coppia” alla Lemmon-Matthau. Dopo “Il mio miglior nemico” con Silvio Muccino, ecco l'asso nella manica: Antonio Albanese, grande esponente della commedia all'italiana recente (vedere alla voce “Qualunquemente”). Dimenticate le ultime commedie verdoniane sull'Italia borghese (ad eccezione di “Posti in piedi in paradiso”). “L'abbiamo fatta grossa” è un film di rottura che fotografa la situazione di una buona fetta del nostro Paese attraverso (anche) le bellezze di Roma, immortalata da un bravo Arnaldo Catinari. Due comici diversi: Verdone è più da commedia realistica e sociale, Albanese invece è più funambolico, da botta e risposta.
In ogni caso sono due attori molto fisici, che parlano (e “masticano”) linguaggi un po' diversi. Ma il regista è Verdone che, come al solito, “pedina” puntualmente (e ironicamente) gli italiani replicando i loro vizi, le loro gang, le loro debolezze.
Questa volta al centro dell'inghippo ci sono l'attore Yuri Pelagatti (Antonio Albanese) e il detective Arturo Merlino (Carlo Verdone). Il primo dopo la separazione non ricorda più le battute in scena, mentre il secondo vive ancora a casa con la zia vedova. Il comune denominatore sono i soldi. Entrambi sono senza una lira. Pardon senza un euro. Yuri si affida a Arturo per pedinare l'ex moglie. Un giorno, per via di un equivoco, entrano in possesso di una misteriosa valigetta contenente un milione di euro in pezzi da 500. Particolare molto divertente e molto interessante da approfondire, visto che la maggioranza degli italiani non ha mai visto questa banconota. Tutti prendono questi “pezzi” per soldi falsi, tranne gli stranieri. Ma i loro guai sono finiti? Certo che no, sono appena iniziati! Carlo Verdone torna a far ridere, coadiuvato da un Albanese che sta al gioco e da un nutrito numero di caratteristi che da sempre sono stati fondamentali nel suo cinema. Tra questi cito il “cattivo” Massimo Popolizio (il mago del botox de “La grande bellezza”), la zia vedova di Virginia De Brescia e il cammeo del regista Giuliano Montaldo, ovvero l'ex generale in pensione che ingaggia il detective Merlino per ritrovare il gatto fuggito da casa. In ogni caso, come capita quasi sempre nelle opere di Verdone, la realtà alla fine torna ad essere protagonista (state attenti al finale). I personaggi sono immaginari, ma frutto di una realtà analizzata con grande cura da Verdone. Il film diventa una satira politica dell'Italia di oggi, in cui le brave persone o si cannibalizzano tra loro oppure rimangono sopraffatte dal sistema. Carlo è da sempre rimasto “catturato” dal degrado, dalla mancanza del senso civico del cittadino italiano (medio), dalla situazione attuale di Roma. Per lui è un colpo al cuore vedere la “Città Eterna” ridotta com'è. Rispetto alla comicità di Zalone è avanti anni luce perchè ha sempre avuto il colpo d'occhio, ha sempre saputo trovare le contraddizioni dell'Italia e del suo (spesso meschino) abitante.
D'accordo non sarà un capolavoro, ma nel grigiore delle ripetitive commedie all'italiana, Carlo Verdone è quasi sempre un antidoto contro il degrado. Si ride e si riflette. Una cosa non da poco, visti i tempi.
TOP La fotografia, l'amalgama della coppia Albanese – Verdone, i personaggi di contorno, i temi sociali, l' (implicito, ma voluto) omaggio del finale a Totò
FLOP Alcune cadute di stile da “cinepanettone Filmauro” (vedi il particolare della scena dei preti che stanno per entrare al solarium)
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Buona visione!
Nel corso della storia ci sono sempre stati oppressi ed oppressori.Nella categoria di questi ultimi troviamo la maggiore miseria umana.
Per il Bene ariano superiore: Aktion T4 e purificazione del popolo tedesco
La memoria ormai è diventata sempre più una grande mensola, piena di soprammobili, nel quale le persone si sbracciano e litigano per spolverare e lucidare quello che più gli è caro. Agitandoseli contro, per utilizzarli come armi e feticci nei vivaci confronti politici contemporanei. Ma la memoria è più simile a una lunga fila di scaffali nascosti, pieni di libri polverosi che racchiudono storie dimenticate; perché certi soprammobili sono più grandi e più costosi, quindi più importanti ed è giusto metterli nelle mensole dei nostri salotti di discussione, sempre pronti all’uso.
Lotte interiori, redenzione, ambizioni e tradimenti
Due grandi film questa settimana: la nuova fatica del premio Oscar Inarritu, "The revenant", e l'attesissimo "Steve Jobs" del premio Oscar Danny Boyle
Not to Disappear, convincente ritorno dei Daughter
In un gennaio segnato dai molti ritorni discografici d'eccellenza (fra gli altri: Tortoise, Suede, David Bowie, Ty Segall, The High Llamas, Savages) una menzione particolare la merita "Not to Disappear", secondo lavoro del trio londinese Daughter. Elena Tonra e soci, ripartano da dove li avevamo lasciati, da quel "If You Leave" del 2013 e da un sound dimesso e decadente, intimo e sofferto, costruito su avvolgenti atmosfere scarne ma raffinate. La cifra stilistica resta inconfondibile: tutto è abbandono e rinuncia, mentre lo slancio emotivo è continuamente smorzato da una rassegnazione patologica, costruita su sonorità fredde e fragili. La strumentazione è sempre al completo servizio della Tonra e del suo cantato dolce, oscuro, sognante.
Luigi Vinci dal numero cartaceo di Novembre
Lenin e la guerra
Il luglio del 1914 segna uno spartiacque storico: la guerra sconvolge l’Europa, ne spiazza il movimento operaio, che si era illuso di impedirla, lo rompe, determina un cambiamento radicale nella riflessione, negli orientamenti, nel comportamento delle sue correnti. Il movente scatenante della guerra fu l’attentato di Sarajevo da parte di un irredentista slavo-meridionale, che uccise l’erede al trono d’Austria-Ungheria e la moglie di questi. Il motivo politico sostanziale fu la tendenza espansionista delle maggiori potenze europee, cui si aggiungevano irredentismi italiani e una pluralità di irredentismi slavi che mettevano a repentaglio la tenuta austro-ungarica. Il motivo strutturale consistette nei mutamenti sostanziali del capitalismo. Nel corso della “lunga depressione” 1873-95 esso aveva generalizzato processi di gigantismo industriale, formazione di trust, integrazione tra finanza bancaria e industria, intervento anche finanziario dello stato nella in sede di politica industriale e infrastrutturale, ma anche nuove classi medie ggressivamente
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