Mercoledì, 29 Ottobre 2014 00:00

Parchi archeologici ieri o oggi; beni collettivi da salvare

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Troppo spesso nella disamina più o meno convinta del patrimonio storico-culturale, paesaggistico e archeologico sentiamo risuonare il termine “parco”. Nell’immaginifico quotidiano il parco è quasi un sistema chiuso, ben coibentato rispetto al mondo esterno, da sfoggiare in maniera estremamente consumistica durante determinate occasioni “rituali”.

Abbiamo tutti negli occhi la situazione in cui versa il patrimonio soprattutto per quel concerne il sistema parco archeologico. Se infatti i parchi naturalistici stanno con difficoltà immani, sulla gestione e sulla valorizzazione resistendo agli attacchi dei non-investimenti nel settore. La risorsa archeologica, “confinata” spessissimo in delittuoso stato di abbandono. 

Citare Pompei è veramente riduttivo e stucchevole, non perché il caso dell’antica città distrutta dall’eruzione del 79 d.C. sia fuori contesto; conosciamo tutti le difficoltà che quel sito affronta giorno per giorno al fine della mera sopravvivenza. L’attenzione può essere posta anche verso altre situazioni critiche che attraversano lo stivale e riguardano le collettività e la loro identità storica.

Nell’accezione di legge, cos’è un parco archeologico?

Sino al 2000 non era mai stata adottata una definizione normativa di "parco archeologico" se non da parte delle leggi regionali.  

Con circolare n. 12059 del 15.11.1990, il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, aveva per la verità chiarito che si deve intendere per Parco Archeologico un’area protetta nella quale, per la consistenza di presenze monumentali, può individuarsi e definirsi uno spazio di particolare valenza quale Museo all’aperto. Definizione certamente importante, dalla quale è originato un lungo dibattito tra gli addetti ai lavori, mentre, nella prassi e in legislazione, i termini parco, area, sito o zona archeologica continuavano ad essere usati indifferentemente.

Un parco archeologico richiede da questo punto di vista la presenza di un complesso monumentale antico, che deve realmente rappresentare l’elemento qualificante di un ampio paesaggio di contorno, caratterizzato a sua volta da proprie qualità ambientali.  Con la  redazione del Testo Unico 29 ottobre 1999, n.490, all’articolo 94 fu data la seguente definizione: "si intende per parco archeologico l’ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto in modo da facilitarne la lettura attraverso itinerari ragionati e sussidi didattici". 

Nel Testo Unico e nel Codice redatto nel 2004; come del resto può riscontrarsi anche nelle leggi che in questa materia sono state emanate nel corso del tempo dalle altre Regioni, è sostanzialmente assente ogni riferimento al “Parco Archeologico” come soggetto istituzionale.  

È questo un contributo del tutto originale della legge n.20 del 3 novembre 2000, emanata dalla Regione siciliana, la quale aveva del resto assunto una serie di precedenti determinazioni riguardanti i parchi archeologici (la normativa interessa ad esempio Il Parco archeologico di Agrigento).

L’esperimento del Parco Archeologico come soggetto “istituzionale” quindi come ente staccato rispetto alle normali soprintendenze, realizzato per l’appunto in Sicilia ad oggi risulta mancante di quel salto di qualità che ab origine si era immaginato.

Il modello di per sé risulterebbe virtuoso e garantirebbe sicuramente una migliore gestione di siti oggi praticamente abbandonati e non fruibili, permetterebbe l’accesso a finanziamenti (come quelli comunitari) ulteriori e indipendenti rispetto alle soprintendenze stesse, promuovendo un modello di sviluppo per la tutela, la valorizzazione  e fruizione sicuramente positivo. Purtroppo come spesso è accaduto per il settore dei beni culturali, il progetto sui parchi archeologici oggi si è praticamente arenato, non solo non ha coinvolto l’intero sistema statale ma anche in Sicilia, luogo di avvio del nuovo modello, l’iter ad oggi risulta piuttosto bloccato. Le prospettive iniziali risultano lungi dall’essere raggiunte. Intanto il nostro patrimonio versa lacrime, sulla terra su cui è posto, sulle sue stesse rovine testimoni di un glorioso passato, viventi in un difficile presente.

Andrea Incorvaia

Nato a Locri (RC), il 28 Febbraio 1988, attualmente vivo per studio a Pisa. Sono un allievo specializzando presso la scuola di specializzazione in beni archeologici dell’Università di Pisa, dopo essermi laureato in Archeologia nel 2012. I miei interessi spaziano dall’ambito culturale (beni storico-archeologici soprattutto), alla tutela e alla salvaguardia del paesaggio. Svolgo attività politica nella città che mi ospita e faccio parte di un sindacato studentesco universitario.

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