Sono stato personalmente in visita alla città romana, dove l’orologio è rimasto fermo a quel tragico 24 Agosto 79 d.C. Passeggiando per le antiche vie si percepisce la grandezza di una cittadina che aveva fatto le sue fortune sul commercio e sull’abilità economico-amministrativa dei suoi abitanti. Le innumerevoli domus presenti sono infatti il perfetto specchio della rappresentazione della “borghesia” arricchita di una cittadina di medie-piccole dimensione nella prima età imperiale. La preziosità di affreschi e mosaici narrano di un fervore artistico quasi unico, altra testimonianza di grandezza di tutta l’augustea Regio I (Latium et Campania). Attraversando gli spazi della villa dei misteri, della casa del Menandro, della casa degli Amorini o la casa di Lucrezio Frontone (solo per citarne alcune), è facilissimo notare, anche da “profani” quali meraviglie si celino tra qui cardi e decumani. La cornice poi è splendida, le belle giornate mostrano in tutta la sua feroce bellezza la sagoma del Vesuvio, in un conflitto eterno che sembra ancora riecheggiante.
E’ evidente che un bene culturale di questa portata attiri attenzioni, per così dire, globali. Le chiamerò di seguito “orde” non perché vedo necessità nel denigrare il turismo, utilizzando uno snobbismo da intellettualoide estremamente nocivo per analizzare il problema, piuttosto questo termine non risulta molto differente da quella che è la realtà. Flussi incredibili di persone tra le pareti affrescate in terzo/quarto stile, milioni di flash fotografie, superfici calpestate, solo per il gusto del selfie, per lo status su facebook o per narrare nel proprio curriculum vitae il più classico “io c’ero”. E’ chiaro che questa dinamica snatura tutto, il senso culturale perde completamente il suo significato sacrificando tutto sull’altare del bussiness e del marketing: ecco a voi il turismo globalizzato. Più volte si è detto che il Belpaese potrebbe ricavarci parecchio da uno sfruttamento del turismo e delle sue risorse storico-paesaggistiche, un motivetto che tutti noi abbiamo introiettato nelle nostre menti.
La verità è diversa: le “orde turistiche” non solo non aiutano la tanto paventata economia interna (visto soprattutto come sono gestite) ma rischiano, sovente, di fare dei danni serissimi. Una delle colpe peggiori dei flussi turistici globalizzati sta nel polarizzare i tour su determinate mete abbandonando tutto ciò che non è mediaticamente appetibile. Nient’altro che un cannibalismo che di culturale ha ben poco; del resto anche Salvatore Settis più volte ha ribadito questo concetto. Molto spesso queste città finiscono per diventare merce e snaturarsi Il turismo è diventata la prima industria del mondo, senza dubbio, soprattutto è l’unica che cresce e non conosce crisi, spesso purtroppo invece di fungere da volano per le comunità e i cittadini “indigeni”, esso ha comportato per molti luoghi il logoramento dell’ambiente, della cultura, e della vita stessa delle collettività autoctone, talvolta anche dell’economia locale completamente supina rispetto ai desideri del turismo di massa ( troppo spesso a beneficio solo di capitali esteri). L’impatto turistico resta fortissimo su alcuni luoghi, perché per natura l’economia massimizza i profitti. Risulta quindi evidente il bisogno di limitare, o per meglio dire moderare, la presenza antropica su luoghi che non la possono reggere, se non perdendo la loro originaria identità.
Il turismo allo stesso tempo non può e non deve essere una minaccia ma deve corrispondere ad un vantaggio. Un vantaggio che può e deve nascere dalla creazioni di percorsi ed itinerari dal basso che guardino più al piano locale che ad un piano macro-regionale escludente rispetto siti minori. Condividere in questo senso le risorse enogastronomiche, legandole alle bellezze storico-paesaggistiche all’interno di percorsi meno “altisonanti” accorciando la filiera del turismo, rendendolo quindi sostenibile ma assolutamente non meno interessante. Un turismo capace di cogliere sfumature e forme oggi, purtroppo, completamente invisibili. In un quadro per nulla rassicurante, sono tantissimi i siti che lamentano un degrado e abbandono altamente irritante. Per sbarrare la strada a questa degenerazione bisogna lavorare affinchè siano le stesse comunità a riappropriarsi del diritto all’esistenza cittadina a alla tutela della stessa. Un diritto sacrosanto valorizzando il luogo, non contando le banconote del tornaconto.