Lunedì, 25 Aprile 2016 00:00

Quando i paesaggi parlano

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L’ultimo intervento della giornata dedicata ai paesaggi, in particolare nel Dittico dei Duchi di Pier della Francesca e nella Gioconda di Leonardo da Vinci, organizzata all’Istituto francese, è provenuto da due ricercatrici, Rosetta Borchia, artista e naturalista e Olivia Nesci, Professore di Geomorfologia, presso il Dipartimento di Scienze Pure e Applicate Sezione "Geobiologia, Patrimonio Culturale e Analisi del Paesaggio", dell'Università di Urbino. Costoro si autodefiniscono, al di là dei rispettivi titoli, “delle cacciatrici di paesaggi”. Il loro lavoro è durato dieci anni e l’intento di questo progetto era cercare prove materiali della realisticità, della topografia e della fisicità dei paesaggi che appunto adornano le suddette opere. Si tratta cioè di paesaggi fisici, reali, riconoscibili in un determinato territorio. Tale individuazione è iniziata, raccontano

le due appassionate e soprattutto molto competenti ricercatrici, partendo da una collina che compare sullo sfondo del dittico dei Duchi. Questa collina la si può ben riconoscere in una collina che fa parte del territorio dell’Urbinate, molto somigliante al piccolo rilievo che appare sotto il mento del Duca di Montefeltro. Siamo nel Centro Italia dunque, nell’antico territorio dell’ex Ducato di Urbino. Si tratta di un territorio che Pier della Francesca percorreva soventemente per andare da San Sepolcro (passando appunto da Urbino) fino a Rimini, alla corte dei Malatesta. Lungo questi percorsi si sono ritrovati alcuni dei suoi paesaggi dipinti; non solo quello del suddetto dittico, ma anche quello della Natività, del Battesimo di Cristo, del San Girolamo con un devoto e della Resurrezione. Nella vallata del fiume Metauro ad esempio, la collina chiamata Monte Fronzoso è la stessa del dipinto con il Duca di Montefeltro. Si ritrova infatti la stessa morfologia, lo stesso paesaggio. Durante gli anni di questo lungo progetto sono stati ricostruiti le strade, la morfologia del territorio e anche gli eventi naturali storici che ne hanno modificato l’assetto geomorfologico. Ovviamente infatti, dopo 500 anni un paesaggio può notevolmente cambiare conformazione e fisionomia, sia a causa dei mutamenti climatici, sia a causa di massicci e a volte devastanti interventi umani. È per questa ragione che elementi presenti nel quadro di Piero della Francesca non sono riscontrabili nel paesaggio attuale, come ad esempio la presenza – nel dipinto – io di un lago che oggi non c’è. Grazie a determinati studi è stato però possibile ricostruire il motivo dell’estinzione di tale lago. Infatti si è scoperto che si trattasse di un lago antropico: Montefeltro era un appassionato di caccia e aveva voluto creare una superficie lacustre artificiale, chiusa con delle specie di saracinesche, per attirare gli uccelli. Oggi, al posto di questo lago di origine antropica, troviamo una zona formata da casette residenziali a schiera..questo a dimostrazione di quanto possa esser radicale la trasformazione di un territorio (in cui appunto prima c’era una zona lacustre e non urbanizzata) da parte dell’azione dell’uomo, che a volte (o anche molto spesso), causa scempi irrimediabili all’assetto ambientale e paesaggistico del luogo. Molte delle informazioni utili al rilevamento e alla ricostruzione del territorio e del paesaggio originari provengono da alcuni dipinti di artisti minori che non lavoravano per grandi corti ma per le piccole curie locali, che nel momento in cui dovevano rappresentare un paesaggio, sceglievano quello a loro più vicino e conosciuto. In una fotografia che riporta un disegno di un anonimo del cinquecento che rappresenta il “Ponte del Riscatto”(a Urbania) si nota proprio una parte della saracinesca che doveva servire a chiudere il lago.

Non solo artisti minori comunque sono stati funzionali alla ricostruzione dei luoghi; anche autori della portata di Raffaello lo sono stati. Quest’ultimo ad esempio ha rappresentato in due predelle gli stessi fondali paesaggistici che si trovano sullo sfondo dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca. Quest’ultimo, secondo le due ricercatrici, è stato il primo grande topografo della storia. Egli aveva infatti compreso che la rappresentazione del rilievo (una collina, un monte..) doveva essere fatta “a volo d’uccello”, con una proiezione in piano (che è il principio della topografia). Emblematica di tale intuizione è stata la creazione di balconi che riproducono fisicamente il punto di vista, la prospettiva, che aveva assunto l’artista al momento di dipingere i suoi paesaggi, così che abbiamo la concreta possibilità di trovarci sul suo punto di proiezione, che appunto è una proiezione “ a volo d’uccello”, tipo una veduta aerea.
Tornando al territorio in questione (quello, come precedentemente detto, dell’ex ducato di Urbino), sappiamo quanto questo fosse famoso: fu, tra le altre cose, sede della battaglia del Metauro, avvenuta durante la seconda guerra punica tra Roma e Cartagine e che vide la sconfitta di Asdrubale Barca da parte di Nerone (e poi successivamente di Annibale da parte di Scipione l’africano nella memorabile battaglia di Zama, del 202 a. C.).
La collina di San Pietro è identica a quella che compare nel dittico di Piero della Francesca, anche se frane e alluvioni hanno modificato o addirittura cancellato gran parte del resto del paesaggio. Nonostante ciò ogni collina è stata comunque individuata e riconosciuta.
Della vita di Piero della Francesca sappiamo ben poco. Una recentissima scoperta fatta da una paleografa che ha esaminato alcuni antichi documenti notarli, ha dimostrato che dei Della Francesca avevano delle proprietà nella Valle dei Trionfi (presente nel dittico) che confinava con i territori di Bramente. Queste proprietà rimangono della famiglia dei Della Francesca fino al 700, anche se ancora non sappiamo che tipo di rapporti di parentela esistessero con Piero.

Riveniamo al dittico: vi si notano tre distinti paesaggi, che, se sommati insieme, forniscono l’intero ducato di Urbino. Quindi sembra proprio di assistere a un progetto pensato e realizzato a tavolino, con l’intento cioè, da parte dei Duchi di Urbino, di tramandare il proprio territorio ai posteri.

Passiamo adesso all’analisi del paesaggio presente alle spalle della Gioconda nell’omonimo quadro di Leonardo. Come abbiamo scritto anche in un precedente articolo sul medesimo convegno, uno dei principi della ritrattistica rinascimentale era il seguente: il fondale si identifica sempre con il personaggio ritratto.
Uno dei più grandi storici di Leonardo, Perrig, ha scritto nel suo trattato: “il paesaggio della Gioconda è legato alla persona ritratta, così come il paesaggio è legato ai Duchi di Urbino nel dittico di Pier della Francesca”.
I paesaggi di Leonardo sono una via di mezzo tra la rappresentazione a volo d’uccello e una cartina topografica; quindi una via di mezzo tra un disegno di paesaggio dal vero e una pianta topografica. Leonardo da Vinci infatti, come per tutte le cose, si dedicava minuziosamente non solo a uno studio dal punto estetico del paesaggio ma proprio a uno studio di tipo rigorosamente scientifico: si trattava di uno studio soprattutto dal punto di vista dell’evoluzione morfologica del paesaggio.
Grazie a esperimenti e studi di tipo geomorfologico, storico e di riproduzione tecnica, archeologica, modellistica e tecnologica (attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti informatici e digitali più precisi) è stato possibile studiare il paesaggio del 1500 di Leonardo. È stato comunque molto difficile ricostruire il paesaggio leonardesco e soprattutto accedere ai suoi studi perché il geniale artista aveva secretato i propri codici (contenenti appunto i suoi studi, le sue ricerche e le sue scoperte).
Il paesaggio preso in esame comprende un territorio molto esteso, ovvero, di nuovo, il vasto territorio del Ducato di Urbino e in più una parte di Toscana. Per poter inserire tutto questo enorme spazio in un piccolo quadro come è quello che campeggia alle spalle della Monna Lisa, Leonardo ha dovuto servirsi dello strumento della “compressione”, riducendolo fortemente attraverso appositi calcoli matematici. Ciò ha reso ancor più difficile il riconoscimento del paesaggio, il quale, compressato, logicamente cambia in maniera notevole. Ciò non ha comunque impedito la sempre il sempre più sofisticato confronto tra il paesaggio dipinto e il territorio reale.
Ciò che risulta inoltre sorprendente se ci soffermiamo attentamente sui dettagli di questo paesaggio è il fatto che Leonardo avesse già ben chiaro che le differenze strutturali di elementi del territorio dipendono da diversi processi geomorfologici. Ad esempio possiamo notare delle tessiture o macchie particolari in alcuni degli elementi raffigurati: queste stranezze indicano che in quelle zone ci fossero delle grandi frane, che Leonardo aveva già intuito esserci, o comunque egli aveva intuito che queste corrispondessero appunto a dei processi geomorfologici differenti rispetto al resto del paesaggio.

Le due ricercatrici hanno scoperto, nonostante appunto la difficoltà di individuazione dovuta anche al fenomeno di compressione apportato da Leonardo, che il paesaggio alle spalle della Gioconda, è identificabile con quello della Valmarecchia: siamo sullo spartiacque appenninico, alla confluenza tra il fiume Marecchia (il cui nome ne richiama la potenza) e il fiume Senatello, territorio oggi appartenente alle Marche, all’Emilia Romagna e in parte alla Toscana.
Nel quadro di Leonardo in realtà è presente un ponte che oggi non c’è più. Nei primi del ‘500 questo ponte collegava località strategicamente importanti: da Pennabilli (capitale religiosa del Montefeltro) all’alto Appennino. Il ponte è andato distrutto a causa dell’esondazione del Marecchia, comprovata da ricerche storiografiche e geomorfologiche.

Grazie all’interesse e alla costanza delle due ricercatrici si è potuto fare un confronto serrato ed estremamente minuzioso tra tutti i profili e gli elementi paesaggistici dipinti e quelli reali. Laddove certi elementi non ci sono più fisicamente, si è potuto comunque ricostruirne la presenza, anche supportati dalla toponomastica di certe località che sorgono o sorgevano in quel territorio: ad esempio, nel quadro di Leonardo si vede un lago che invece oggi non vi è più, ma attraverso la ricerca toponomastica e attraverso testimonianze scritte o tramandate e che arrivano fino ai giorni nostri, si sa che quella zona era una zona piena di acqua; dunque anche un’originaria presenza di un lago risulterebbe piuttosto probabile.
Molti degli indizi e delle scoperte provengono dal cosiddetto “Codice P”, che comprende cinque codici leonardeschi oggi conservati alla Royal Library che rimandano insistentemente e perfettamente al paesaggio della Gioconda: compaiono infatti forme, elementi e rilievi tipici che Leonardo aveva riprodotto in maniera accuratissima e precisa, tanto da poter dichiarare che se Piero della Francesca può esser considerato il primo topografo Leonardo fu sicuramente uno dei primi geologi, oltre ad essere stato tanto altro ancora, se non praticamente tutto!

In primo piano, a sinistra della Gioconda, compaiono due rupi e una strada (che oggi non c’è più, in quanto si tratta di un territorio straordinario ma molto fragile e geomorfologicamente modificatosi nel tempo): grazie a disegni ideografici e confronti anche tecnologicamente sofisticati, è stato possibile riconoscere in maniera dettagliata quel settore. Si sono potute riprodurre infatti addirittura le fratture sui monti, i massi franati, il sasso Simoncello (a destra), i torrioni (prodotti dal calcare fratturato) e altre fratture che hanno provocato il franamento di tutto il settore.
Ma giungiamo, avvicinandoci alla conclusione, all’enigmatica protagonista de quadro, la cosiddetta Gioconda o Monna Lisa. Per molti anni si è pensato (basandosi sulle affermazioni del Vasari) e si pensa ancora, che si tratti di Luisa Gherardini, moglie del fiorentino Francesco del Giocondo che ne avrebbe commissionato il ritratto a Leonardo. Se però teniamo per vero il motto cinquecentesco secondo cui la persona ritratta ha sempre a che fare con il paesaggio che le fa da sfondo, cosa c’entrerebbe mai il territorio dell’Urbinate dietro la moglie del Giocondo, essendo, sia lei che il marito fiorentini?
Innanzitutto va premesso che Leonardo conosceva bene il territorio dell’ex Ducato di Urbino, lo aveva studiato e tra il ‘1502 e il 1503 vi aveva lavorato a seguito di Cesare Borgia (detto il Valentino), come sovrintendente delle costruzioni militari, e vi era tornato nel 1516 durante un viaggio da Roma a Bologna fatto con Giuliano de’ Medici e con Papa Leone X, fratello del primo.

Grazie alle ricerche dello storico Roberto Zapperi si è potuto dare una nuova e forse più appropriata identità alla presunta Gioconda, venendo a scoprire che la dama era una donna di Urbino. Secondo gli studi dello storico, Giuliano de’ Medici, amante della vita e delle donne, venuto ad Urbino alla corte di Guidobaldo da Montefeltro, presso cui rimase una quindicina di anni, si invaghì perdutamente di una delle dame di corte, Pacifica Brandani da cui ebbe un figlio. Purtroppo a dieci giorni dal parto la donna muore e Giuliano torna a Firenze con il bambino, Ippolito, che verrà affidato allo zio, Papa Leone X, fratello di Giuliano. All’età di circa quattro anni il pargolo comincia a sentire una forte nostalgia materna, piange di continuo e chiede insistentemente al padre dove sia la sua mamma. A questo punto Giuliano avrebbe allora chiesto a Leonardo di ritrarre una donna per poter dire al figlio che quella donna dipinta era sua madre. Ciò spiegherebbe la scelta di rappresentare il paesaggio dell’Urbinate alle spalle della figura ritratta, dato che Pacifica era di quelle zone. Anzi, ancora meglio: nel quadro infatti non compare soltanto la zona di provenienza della madre e del bambino ma anche quella di Giuliano, ovvero la parte di Toscana, così da simboleggiare l’unione della terra di Pacifica (Urbino) con quella di Giuliano (Firenze) e il legame d’amore tra i due.
Questa nuova scoperta spiegherebbe il nesso tra paesaggio e personaggio ritratto (con sono sempre in sintonia) e porterebbe una nuova luce sulla dama arcinota, forse erroneamente identificata con Luisa Gherardini del Giocondo. Verrebbe, almeno a me, un’unica obiezione, benché forse poco significativa. Se davvero la donna dipinta da Leonardo doveva incarnare una figura materna, come si spiega la ricercata (Leonardo non lasciava niente al caso) ambiguità ed enigmaticità del volto e del sorriso della donna, che poco hanno di materno, dolce, candido o protettivo? Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che Leonardo, chiamato a lavorare alla corte di Parigi, si portò il quadro non finito con sé e quindi è possibile che altri fattori abbiano determinato poi dei cambiamenti rispetto all’intenzione iniziale di rappresentare una figura materna. Forse la Gioconda sarà per sempre destinata ad aleggiare nel mistero e a porre infinite potenziali domande, ma sicuramente un lavoro complesso e approfondito come quello delle due ricercatrici, ha acceso fari importanti e luminosi sulla lettura e l’interpretazione di questa opera straordinaria e immortale.

Ultima modifica il Domenica, 24 Aprile 2016 22:12
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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