Giovedì, 07 Dicembre 2017 07:00

Il Rigoletto al Carlo Felice di Genova

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Dopo l'apertura della stagione con il musical “West Side Story” sono tornati mercoledì al Carlo Felice di Genova (con un'ottima presenza di pubblico) la grande lirica e l'immenso genio di Verdi con Il Rigoletto, opera non rappresentata nel capoluogo ligure dal 2013 (repliche fino al 29 dicembre) e forse uno dei più noti lavori della coppia Verdi-Piave.
Il soggetto è tratto da una sfortunata tragedia di Victor Hugo, Le roi s'amuse, storia di un re libertino (Francesco I) e colpita per questo dalla censura di una Francia tornata monarchica. Analogo destino stava per cogliere anche l'opera verdiana se non fosse intervenuto un provvidenziale, e tutto sommato marginale, cambio di tiro: il re diventa un duca, la Francia diventa la Mantova dei Gonzaga ed i severi censori austriaci concedono il via libera al libretto di Piave (la prima assoluta si terrà proprio, nel 1851, nella Venezia asburgica).


L'opera si apre con il Duca (Antonio Gandía, Tenore) che aspira ad un'avventura con una misteriosa “bella incognita borghese” che da tre mesi vede in chiesa. La giovane abita in un “remoto calle” ed il sovrano di lei sa solo che in casa sua “misterioso un uom vi entra ogni notte”. Non può che essere un amante per il cortigiano Borsa (Aldo Orsolini, Tenore) che subito però distrae il Duca (“Quante beltà! Mirate”). La corte è infatti piena di magnifiche dame che il Duca ama senza trasporto perchè “questa o quella per me pari sono a quant'altre d'intorno, d'intorno mi vedo, del mio core l'impero non cedo meglio ad una che ad altra beltà”.
Parole tanto struggenti quanto false (“la fiamma d'amore inebria, conquide, distrugge il mio core”) il Duca rivolge per conquistarla anche alla Contessa di Ceprano, causa, a sua insaputa, delle future sciagure di Rigoletto.
Il buffone di corte Rigoletto (Leo Nucci, Baritono mentre Carlos Alvarez calcherà le scene nelle ultime repliche) infatti irride il Conte suo sposo (Giuseppe De Luca, Basso) per le sue corna rallegrando i presenti (una certezza il coro diretto da Franco Sebastiani).
Ma i nobili, annoiati, ridono anche del giullare. Marullo (Claudio Ottino, Baritono) comunica ridanciano alla corte la sua scoperta. In casa Rigoletto ha una donna: un'amante di certo (“Il gobbo in Cupido or s'è trasformato”).
Ritorna in scena il Conte di nuovo irriso da Rigoletto che addirittura proprone al Duca di far decapitare il cortigiano per poter meglio aver accesso alla moglie (“Che far di tal testa? A cosa ella vale?”).
L'eccesso però, se fa ridere il Duca, spinge Ceprano a meditare vendetta spalleggiato da Borsa e Marullo (“Contr'esso un rancore pei tristi suoi motti, di noi chi non ha?”).
Il buffone, sicuro della protezione del Duca, con maligna caricatura prende in giro anche un nobile caduto in disgrazia, il Conte di Monterone (Stefano Rinaldi Milani, Baritono), che ha l'ardire di protestare per l'onore violato della figlia. Arrestato, Monterone maledice il Duca e Rigoletto: “Slanciare il cane a leon morente è vile, o Duca... e tu, serpente, tu che d'un padre ridi al dolore, sii maledetto!”.
Rigoletto torna a casa (stupendo l'allestimento anche se il cambio scena è sembrato eterno) con ancora nelle orecchie la maledizione di Monterone (“Quel vecchio maledivami!”): padre ferito come padre è lo stesso buffone. Quella che Marullo infatti credeva l'amante del giullare altri non è che la figlia.
Nel buio della calle a Rigoletto si avvicina Sparafucile (Dario Russo, Basso), un assassino di professione che per venti scudi si dice certo di poter assicurare la tranquillità dei suoi clienti (“Soglio in cittade uccidere. Oppure nel mio tetto. L'uomo di sera aspetto, una stoccata e muor”). Rigoletto per il momento lo congeda ma nel contempo si informa su dove potrà trovarlo al bisogno.
La maledizione di Monterone infatti non abbandona la sua mente ed è solo l'ultima in ordine di tempo delle brutture che affliggono il gobbo. A Rigoletto è tolto il pianto, il suo destino è di far ridere se così è comandato e null'altro può, perché “difforme”, fare della sua vita. Unica gioia (“Culto, famiglia, patria. Il mio universo è in te!”) è la giovane e bellissima figlia Gilda (Maria Mudryak, Soprano mentre nelle ultime repliche sarà Serena Gamberoni), frutto di un amore concesso per pietà (“Solo, difforme, povero... per compassion mi amò”) da chi ormai non è più al mondo.
Gilda è chiusa in casa (“Già da tre lune son qui venuta, né la cittade ho ancor veduta”) perché “qui d'un buffone si disonora la figlia, e ridersi...” ed unico suo svago è quella messa che le ha fatto incontrare quell'ignoto bel giovane che non sa essere il potente Duca.
Preoccupato che qualcuno possa rapirle l'unico suo bene Rigoletto affida la donna alla custodia, poco efficace, di Giovanna (Anna Venturi, Mezzosoprano): “Veglia, o donna, questo fiore che a te puro confidai”.
Appostato presso la casa è però il Duca che apprende con stupore che Gilda non è l'amante del suo buffone ma la sua unica figlia. Nessun moto di pietà però fa desistere il tiranno dal suo intento. Mascherato in abiti borghesi, avvezzo ad incantare le donne (“E' il sol dell'anima, la vita è amore, sua voce è palpito del nostro core...”), l'uomo che Gilda ha visto in chiesa e che, pur non conoscendolo, sente di amare si presenta non come sovrano ma come Gualtiero Maldè, studente e povero (perfetto qui il duetto tra i due protagonisti e fresca la voce della Mudryak nella scena successiva, da sola, dove è sicura anche negli istanti senza musica). Allontanatosi il Duca i congiurati radunati da Ceprano son pronti al delitto: rapire quella che credono l'amante di Rigoletto e vendicarsi così delle sue cattive prese in giro.
Rigoletto torna nuovamennte verso casa, con fatica riconosce Marullo, il quale con prontezza racconta al buffone una frottola: la piccola folla è lì per rapire la Contessa di Ceprano. Il giullare soddisfatto si unisce ai congiurati, viene mascherato con un fazzolletto e messo a reggere la scala che crede serva per accedere al palazzo dei Ceprano. Marullo e gli altri “zitti, zitti... cheti, cheti” penetrano in casa di Rigoletto (che “la benda cieco e sordo il fa”) e in men che non si dica portano via al buffone quella che ancora credono sia la sua amante.
Marullo, Ceprano e gli altri rapitori (siamo all'inizio del secondo atto) soddisfatti raccontano al Duca la loro prodezza. Il Duca, che poco prima afflitto e solo si lamentava di non aver trovato la sua Gilda in casa (“Ella mi fu rapita! […] Schiuso era l'uscio!... e la magion deserta!”) rinviene come d'incanto: per uno scherzo del destino la donna che lui voleva conquistare e la donna rapita dai cortigiani è la stessa.
Rigoletto torna al palazzo, come se nulla fosse egli deve far ridere i nobili che gli hanno tolto ciò che per lui era “culto, famiglia, patria”. Il giullare la cerca fingendo indifferenza (“la ra, la ra, la ra...”. Ottimo anche nella presenza Nucci col suo vagare saltellante ed inquieto in un una scena che più di ogni altra spezza il cuore dalla tristezza) e scopre che ella è col Duca.
I congiurati ridono perché “se l'amante perdesti, la ricerca altrove” ma Rigoletto non si nasconde più: Gilda è sua figlia (“la mia figlia... D'una tal vittoria... che? Adesso non ridete?”).
Il buffone minaccia i nobili (“nulla in terra più l'uom paventa, se dei figli difende l'onor”), poi li implora (“perdono... pietate... al vegliardo la figlia ridate...”) ma essi fermi, immobili, non rispondono al giullare che vaga disperato tra di loro (azzeccatissima qui la scelta di regia di Panerai che è riuscito con questa semplice fissità della folla ad accrescere la drammaticità della scena).
Il difforme Rigoletto ha perso anche l'onore. Tardi è oramai per Gilda che non ha il coraggio di parlare (“Arrossir voglio innanzi a voi soltanto...”) e che è ricomparsa agli occhi del padre dopo essere passata per il talamo del Duca.
Lasciati soli dalla corte Gilda confessa di aver nascosto al padre che in chiesa “bello e fatale un giovine offriasi al guardo mio” e che egli si era presentato come studente e povero finché allontanatosi “improvvisi apparvero color che m'han rapita”.
Rigoletto non può che confortar la figlia ma ecco che appare Monterone: Rigoletto e Gilda, nascosti, lo vedono condotto dalle guardie verso la prigione. Il Conte constata che la maledizione rivolta al Duca è stata vana ma è Rigoletto che a questo punto si proclama giustiziere (“No, vecchio t'inganni... un vindice avrai!”) e a nulla valgono le implorazioni della figlia: “Mi tradiva, pur l'amo, gran Dio! Per l'ingrato ti chiedo pietà”.
Pur rapita, pur disonorata, pur offesa, Gilda non vuole che al Duca sia fatto del male. In questa potente scena (buona la direzione di Ciampa) che chiude il secondo atto Nucci e Mudryak fanno venir giù il teatro dagli applausi e regalano un bis altrettanto gradito.
Si apre il terzo atto: cupa e tempestosa è la notte. Rigoletto e Gilda sono presso la casa di Sparafucile, il bandito che il giullare ha finalmente deciso di assoldare per uccidere il Duca. L'assassino ha con cura teso la trappola: convinto dalle forme della bella sorella Maddalena (una magnifica Anastasia Boldyreva, Contralto) il Duca senza sospetto entra nella casa di colui che per venti scudi gli dovrà togliere la vita.
“Tua sorella e del vino...” dice il Duca a Sparafucile. Gilda sembra capire che “Son questi i suoi costumi!” che ella altro non è stata che una delle tante avventure che riempiono le noiose giornate del sovrano.
“La donna è mobile...”: così infatti esprime la sua filosofia il bel Duca, così diverso nelle parole e nei gesti da quel Gualtiero che professava struggente amore. Il Duca canta le bellezze della prostituta per lo sgomento di Gilda che è sulla via (“Infelice cor tradito, per angoscia non scoppiar”) e che pronto il padre fa partire (“per Verona”) mentre egli rimane in attesa che il sicaro compia quanto pattuito.
Rigoletto paga a Sparafucile la metà della somma stabilita per il crimine. Tornerà a mezzanotte per gettare egli stesso il cadavere nel fiume. Qualcosa però va storto: Maddalena, mentre il Duca preso dal vino si riposa, confessa al fratello che ne ha pena e propone che violi il patto con il suo cliente. “Somiglia a un Apollo quel giovine... io l'amo... ei m'ama...” dice Maddalena prendendo tempo, poi propone, suscitando rabbia nel fratello (“Un ladro son forse? Un bandito? […] Mi paga quest'uomo... fedele mi avrà”) di uccidere chi lo ha assoldato, prendere i soldi e lasciare vivo il giovane.
Gilda, nel contempo, lungi dall'essere partita per Verona ritorna presso la casa di Sparafucile e qui ascolta il terribile piano che pur riottoso il sicario ha ideato: se entro mezzanotte non sarà da lì passato nessuno egli ucciderà il Duca altrimenti dentro il sacco pronto per essere gettato al fiume finirà il malcapitato passante. Sparafucile può così far contenta la sorella ed ingannare Rigoletto che in quella notte buia non potrà capire che dentro il sacco non c'è il Duca.
Gilda però ha deciso e lucidamente, udito il piano, bussa alla porta dell'assassino e si immola per colui che nonostante tutto ama.
E' mezzanotte, Rigoletto ritorna alla casa di Sparafucile per saldare il conto e compiere lo sfregio verso il cadavere dell'odiato Duca. Il sacco è pronto, il buffone paga soddisfatto: “Quest'è un buffone, ed un potente è questo!” dice rimasto solo indicando il corpo immobile e celato che crede appartenga al suo nemico.
Pronto a trascinare il sacco dove “è più profondo il gorgo” sente però la voce del Duca provenire dalla casa. “La donna è mobile..” canta il Duca uscendo - ignaro di tutta la trama - con la bella Maddalena.
Il buffone capisce di essere stato ingannato ed apre il sacco, dentro c'è la sua amata figlia, viva ma per poco ancora (“L'acciar... qui mi piagò...”) che non pentita svela al padre la sua scelta: “V'ho ingannato... colpevole fui... l'amai troppo... or muio per lui!”.
Rigoletto è disperato, la sua sete di vendetta ha finito per colpire il suo unico bene, la sua Gilda - che pur avendo udito di che pasta era fatto il Duca, che pur disonorata ed infine tradita - ha scelto di sacrificarsi per colui che, all'oscuro di tutto, con la mente e con il corpo era perso tra le forme di un'altra donna.
“Gilda! Mia Gilda! E' morta!... Ah! La maledizione!”. Si chiude il siparo e quella maledizione alla fine ha colpito colui che aveva riso dell'onore ferito di un altro padre.
Ha vinto l'amore: l'amore folle, l'amore per chi non lo merita, l'amore di una donna per uomo e non quello di un padre per la figlia, ma ha pur sempre vinto l'amore.

Detto degli interpreti e di una regia che è apparsa perfetta e mai ridondante un plauso particolare meritano le luci (Luciano Novelli) mai piatte e sempre valorizzanti la scena (come nel terzo atto) o i protagonisti (è il caso dell'opportuna scelta che sull'ouverture illuminando il solo Rigoletto lasciava già presagire la sua futura sventura). Particolarmente elaborati i costumi (Regina Schrecker) specialmente l'abito da lavoro di Rigoletto ed il provocante rosso che ha vestito la bella Maddalena. Applausi ha ricevuto dal pubblico l'allestimento (al terzo atto nello specifico ed è cosa rara che avvenga) anche se come detto il cambio scena del primo atto è durato veramente troppo. Tecnicamente ben eseguita la direzione di Ciampa e sempre ottime sono state le parti corali (in quest'opera meno presenti che in altre).
In conclusione un'opera che merita di essere vista e che per tre ore ci fa perdere nella lucida follia dell'amore.

Nella foto Gilda (Maria Mudryak) e Rigoletto (Leo Nucci). Foto Marcello Orselli - Teatro Carlo Felice

Ultima modifica il Giovedì, 07 Dicembre 2017 16:31
Roberto Capizzi

Nato in Sicilia, emiliano d'adozione, ligure per caso. Ha collaborato con gctoscana.eu occupandosi di Esteri.

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