Nel nostro viaggio tra le prime del Teatro Carlo Felice di Genova il Falstaff andato in scena ieri sera merita una menzione speciale per la regia moderna del maestro Ronconi (ripresa da Marina Bianchi) sposata con una scenografia (opera di Tiziano Santi) tutto movimento nella quale elementi proto-industriali conferiscono all'insieme, proprio per la loro metallicità, un'atemporalità esaltata dall'ingrediente-sogno della sospensione, da un improvvisato pulpito, del Dottor Cajus o dall'ingresso di una vasca da bagno contenente l'oggetto del desiderio che svanisce lentamente come è comparsa.
Sir John, questo mancato tombeur de femmes che ride delle beffe ordite contro di lui nella consapevolezza del “mal comune mezzo gaudio”, è stato reso magistralmente, in un'opera tutt'altro che facile, dall'esperto baritono spagnolo Carlos Alvarez, che merita una menzione speciale per non aver perso lucidità e concentrazione quando un piccolo black out ha costretto a riprendere la seconda scena del terzo atto. Il pubblico del Carlo Felice non ha fatto mancare il proprio sostegno al baritono.
Beniamino del pubblico anche il giovane, ma oramai consolidato, Andrea Battistoni le cui bacchette hanno scandito insieme al pubblico quel “dalle due alle tre” vero colpo di genio nel coinvolgimento emotivo del pubblico emanato dalla penna di Verdi.
Ottima anche la prova femminile in un'opera che dà poco spazio a momenti individuali per le cantanti del gentil sesso. Alice Ford (Rocío Ignacio, soprano); Nannetta (Leonore Bonilla, soprano); Mrs. Quikly (Barbara Di Castri, mezzosoprano) e Meg Page (Manuela Custer, mezzosprano) hanno garantito una coralità senza sbavature e piena di passione. Sicurezza scenica e grande voce anche per il baritono Alessandro Luongo (Ford) e per Fenton, il tenore Pietro Adaìni, protagonista di quel momento di poesia che è “dal labbro il canto estasiato vola”. Certo il risultato comico del duo Bardolfo/Pistola: rispettivamente il tenore Marcello Nardis ed il basso Luciano Leoni.
Nulla è come sembra nel Falstaff: le maschere non nascondono nulla di malvagio e gli intrecci si risolvono con buona pace di tutti. Non ci sono buoni o cattivi in Verdi e forse nemmeno nella vita. Probabilmente è per questa visione sfumata del mondo che il “dannato epicureo” continua a regalarci risate e riflessioni: anche dopo 123 anni.
Nella foto Carlos Alvarez e Rocio Ignacio - fotografo Marcello Orselli, Teatro Carlo Felice.