Joachim Langeneck, dottorando in biologia presso l'Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell'ambito dell'etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.
Non c’è scampo dai gamberi
Una specie invasiva getta luce sull’evoluzione di nuove specie
Quando nei primi anni ’90 il gambero marmorizzato comparve all’improvviso nei negozi di animali di gran parte della Germania, nessuno ne fu particolarmente sorpreso. Sappiamo che molti crostacei, anche di grandi dimensioni, sono ancora sconosciuti alla scienza: alcune specie di granchio terrestre, popolari da decenni tra gli appassionati, sono state descritte soltanto l’anno scorso1.
Tuco in Love – la subdola rivoluzione di un’opera western
Grazie al gradito dono di un abbonamento all’opera da parte di un’anziana amica di famiglia ho avuto la possibilità di andare a vedere una serie di opere di cui per essere del tutto onesto non mi sarei scomodato a pagare il biglietto. La prima è stata l’Iris di Mascagni – e la mia idea che non valga i soldi del biglietto ne esce immutata. Domenica scorsa è stato il turno della Fanciulla del West di Puccini – un autore che per qualche motivo ho sistematicamente sottovalutato, e per quanto la resa sia stata tutto men che perfetta, l’opera è senza dubbio una di quelle che val la pena di vedere, tanto per il suo innegabile valore musicale, quanto per degli interessanti aspetti nella caratterizzazione dei personaggi.
Se Carmen non muore – il politicamente corretto e la cultura silenziata
Si racconta che Lee Van Cleef, durante le riprese di “Il buono, il brutto, il cattivo”, si trovava estremamente a disagio nella scena in cui il personaggio che interpretava, il sociopatico assassino Sentenza, picchia una prostituta, interpretata da Rada Rassimov. Questo disagio rendeva la scena assolutamente non credibile, al punto che la Rassimov stessa dovette incitarlo a picchiarla in maniera più convincente; la versione finale della scena in questione non mostra nulla delle riserve di Van Cleef. Questo significa che Van Cleef sia riuscito ad essere un uomo violento, o che “Il buono, il brutto, il cattivo” sia apologetico nei confronti della violenza sulle donne? No. Significa semplicemente che Van Cleef era un ottimo attore, che è riuscito ad interpretare una scena credibile di un ottimo film tenendone fuori il suo disagio personale.
Il recente ritrovamento di un cucciolo di leone delle caverne perfettamente conservato nel permafrost per più di 20.000 anni ha riportato alla ribalta un tema controverso, ossia la possibilità di riportare in vita specie estinte attraverso la clonazione. Se fino a qualche anno fa questa possibilità era relegata all’ambito della letteratura fantascientifica, le tecniche molecolari sono giunte a dei livelli tali da renderla uno scenario plausibile. Tuttavia, prima di immaginare che Jurassic Park divenga realtà, è il caso di prendere in considerazione alcuni elementi cruciali.
Scimmie europee e uomini africani
quando la paleontologia si interseca con la politica
È notizia degli ultimi giorni la scoperta da parte di un team di paleontologi tedeschi di uno strano primate preistorico che secondo gli scopritori mostrerebbe singolari affinità con gli ominidi ominini e in particolare con i generi Ardipithecus e Australopithecus pur essendo molto più antico di tali fossili (9,7 milioni di anni, contro i circa 5 degli Ardipithecus e i poco meno di 4 degli Australopithecus). La scoperta sarebbe eclatante, non tanto e non solo perché retrodaterebbe di oltre quattro milioni di anni la comparsa di caratteristiche legate agli uomini, ma soprattutto perché sarebbe il primo ominino scoperto al di fuori del continente africano, e quindi metterebbe in discussione l’ormai consolidata teoria dell’origine africana della linea filetica che ha condotto all’essere umano. Tanto che ha iniziato a girare l’idea che questa scoperta “potrebbe riscrivere la storia dell’umanità”.
Le Rivoluzioni spiegate ai bambini: un nuovo (e interessante) progetto editoriale
Oggi mi sono finalmente capitati tra le mani dei libri che fanno parte di un progetto che ho trovato estremamente interessante dalla prima volta che ne ho sentito parlare. Il progetto “Rivoluzioni” della casa editrice ISTOS ha come obiettivo raccontare le principali rivoluzioni mondiali viste attraverso gli occhi dei ragazzini – secondo un formato comprensibile, appunto, a un ragazzino. Prima di andare avanti devo fare una premessa. Non sono un fan sfegatato dell’idea, diffusa nella letteratura dell’infanzia, che per affrontare un tema in maniera comprensibile ad un bambino sia necessario costruirgli intorno l’impalcatura di una storia con per protagonista un ragazzino: nella maggior parte dei casi il tema e il protagonista risultano uniti artificialmente, e questo non serve né alla narrazione, né al tema di cui si vuole parlare. Per intenderci, preferisco l’approccio di Enzo Biagi nelle “Storia d’Italia” e “Storia del mondo” a fumetti, evidentemente pensate per un pubblico di bambini e ragazzi, ma per nulla condiscendenti ed edulcoranti nel loro modo di trattare i rispettivi temi, oppure il franco e dissacrante umorismo di Horrible Histories.
Nel momento stesso in cui il giornalismo italiano è giunto a conoscenza della morte di Leonard Cohen, i principali quotidiani, e a scalare fino alle pagine di informazione locale, hanno iniziato a sbrodolare cordoglio, incentrandosi sul ruolo di Cohen come “cantore dell’amore” e “dell’America moderna”, e sulla sua influenza sugli altri cantautori, in particolare italiani.
Il gossip dei reati
Pisa, autunno 2016. La farsa di cui si è parlato in un precedente articolo continua a reiterarsi senza pietà alcuna per i pochi cittadini pisani cui sono rimaste tracce di senso del ridicolo. L’ultima ordinanza comunale, particolarmente surreale, ha condotto ad una guerra senza quartiere contro la birra fredda (per le ultime, cruciali vittorie dell’amministrazione cittadina si veda qui), nel corso della quale ad ora sono state curiosamente sanzionate principalmente attività commerciali gestite da extracomunitari. La gestione della lotta al degrado e alla microcriminalità da parte del comune di Pisa per l’autunno 2016 non rivela, quindi, particolari sorprese. Per fortuna una parte politica d’opposizione ha deciso di offrire anch’essa un contributo alla risoluzione dei problemi sociali della città, fornendo incidentalmente la possibilità all’autore e al giornale tutto di mostrare uno spirito di critica bipartisan ad essi tendenzialmente alieno.
Le scomode eredità di Umberto Eco
A ottantaquattro anni ci ha lasciati anche Umberto Eco. Di solito tollero poco gli eufemismi funerari, ma in questo caso il verbo “lasciare” mi sembra appropriato, perché la morte di una personalità così preminente dal punto di vista culturale lascia un senso di vuoto e di abbandono. In queste righe non mi concentrerò sulla statura accademica di Eco, quanto sul ruolo che egli ha avuto come intellettuale d’altissimo livello in relazione alla cultura popolare, un tema che a mio vedere risulta fondamentale nella sua attività letteraria.
Carpe ministeriali ed aeroporti prolungati: cosa c’è di sbagliato nella gestione ambientale in Italia
Immaginiamo un mondo in cui per costruire un ponte ci si rivolge ad un ingegnere, ma se il progetto non ci piace lo cambiamo a nostra discrezione, per poi renderlo operativo; oppure, facciamo preparare le planimetrie per un nuovo palazzo ad un architetto, ma poi ci riserviamo di modificarle a seconda di come ci convince. Se l’ingegnere o l’architetto ci tentano di avvisare che il progetto come l’abbiamo modificato ha dei problemi strutturali o statici, che rischia di venire giù non appena apriamo il portone del palazzo o facciamo passare un motorino sul ponte, noi non solo non li ascoltiamo, ma li accusiamo di essere stati pagati (non si sa bene da chi, ma pagati di certo) per dare previsioni catastrofiste, di essere incompetenti, e in definitiva, che la loro formazione rappresenta un’inutile spesa di denaro pubblico – che magari andrebbe meglio investito, magari nei saperi tradizionali: in fondo l’essere umano costruisce ponti e case da ben prima che ci fossero le facoltà di ingegneria ed architettura, il che dimostra che le dette facoltà sono inutili. Uno scenario del genere appare raccapricciante a chiunque; eppure, se sostituiamo a “ingegnere” e “architetto” le qualifiche professionali ed accademiche di “biologo” e “naturalista”, e invece che di costruzione di case e ponti parliamo di gestione del patrimonio naturalistico, questa situazione è tristemente ricorrente. Quel che è peggio, è che non sono solo le associazioni di fruitori, a vario titolo, dell’ambiente naturale a scavalcare i periti in caso la perizia dia un esito non favorevole alle richieste o ai desiderata dei fruitori. Ma procediamo con ordine.
Si è già parlato, in precedenti articoli, della gestione dei grandi carnivori e dei grandi ungulati sul territorio italiano, e del difficile equilibrio tra diversi portatori d’interesse. Un contesto apparentemente meno problematico è quello della gestione delle acque interne italiane, che come è noto, non godono di una salute particolarmente buona. Questo è dovuto in parte alla regimentazione dei corpi idrici, e all’inquinamento, ma un problema di non poco conto è rappresentato dall’introduzione di un gran numero di specie alloctone, che competono con l’ittiofauna autoctona o, in molti casi, addirittura vi si ibridano. Gran parte dell’ittiofauna autoctona dell’Italia ne è anche endemica, non si trova, cioè, da nessun’altra parte; questo è dovuto a complessi fenomeni geologici avvenuti tra il Miocene e il Pliocene, a seguito dei quali le specie tipiche dell’Europa centrale si sono trovate isolate nella Penisola Italiana ed hanno avuto un’evoluzione indipendente – e spesso diversificata tra i versanti adriatico e tirrenico. I ripopolamenti effettuati con materiale dell’Europa centrale, anche con l’obiettivo di avere pesci più grandi e combattivi, hanno portato alla rarefazione e in alcuni casi scomparsa dei ceppi originari della Penisola Italiana. In questa situazione si inserisce la gestione delle acque interne italiane, che in un’ottica naturalistica dovrebbe favorire le aree in cui sopravvive l’ittiofauna originaria, e cercare di contenere e, ove possibile, eradicare, la fauna alloctona.
Tra i temi più problematici in questo periodo, la diffusione del siluro e del persico trota, due grossi predatori generalisti, e il ripopolamento con ceppi mitteleuropei di cavedano, barbo e soprattutto luccio; il luccio italiano è stato descritto come specie distinta solo nel 2011, e i ripopolamenti negli anni precedenti non hanno tenuto conto della provenienza dei pesci reintrodotti; ad oggi si teme che gran parte delle popolazioni di luccio in Italia siano costituite da ibridi tra lucci italiani e lucci mitteleuropei. In nessuno di questi casi sono in atto programmi di eradicazione (se non a livello locale, e con dubbi risultati). A maggior ragione non è prevista la proposta di programmi di eradicazione per la carpa, una specie ubiquitaria in tutta la penisola e presente anche nelle principali isole italiane, alloctona e con un forte impatto sugli ambienti acquatici, ma introdotta da abbastanza tempo per rendere virtualmente inattuabile la sua eradicazione; questo sia perché le alterazioni determinate da questa specie sugli ambienti italiani sono ormai troppo profonde per essere recuperabili, sia perché si tratta di una specie estremamente prolifica. Nonostante questo, la FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee) sta tentando di ottenere dal Ministero dell’Ambiente una certificazione di autoctonia per la carpa – rifacendosi in parte ad una proposta, ad oggi non accolta dal Ministero, di listare come “para-autoctone”, ed equiparare ad autoctone ai fini della tutela e della gestione, le specie la cui presenza sul territorio italiano è precedente al 1500. Il significato che questa certificazione dovrebbe avere è poco chiaro; sicuramente, con la legge vigente, lo status di specie alloctona della carpa impedisce che si proceda a ripopolamenti e reintroduzioni, ma d’altra parte, in relazione alla sua biologia questa specie non necessita affatto di questo tipo di misure gestionali, né corre rischi di rarefazione in nessuna parte d’Italia. In quanto allo status di para-autoctono, anche volendo accettare questo tipo di definizione (di significato biologico questionabile per non dire nullo), resta il fatto che l’attribuzione agli antichi Romani dell’introduzione di questa specie in Italia non sembra molto più che una leggenda metropolitana, e che le fonti storiche sono concordi nell’individuare la naturalizzazione della carpa in un periodo successivo (anche se non di molto) al 1500. Resta ad ogni modo il fatto che anche le specie alloctone, come il persico trota, il luccio mitteleuropeo e la carpa stessa, sono tutelate da leggi che regolano le taglie minime, la quantità prelevabile, le zone di tutela e i periodi di ferma, e conseguentemente, questo spostamento dalla lista degli alloctoni a quella degli autoctoni non avrebbe alcuna conseguenza pratica.
Il problema, tuttavia, è un altro, ed è il tentativo di confutare un risultato scientifico che non ci piace non attraverso prove contrarie ad esso, ma attraverso un decreto ministeriale. Se il tentativo di far considerare per legge autoctona la carpa ci fa un po’ sorridere, e in fondo non sembra ricadere tra i grandi mali del mondo, pensiamo a cosa significherebbe far passare una legge che per risparmiare imponga di dimezzare il carburante necessario per tenere in volo un aeroplano su una determinata tratta, nonostante gli studi scientifici affermino che sarebbe troppo poco. Nel caso della carpa, le conseguenze potranno apparire meno disastrose, ma concettualmente il processo è identico.
D’altra parte questa storia non può stupirci troppo, non alla luce di un accadimento decisamente recente. Piccolo antefatto (che non è inopportuno ribadire): per qualsiasi opera edilizia è necessaria una Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), in base alla quale le autorità competenti decideranno se dare, o no, l’autorizzazione all’opera in questione. Per la costruzione della controversa nuova pista dell’aeroporto di Peretola la VIA ha avuto esito negativo; la reazione a questo non è stata una ricalibrazione del progetto tenendo in considerazione le criticità individuate dalla VIA, ma il tentativo di individuare una scorciatoia che togliesse l’odiato ostacolo di mezzo: il ricorso alle alte sfere. E le alte sfere hanno puntualmente e congruamente risposto, inserendo nella Legge di Stabilità per il 2016 un emendamento che cancella l’obbligo di VIA per il prolungamento della pista dell’aeroporto di Firenze. Emendamento che, grazie ad una tempestiva levata di scudi da più parti, è stato rigettato; ma il fatto che sia stato presentato come se si trattasse di una cosa normale – avallando di fatto l’idea che per legge si possano ricusare le conclusioni di uno studio scientifico – fa suonare dei campanelli d’allarme. Concettualmente non è così differente da quanto la FIPSAS sta chiedendo al Ministero dell’Ambiente; ma il fatto che questo tipo di soluzione sia stato prospettato dal governo stesso è estremamente inquietante.
Il messaggio che emerge a livello istituzionale – non solo più privato o associazionistico – è appunto questo: il perito in gestione ambientale può essere scavalcato nel momento in cui la sua perizia risulta scomoda per i portatori d’interesse. Mentre l’applicazione di questo principio da parte delle istituzioni è un problema politico, la condivisione che trova ci costringe a considerarlo un problema culturale. Di fatto, la necessità di figure specializzate nella gestione del territorio è sempre meno condivisa; su questa linea il costante tentativo di by-passare le perizie e le valutazioni d’impatto, a tutti i livelli, su questa linea l’idea (assolutamente non fondata) che il fruitore abbia tutte le competenze per gestire personalmente la risorsa naturale, su questa linea la forte riduzione del ruolo (e la possibile eliminazione) del Corpo Forestale dello Stato, come anche la stretta anche economica sulle agenzie ambientali. Spesso ad opera, peraltro, di chi si vanta del patrimonio naturalistico dell’Italia.
Quel medesimo patrimonio naturalistico siamo arrivati molto vicini a perderlo con l’industrializzazione e la cementificazione indiscriminate – e se non è successo, è anche grazie a fenomeni strutturali, ma non contemplati, come lo spopolamento delle aree di montagna. Il recupero e la valorizzazione delle risorse naturali e del patrimonio naturalistico non sono avvenute in maniera automatica, ma grazie all’impegno lento e costante di un gran numero di periti, che hanno investito nella conservazione di specie d’interesse naturalistico, ma anche degli habitat che esse popolano. Senza di loro non ci sarebbe stato nulla di cui essere orgogliosi; e senza di loro, non possiamo sperare in alcuna maniera di mantenerlo.
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