Il risultato di questo certosino lavoro di selezione e sintesi è Atomic, disco uscito il primo aprile scorso via Rock Action, ennesima conferma del talento dei maestri del post rock europeo. Sempre più lontano dalla loro proposta originale, quella consacrata in capolavori come Mogwai Young Team (1997) o Happy Songs For Happy People (2003), il gruppo scozzese sembra ormai indirizzarsi verso una musica ancor più d'atmosfera, creando soundscapes sempre più ricchi, contaminati e suggestivi, rimanendo sempre però fedele a un'idea di post-rock sognante ed inquieto.
I Mogwai accentuano gli elementi più drammatici e agghiaccianti del documentario, rendendo la loro progressione ritmica una marcia in un abisso distopico nel quale, all'eccitazione per il nuovo, che pezzi iniziali come "Ether" e "Scram" sembrano voler suggerire, si fa ben presto strada la consapevolezza dell'uso nefasto che è stato fatto della tecnologia nucleare per assemblare armi di distruzione di massa (resa tramite le tortuose stratificazioni di chitarra di "Bitterness Centrifuge" e con le tastiere dolenti della conclusiva "Fat Boy", che è anche il nome affibbiato alla bomba che spazzò via Nagasaki.
Rispetto agli album precedenti, Atomic è un trionfo di synth e partiture elettroniche, tale da rendere ancora più desolante e nebbioso ogni passaggio (si ascolti lo spettrale valzer new wave di "U-235"o l'epica scura e amara di "Tzar", emozionante saliscendi ritmico ed emotivo che ricerca disperatamente una catarsi che sfiora ripetutamente senza volerla raggiungere). La tensione drammatica non è stemperata nemmeno dai delicati loop tastieristici, che anzi concorrono ad amplificare l'immagine di un Novecento segnato da innumerevoli incubi e sciagure. Così, le rilassate e malinconiche "Are you a Dancer", con delizioso accompagnamento d'archi, e la sinuosa e ovattata "Weak Force" fanno sprofondare l'ascoltatore in uno stato catatonico, in un'autistica contemplazione di immagini del passato, proiettate a ritmi alterni una dietro l'altra. La musica dei Mogwai, restituisce l'aspetto più emozionale e lirico di un pezzo di storia e con essa, la sensazione di non poterla più pienamente afferrare.
voto: 7,5/10