Purtroppo è cambiato tutto, anche il concetto e la fruizione di quest'arte. Unire musica, cinema e letteratura, parole, immagini e concetti non è cosa da poco. Ecco perché credo che quest'operazione sia culturalmente molto importante. Il Boss, è risaputo, usa nelle sue composizioni personaggi molto cinematografici (se non ci credete, ascoltate pezzi come "The ghost of Tom Joad" o "Streets of Philadelphia"). Tuttavia sarebbe sbagliato etichettare l'autobiografia "Born to run" come un libro di memorie di una rockstar sopravvissuta ai fasti degli anni '70 e '80. Come è scritto nel retro-copertina, "è una lettura illuminante per spiriti pratici e inguaribili sognatori, per genitori e figli, per innamorati e cuori solitari, per artisti, fricchettoni e chiunque voglia essere battezzato nel sacro fiume del rock". In buona parte di questa descrizione, è rappresentato anche l'anima dell'autore di questo articolo.
Prima di tutto il Boss dimostra di saper scrivere molto bene, senza utilizzare un ghostwriter. La cosa si capisce perché c'è lo stesso spirito delle sue canzoni più potenti. Non c'è bisogno che domandi "can you feel the spirit?". Un viscerale "human touch" permea tutta l'opera. Bruce Springsteen racconta se stesso, non dimenticando da dove è partito, le battaglie tipiche delle persone del ceto medio, le difficoltà del quotidiano. Ed è proprio per questo motivo che i suoi tanti fan lo amano così tanto. Oltre al fatto che ha misurato realmente la (netta) distanza tra la realtà e il sogno americano. Tanto che il giornalista inglese Janan Ganesh ha scritto sul "Financial Times" che questa autobiografia "dovrebbe essere letta, se fossero intelligenti, dai politici che cercano di capire davvero sapore e atmosfera della disaffezione della working class, non soltanto le nude statistiche sul numero dei disoccupati".
Detto questo, andiamo ad analizzare l'opera nel suo insieme. Ci sono tre capitoli distinti che si chiamano come tre sue canzoni: il primo è "Growing up" (la fase della crescita), il secondo è "Born to run" (quando si afferma come cantante), il terzo è "Living proof" (la fase adulta). Nato il 23 settembre 1949 a Freeheld nel New Jersey (est degli Stati Uniti), il giovane Bruce era un emarginato della classe media, proveniente da una famiglia di origini irlandesi (da parte di padre) e italiane (da parte di madre). Proprio nei violenti sobborghi della provincia sfidò le sue angosce con la voglia di vivere e nell'incrollabile fiducia nella musica, grazie al rock di Beatles ed Elvis Presley. Ovviamente non mancano le fughe (ampiamente descritte nelle sue canzoni), il rapporto eccellente con la madre Adele Zerilli e la sorella Pam (a lei e suo marito ha dedicato la splendida "The River"), gli screzi con il padre Doug, le tante donne (da Mary a Rosalita, da Sandy fino alla moglie Patti e all'ex moglie Julianne), l'amore, il rock n roll, i concerti nei peggiori bar, i fallimenti, la depressione, i sogni non realizzati e ovviamente il successo. Oltre alla politica e ai tanti fatti di sangue che lo hanno ispirato nelle sue canzoni più famose (vedi "American skin – 41 shots" e "The ghost of Tom Joad"). Tra le tante cose, al sottoscritto, sono rimaste in mente prevalentemente due cose: la prima è che Springsteen non sarebbe esistito senza l'ascolto di Beatles e Elvis Presley, la seconda è che il Boss ha una profonda anima italica. Avete letto bene. La sua fede incrollabile nel potere terapeutico del rock sa molto di italiano (da parte di madre). "I napoletani" (i nonni materni di Bruce erano originari di Vico Equense) vengono descritti come una forza travolgente. Sua madre non si fermava mai ed è stata fondamentale nella sua formazione, nella sua incrollabile determinazione al lavoro. E quando parla di sua madre e delle sue zie, parla di emozioni, di una rigida educazione cattolica (a cui riserva diverse frecciatine), di persone che piangono, ridono, ballano e che non si fermano mai.
Questo spirito poi si ritroverà nel rapporto con i musicisti della E-Street Band: dal sassofonista Clarence Clemons all'amico fraterno Steve Van Zandt (anche lui di sangue italiano). Tra Bruce Springsteen e l'Italia c'è un forte legame che nelle sue esibizioni live è piuttosto visibile. Non è un caso che i fan italiani siano fra i più caldi. In ogni tour che si rispetti, il Belpaese è meta di almeno 2-3 date (Milano in testa). Ricordo ancora il concerto del 2012 di Firenze dove suonò ininterrottamente 3 ore e mezzo sotto il diluvio, fra la gente, completamente molle. E ricordo una fiammante cover dei Creedence Clearwater Revival, "Who'll stop the rain", dopo aver apostrofato il pubblico (in delirio) con un secco "siete duri a morire!". Inutile dire che ero piuttosto su di giri quella sera. C'è da dire che da uno di questi comportamenti con il pubblico, diversi anni prima, ispirarono un certo Robert De Niro. L'attore italo-americano infatti, ha ammesso che il celebre monologo allo specchio di "Taxi Driver" (ricordate "stai parlando con me?") è nato dopo aver assistito a uno spettacolo del Boss. Bruce Springsteen è uno dei pochi musicisti che non si risparmia mai, uno che ama il mestiere che fa. I suoi concerti sono puro godimento di almeno 3 ore tirate tra magie, emozioni, potenza, muscoli, sudore ed improvvisazione. La scaletta cambia di continuo. Ogni sera sono pronti 31 pezzi che la E-Street Band conosce a menadito. Per questo Bruce è capace di tirar fuori una richiesta del pubblico e tramutarla in canzone in men che si dica. Il pezzo che però non manca mai è sicuramente quello che dà il titolo all'autobiografia: "Born to run". Non è un caso che questo disco (inteso come album, non solo come singolo) sia uno dei più influenti anche nella mia vita. Una canzone centrale nella poetica springsteeniana. Negli anni '70 Bruce sentiva, come molte persone comuni, di non avere alternative. Era nato per correre e scappare (il tema della fuga ritorna...) da " una città di piccoli impostori" (tale definizione apre la prefazione del libro). O se preferite, come direbbe nel 1975 in "Thunder road", di losers (o perdenti). Ma il tutto non finisce certo qui. Lui va oltre. Per essere cantanti rock resistendo ai tempi, ci dice il Boss, bisogna avere talento, serietà, dedizione, ma soprattutto occorre avere ... un fuoco che ti divampa dentro. È questo il suo segreto, l'eterna magia della sua musica e della sua voglia di vivere. Lui la sua forza l'ha tirata fuori. Speriamo che sia da esempio per alimentare la nostra "the rising". Is there anybody alive out there?
Chapter and verse: la colonna sonora dell'autobiografia
Bruce Springsteen prima di diventare il Boss era una persona come tante altre. In quest'ultimo cd "Chapter and verse", Bruce ci racconta le tappe della sua formazione con 18 brani che riassumono i capitoli dell'autobiografia "Born to Run". D'accordo musicalmente c'è poco di nuovo. Apparentemente è solo una raccolta di successi, è in realtà la colonna sonora che deve accompagnare la lettura dell'autobiografia. Se unite le due cose, ci si avventura in qualcosa di magico: le parole del libro rivivono attraverso i testi e la musica attraversando tutti i chapter e i verse del titolo. Ci sono subito 5 canzoni inedite pescate dai polverosi archivi di "Greetings from Asbury Park", il disco d'esordio del 1973. Si parte con "Baby I". Siamo nel 1966, Bruce e George Thiess scrivono la canzone per i Castiles, il primo gruppo del Boss. Il testo è piuttosto acerbo e ingenuo. Parla di un amore finito e lui dice a lei che non ha bisogno dei suoi baci. C'è un'altra già pronta a farlo. C'è da capirlo, aveva 17 anni. Scorrendo si passa a "You can't judge a book by the cover". Cosa giusta e valida anche per i miei articoli, se mi permettete. E' una cover di Willie Dixon, registrata in un oratorio del paese natale, Freehold.
Proseguendo si passa per "He's guilty (the judge song), pezzo del 1970 dove Bruce si unisce agli Steel Mill, da cui nascerà la futura E-Street Band. Qui c'è il tastierista Danny Federici e poi il grande amico Steve Van Zandt. Si parla di istituzioni, di un giudice, di un processo e della polizia che ha sparato ad un innocente. In poche parole il primo nucleo di un pezzo come "American Skin (41 shots)". Il quarto pezzo in scaletta è "The ballad of Jesse James". Bruce dichiara il suo amore per il cinema, specie per il western. C'è voglia di rock, assimilata ad atmosfere che riecheggiano tradizioni a stelle e strisce. L'ultimo inedito è "Henry Boy" del 1972. E' l'inedito più maturo. Si capisce che Bruce ha trovato la chiave di volta. Si parla del giovane Henry (in realtà il giovane Springsteen), vittima dei bulli, che sostiene che "è un mondo difficile quando sei il nuovo arrivato". Su questa melodia Bruce costruì uno dei suoi pezzi più importanti degli anni '70: "Rosalita (Come out tonight)". Una delle sue prime hit dedicate alle donne insieme a "Sandy". Il resto è un mix di storia della sua carriera musicale. Ovviamente si comincia con "Growing up"e la già citata "4th July, Asbury Park" (nota anche come Sandy) che rappresentano rispettivamente la fase della crescita, dei primi amori. In particolar modo la seconda si svolge sullo sfondo di Asbury Park nel Giorno dell'Indipendenza. Bruce dichiara il suo amore a Sandy, ma sa che il resto della città è depresso. Non ne vuole più sapere della cameriera che non prova nessun sentimento per lui. Il tema della fuga inizia a serpeggiare e sarà amplificato nel 1975. Guarda caso il pezzo successivo è proprio l'evergreen "Born to run" che rappresenta la canzone per autonomasia della poetica springsteeniana. C'è poco da fare quelli del ceto medio come noi, sono nati per correre. La traccia successiva è la splendida "Badlands" che racconta in maniera incredibile il mondo delle periferie e la distanza tra realtà e american dream. "Poor man would be rich and rich man would be the king.And a king ain't satisfied 'til he rules everything" – è la morale del pezzo di apertura di "Darkness in the edge of town".
Proseguendo l'ascolto, il disco si dipana tra "The river" (che rappresenta la fine del sogno americano), "My father's house" e la super hit "Born in the U.S.A.". Ma non fate l'errore di Ronald Reagan che si fermò al titolo. Non è un testo patriottico, anzi è un testo amarissimo su un reduce del Vietnam che torna nel suo Paese e scopre che non è più come lo aveva lasciato. La traccia n°13 è un pezzo a cui io sono particolarmente affezionato. Molti di Voi non la conoscono. Si chiama "Brilliant disguise" e parla della crisi del Boss nella relazione con la prima moglie, la modella Julianne Philips. Il testo della canzone riflette il senso d'insicurezza di Springsteen. Emergono gelosia, confusione e ansia sul fatto che sua moglie sia per lui diventata un'estranea, ma anche lui non sa più chi è. Un tema pirandelliano visto che si parla delle innumerevoli maschere dietro cui le persone si nascondono. "So tell me who I see, when I look in your eyes. Is that you baby or just a brilliant disguise" è il dogma imprescindibile di questo splendido pezzo.
Proseguendo l'ascolto, si entra nella terza parte dell'autobiografia. Il capitolo si chiama "Living proof" che è anche la 14esima traccia. Un inno alla paternità, all'amore e alla cura dei figli. Una cosa che ha cambiato la vita a molte persone, compreso lo stesso Bruce.
Non poteva mancare "The ghost of Tom Joad", un pezzo straordinario del 1995 (che venne presentato anche a Sanremo) che unisce l'impegno civile e sociale di Springsteen con atmosfere western. Tom Joad è infatti il protagonista del romanzo di John Steinbeck, "Furore" e dell'omonimo film del 1940 diretto da John Ford. Si parla di immigrazione e di povertà. Due aspetti imprescindibili dell'adolescenza di Bruce, specie quando all'interno dell'autobiografia racconta la rabbia (con relativa autostima a pezzi) del padre quando non trovava lavoro. Gli ultimi tre pezzi della raccolta "Chapter and verse" rappresentano il Boss degli anni Duemila: dapprima quello post 11 settembre di "The Rising", passando per l'amarezza di "Long time comin' " e per la rabbia di "Wrecking Ball", il brano di chiusura del disco. "The Rising" è un inno potente che invita le persone a darsi da fare per rinascere dalle ceneri della tragedia dell'11 settembre. L'ispirazione di questo brano partì da un fan che, durante un incontro fortuito per strada, disse al Boss: "we need you now". Andrebbe bene anche per l'italiano lobotomizzato di oggi. "Long time comin' " prosegue nel racconto delle amarezze e delle disavventure dei soldati americani nella guerra in Iraq, voluta fortemente da George Bush jr. Il gran finale è "Wreckin ball" (la palla avvelenata). Un gran pezzo contro la crisi economica e il potere esercitato dai finanzieri di Wall Street contro la classe operaia. Il disco è terminato dopo quasi 1h e 20 minuti di ottimo rock. Se ancora non lo avete ascoltato, fatelo perchè Bruce Springsteen è uno di quei rari artisti (del calibro di Bob Dylan, ad esempio) che ti cambiano la vita, offrendoti una via di cambiamento. Le sue canzoni prima o poi busseranno alla tua porta. Quando sei giovane le ascolti, sorridi, ripensi ai momenti che questi pezzi hanno generato nella tua vita. Inizi a correre, a correre sempre più intensamente, poi diventi grande e sei stanco di inseguire, ma la sua musica ti avvolge sempre perchè ti provoca sempre le solite emozioni.
ASCOLTA IL DISCO COMPLETO QUI:
https://www.youtube.com/watch?v=WKtqxWquhtU
TRACKLIST:
01. Baby I
02. You Can't Judge a Book by the Cover
03. He's Guilty (The Judge Song)
04. The Ballad of Jesse James
05. Henry Boy
06. Growin' Up
07. 4th of July, Asbury Park (Sandy)
08. Born to Run
09. Badlands
10. The River
11. My Father's House
12. Born in the U.S.A.
13. Brilliant Disguise
14. Living Proof
15. The Ghost of Tom Joad
16. The Rising
17. Long Time Comin'
18. Wrecking Ball