Il dualismo tra il mondo etico-morale e quello scientifico, seppur molto artificiale, è sempre stata una costante nella storia dell’uomo sin dalla nascita della scienza e della filosofia nell’antica Grecia, eppure, a scossoni, il tema si ripresenta con forme diverse ma con forza sempre uguale. Per semplificare l’intera questione, la domanda attorno alla quale giriamo da millenni è sempre se esista un confine invalicabile o meno e se quindi la scienza debba essere lasciata completamente libera di esplorare ogni possibile strada per aumentare la conoscenza di noi, del mondo e della vita. Inutile negare l’evidenza. La scienza, per sua natura, tende a risolvere misteri e a “portare luce dove ci sono le tenebre”, quindi a pestare i piedi a chi a quelle ambiguità cerca risposte di tipo fideistico.
Se ai tempi di Copernico e Galileo questo confine si trovava nel conflitto tra geocentrismo e eliocentrismo, a quelli di Darwin e Mendel (che era un monaco!) si era spostato sul piano dell’evoluzionismo e della genetica, nel XX secolo gli incredibili progressi della scienza medica ci stanno portando sempre più vicini al sentirci divini. Pensiamo alla scoperta del DNA, alle terapie antibiotiche o a quelle farmacologiche, colleghiamole all’incredibile aumento della speranza di vita dell’ultimo secolo e mezzo1 (dai 30 anni medi dell’era preindustriale ai circa 70 di oggi): risulta evidente che la qualità e la durata della vita siano mediamente molto migliorate sulla Terra per merito di progressi scientifici, spesso oggetto di feroci critiche da parte dei contemporanei. Ad esempio, l’idea darwiniana della selezione naturale e dell’evoluzione portò scompiglio negli ambienti religiosi, perché sottraeva alla sfera di Dio uno dei sui ambiti principali: la creazione. Così come Copernico nello spostare il “centro del cosmo” dalla Terra al Sole andava in aperto contrasto con le sacre scritture, che parlando dell’uomo come “fatto a immagine di Dio”, lo ponevano necessariamente al centro del suo disegno universale. E poi non possiamo dimenticare le grandi battaglie mediche e sociali del XX secolo: il diritto all’aborto, la lotta contro le mutilazioni femminili, le cure contro le malattie sessualmente trasmissibili, la battaglia contro l’idea malsana che esistano differenze basate sulla razza. Tutti fronti sempre aperti, da noi o in giro per il mondo, ma che spesso mostrano la scienza opposta a credenze di vario tipo.
Fermi, però. Cosa c’entra tutto questo con la clonazione di una scimmia, di una pecora o, chissà, di un essere umano? Parlando in maniera del tutto ipotetica e senza implicazioni morali, quello che per noi oggi sembra eticamente inaccettabile, impensabile o perfino disgustoso, non è necessariamente detto che un domani non possa diventare una consolidata normalità. Gli standard cambiano, la ricerca e la scienza vanno avanti e la lotta sul dove mettere l’ultimo muro continua e continuerà sempre all’infinito. Detto questo però bisogna capire bene cosa vuol dire clonazione, quali scopi si stanno inseguendo e, soprattutto, tenere bene a mente che la scienza (non mi stancherò mai di ripeterlo) non è un fine, ma solo un mezzo. Per dirla con le parole di Albert Einstein “La scienza, tuttavia, non può creare fini e ancora meno inculcarli negli esseri umani; la scienza, al massimo, può fornire i mezzi con cui perseguire eventuali fini. Ma i fini in sé sono concepiti da personalità dotate di alti ideali etici”.
Nella tecnica utilizzata per Dolly e per le scimmiette cinesi si è presa una cellula somatica adulta e si è unita con un ovulo privato del suo nucleo (in questo modo il patrimonio genetico del nuovo embrione è direttamente quello dell’individuo adulto), successivamente l’embrione è stato impiantato in una “madre surrogata” che ha portato avanti la gestazione e dato alla luce le due scimmiette. I limiti della tecnica sono tanti: solitamente soli pochi ovuli arrivano in fondo alla gravidanza e quelli che riescono in alcuni casi presentano deformazioni, gravi problemi e possono non superare i primi giorni di vita. Ma, ammesso che la scienza riesca in un futuro a superare questi ostacoli, in tutti i paesi del mondo la legislazione vigente non consente uno o più passaggi che sarebbero necessari per la clonazione umana: l’impianto nella madre surrogata dell’ovulo clonato prima di tutto. Il vero obiettivo di questa enorme ricerca risiede nella possibilità, già in atto, di produrre in laboratorio linee cellulari staminali pluripotenti a partire da ovuli clonati. In questo modo si potrebbero riparare tessuti danneggiati partendo dalle cellule somatiche del paziente stesso, minimizzando il rischio di rigetto2.
E allora perché non pensare alla clonazione di interi organi? O interi corpi umani, magari montati ad hoc per poter essere usati come pezzi di ricambio? O perché non produrre animali, cavie e uomini per eseguire sperimentazioni? Le risposte si possono trovare sia sul piano filosofico e etico che su quello scientifico. Buttandomi in un esercizio mentale, proverò a spiegare le ragioni scientifiche per cui non succederà niente di tutto ciò, anche se, teoricamente, la scienza potrebbe anche arrivare a ottenere tali risultati. Se clonare una cellula è facile e clonare un intero essere vivente potrebbe essere fattibile, ogni altra forma intermedia, invece sarebbe estremamente difficile: come si può portare a termine una gravidanza surrogata di un feto in cui uno o più organi vengono soppressi? Anche se in questo caso la tecnica è nota: si potrebbero silenziare o mutare i geni per lo sviluppo di un organo o per una determinata funzione vitale e far crescere il feto senza cervello, polmoni, cuore o stomaco, ma senza sapere con sicurezza se queste importanti modifiche incidano sul complesso dell’organismo (a naso direi di si, ma non so!). Quindi potremmo, ad esempio, creare un “uomo senza cervello” che sia solo un donatore di organi? Ai limiti della distopia e ben oltre il confine della scienza attuale, siamo quasi dentro Blade Runner! E se invece si producessero cavie animali? Beh, sicuramente più fattibile eticamente e magari scientificamente, anche se si aprirebbe un altro problema: in che modo una modifica genetica o una soppressione funzionale nell’animale può influenzare la successiva sperimentazione? Saremmo sicuri di essere in condizioni sperimentali controllate e riproducibili? Non credo proprio. Insomma, la clonazione delle scimmiette, così quella della pecora Dolly, non aprirà le porte a un futuro di clonazioni umane, né all’uso massiccio di tale tecnica sugli animali. E non solo per i limiti etico-filosofici che, come la storia insegna, spesso vengono spazzati via dal progresso scientifico. No, quello che fermerà questa ricerca dallo scivolare nella distopia è semplicemente l’aver raggiunto già il suo fine principale: la produzione di cellule staminali.
A proposito. Qualcuno ha avanzato l’idea suggestiva di usare la clonazione animale come ultima spiaggia per le specie a rischio estinzione: in questo caso credo che forse una riflessione vada fatta, anche se le tecniche geniche non potranno in nessun caso sostituire l’impegno umano per la conservazione degli ecosistemi, per la lotta al bracconaggio e alla caccia selvaggia e contro il cambiamento climatico. Perché? Beh, semplice: clonare un animale vuol dire letteralmente produrne una copia e se ci affidassimo solo a questo, arriveremmo velocemente ad aver sacrificato molta della biodiversità che è la base proprio dell’evoluzione e dell’adattamento. Insomma, potrebbe essere “utile” pensare alla clonazione come ultima carta da giocare, ma sempre tenendo fermo il punto sul vero obiettivo, cioè salvaguardare la Terra e le sue spettacolari flora e fauna.
Concludo con una provocazione su cui riflettere. La sperimentazione, di qualsiasi tipo, è vietata ovunque sui grandi primati (tipo i gorilla), perché sono i nostri parenti più vicini. Va da sé che seguendo questo tipo di ragionamento, credo le scimmie più piccole, i mammiferi, gli uccelli, i rettili e via giù in tutti cinque i regni viventi siano in qualche modo legati a noi da qualche vincolo di parentela. Che differenza c’è allora tra uccidere i batteri, sperimentare sulle cavie, clonare le scimmie o arrivare ai replicanti umanoidi in stile Blade Runner? La risposta, che può sembrare scontata, non può essere trovata nella scienza, ma solo e soltanto nel campo del pensiero etico, morale e filosofico. Perché, ancora una volta, la scienza fornisce solo gli strumenti per raggiungere gli scopi dell’umanità. Non diamo alla scienza compiti e colpe che non le spettano e che, fondamentalmente, non vuole!
1 http://www.pnas.org/content/early/2012/10/10/1215627109
2 https://www.newscientist.com/article/mg23731623-600-scientists-have-cloned-monkeys-and-it-could-help-treat-cancer/
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