È una sera torinese di inizio febbraio, piovosa e freddina, e fuori è buio da un paio d’ore; tuttavia la sala del Circolo dei Lettori è piena, oltre ai posti a sedere è esaurito lo spazio in piedi. Il pubblico, molto variegato per età e genere (benché siano le donne a prevalere), è qui per la presentazione di un libro di divulgazione scientifica sul mondo dei cosmetici: Il trucco c’è e si vede di Beatrice Mautino (Chiarelettere, 2018). Per quanto il terreno sia stato preparato da La ceretta di Occam, rubrica sul tema che l’autrice tiene su Le Scienze da quasi due anni, si tratta di una novità.
La divulgazione scientifica diserta da troppo tempo la cosmesi (doveroso segnalare la meritoria eccezione del sito No-nonsense CosmEthic): forse a causa della paura di apparire frivoli – poiché si tratta di prodotti e azioni considerati frivoli, spesso con una più o meno implicita connotazione morale. Eppure, come ricorda l’amica seduta accanto a me alla presentazione del libro, tradendo la nostra provenienza non proprio piemontese, questi prodotti «te li dài sul ghigno»2.
Si tratta non solo di trattamenti estetici, bensì anche di tutti i prodotti e le pratiche con cui curiamo la nostra igiene: solo una parte di ciò che rientra nella cosmesi è “frivolo”. Il Regolamento Europeo n. 1223/2009 definisce infatti un cosmetico come “qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano […] oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei”.
La presentazione dura un’oretta, che vola via con un’esposizione vivace e coinvolgente, agile nello spaziare dal quotidiano alla storia della cosmetica, senza schivare né feticizzare i tecnicismi. Al termine, è palpabile una sorta di “delusione”, il pubblico ne vorrebbe ancora: l’interesse per la materia c’è, è famelico, e forse le dimensioni dell’evento sono state anche troppo timide; il libro è uscito a fine gennaio, ma entro i primi di marzo sarà già alla seconda ristampa.
Non stupisce perciò il fiorire libri e siti di informazioni non scientifiche, da recensioni a tutorial, tanto apparentemente provvidi di verità da elargire quanto carenti di prove, fonti o anche solo argomentazioni; impazienti di dispensare nette classificazioni in “bene” e “male”, non di rado ammantandosi di “scientifico”. “Tutti pensiamo che la scienza ci dia certezze, invece no. Il regalo più grande che ci fa è proprio non darci certezze.”3 La scienza parla per probabilità, a partire dal definire un rischio (la probabilità di incorrere in un evento negativo, il pericolo); sta a noi valutarle e decidere di conseguenza.
Tuttavia i due universi – quello “serio” della divulgazione scientifica e quello “frivolo” dell’informazione sulla cosmesi – non sembrano, per loro natura, potersi incontrare. La stessa ricerca pubblica sembra occuparsi malvolentieri di cosmesi (mentre ovviamente in ricerca investono molto le grandi aziende che producono o vendono cosmetici). Così, questa ampia frazione di cura del nostro corpo è quasi lasciata in balia di quanto sostenuto da chi ci vende prodotti e trattamenti.
“Capite perché […] non possono piacermi quelli che la fanno troppo semplice? Non ci aiutano a capire la complessità, non ci danno strumenti per tenerla sotto controllo (insieme alla nostra ansia), si arrogano la facoltà di scegliere ciò che è meglio per noi senza darci strumenti che ci permettano di cavarcela da soli e, soprattutto, si fermano alla valutazione dei pericoli, confondendoli con i rischi, senza metterli sulla bilancia assieme ai benefici.”4
“Darci gli strumenti” è l’obiettivo palese del libro di Mautino, biotecnologa con un dottorato in neuroscienze e un master in comunicazione della scienza che si occupa da anni di divulgazione scientifica, dalla produzione di libri alla progettazione di eventi e laboratori interattivi. Sulla pagina, l’autrice dimostra la stessa felicità divulgativa: Il trucco c’è e si vede è scorrevole e chiaro nel guidare il lettore dalla storia della scienza all’esperienza quotidiana, con un tono leggero capace di affrontare gli aspetti tecnici in modo da fugarne il timore senza tradirne la complessità: non semplificandoli, ma spiegandoli in maniera semplice.
Dal sorgere e il diffondersi di bufale sfociate in timor panico, come quello attorno ai parabeni, ai linguaggi pubblicitari, con i loro detti e non detti e i loro tranelli al limite del legale (e a volte oltre il limite), passando per il contributo all’estetica dell’esperienza di fattori come il prezzo e il canale di distribuzione, è indagato il rapporto della cosmetica con il nostro immaginario; la storia delle normative per la sicurezza, inizialmente nate in risposta a prodotti dalle formulazioni spregiudicate, approda alla selva di certificazioni odierna, che si dimostra al limite del marketing. È esplorata la struttura del mercato cosmetico (per il quale ben un terzo della produzione mondiale ha sede in Italia), rivelando una diversificazione molto inferiore a quanto suggerito dalle confezioni.
Parallelamente alla decostruzione di questo mondo di apparenza (non sorprendentemente; e non tanto perché si parla di cosmesi quanto perché è il mercato, bellezza, e l’apparenza vende), Mautino invita il lettore ad adottare gli strumenti del metodo scientifico, a sua volta esemplificato nel libro, e con essi guardare al proprio corpo. La struttura di peli e capelli e l’azione di tagli, lavaggi e sostanze condizionanti; le proprietà della pelle, non solo come terreno di inestetismi e preoccupazioni ma anche come barriera protettiva (quindi non così facilmente attraversabile da sostanze miracolose); un attento capitolo dedicato agli effetti dei raggi ultravioletti, al funzionamento delle creme solari e alla loro importanza: la revisione dei trattamenti cosmetici si trasforma in un’occasione per conoscere la complessità delle parti di noi che diamo forse più per scontate, riappropriandosi della possibilità tanto di prendersene cura quanto di apprezzarne la natura.
Non una guida agli acquisti né un sussidiario dell’estetista fai-da-te, dunque, quanto piuttosto un manuale di autodifesa dalle illusioni del marketing, dirette come una promessa di miracoli o indirette come la definizione del prezzo, per consapevolizzare il pubblico nelle sue scelte quotidiane, più o meno frivole.
Ma la frivolezza è male? E che cosa è frivolo? Se frivolo è tutto ciò che non è necessario, è frivolo il cibo elaborato che consumiamo, quando potremmo sopravvivere efficientemente con i pilloloni supernutritivi dei Jetsons? D’altro canto, come si definisce il necessario? Stare bene con noi stessi, il nostro benessere psicoemotivo, la qualità delle nostre relazioni interpersonali e del contesto culturale in cui ci muoviamo sono determinati da fattori che sfuggono alla distinzione tra frivolo e necessario. Gli stessi rituali cosmetici, oltre al significato estetico e sociale che consideriamo “superficiale”, costituiscono spesso un’esperienza complessa e di significato profondo: un momento per noi, in cui abbiamo il controllo e la sensazione di prenderci cura di noi stessi.
In fondo, l’estetica è bella proprio in funzione della sua frivolezza, del poter essere un gioco cui non dare troppo peso, né in positivo né in negativo. E a questo gioco dovrebbe poter giocare chiunque, indipendentemente dal genere; se ci ritroviamo sulla difensiva, a doverlo giustificare anziché a gioirne, c’è qualcosa che non va – a partire da certe strategie pubblicitarie che puntano a colpevolizzarci per gli inestetismi, a volte chiamandoli addirittura (criminalmente) “malattie”.
Anche per questo abbiamo bisogno di divulgazione scientifica sulla cosmesi: affinché conoscere realmente i prodotti cosmetici (e il nostro corpo) possa aiutarci a goderci la frivolezza.
1 B. Mautino, Il trucco c’è e si vede. Inganni e bugie sui cosmetici. E i consigli per difendersi (Chiarelettere, 2018), p. 84
2 dal pisano, “sono da applicarsi sul volto”, nda
3 ivi, p. 63
4 ivi, p. 64
Immagine di copertina di Silvia D'Amato Avanzi